Nella sua assoluta libertà, Dio non è condizionato da alcuna causa e non è sottoposto ad alcuna costrizione. L’esichia (o preghiera del cuore) esige invece una totale rinuncia di se stessi, compreso il “diritto” al successo della propria opera ascetica. Ed è solo la decisione d’accettare una simile sofferenza per meglio osservare i comandamenti che, di fatto e non per diritto, attrae la grazia di Dio, e solo se questo sforzo viene compiuto con uno spirito di umiltà.
Un orgoglioso non giungerà mai alla vera unione con Dio qualunque sia il mezzo che usa. L’aspirazione umana – in quanto tale – è impotente ad unire la mente all’abisso del cuore; ed anche se l’uomo vi giunge da solo, vi penetrerà solo fino a un certo punto, e non vedrà che se stesso, la sua bellezza creata – senz’altro sublime in quanto fatta a immagine di Dio, – ma non vi troverà mai Dio.
Il beato staretz [Silvano del monte Athos] ricorse allora, in questa lotta per l’umiltà, ad un’arma di fuoco, a quel comando che gli era venuto da Dio “Mantieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare”.
Ma quest’uomo – tutt’altro che un letterato: un “semplice”, un “ignorante” – ha conosciuto molto volte lo stato della pura contemplazione di Dio. Aveva dunque buoni motivi per dire: “Se la tua preghiera è pura tu sei teologo”; o ancora: “Sulla terra ci sono molti credenti, ma rari sono coloro che conoscono Dio”.
Per conoscenza non intendeva le teorie gnostiche, né le speculazioni teologiche, ma l’esperienza della viva comunione, l’esperienza della reale unione con la Luce divina.
La conoscenza è co-esistenza, cioè comunione nell’esistenza.
tratto da Archimandrita Sofronio,
Silvano del Monte Athos, Gribaudi, p.150
Silvano del Monte Athos, Gribaudi, p.150