Oración , Preghiera , Priére , Prayer , Gebet , Oratio, Oração de Jesus

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CATECISMO DA IGREJA CATÓLICA:
2666. Mas o nome que tudo encerra é o que o Filho de Deus recebe na sua encarnação: JESUS. O nome divino é indizível para lábios humanos mas, ao assumir a nossa humanidade, o Verbo de Deus comunica-no-lo e nós podemos invocá-lo: «Jesus», « YHWH salva» . O nome de Jesus contém tudo: Deus e o homem e toda a economia da criação e da salvação. Rezar «Jesus» é invocá-Lo, chamá-Lo a nós. O seu nome é o único que contém a presença que significa. Jesus é o Ressuscitado, e todo aquele que invocar o seu nome, acolhe o Filho de Deus que o amou e por ele Se entregou.
2667. Esta invocação de fé tão simples foi desenvolvida na tradição da oração sob as mais variadas formas, tanto no Oriente como no Ocidente. A formulação mais habitual, transmitida pelos espirituais do Sinai, da Síria e de Athos, é a invocação: «Jesus, Cristo, Filho de Deus, Senhor, tende piedade de nós, pecadores!». Ela conjuga o hino cristológico de Fl 2, 6-11 com a invocação do publicano e dos mendigos da luz (14). Por ela, o coração sintoniza com a miséria dos homens e com a misericórdia do seu Salvador.
2668. A invocação do santo Nome de Jesus é o caminho mais simples da oração contínua. Muitas vezes repetida por um coração humildemente atento, não se dispersa num «mar de palavras», mas «guarda a Palavra e produz fruto pela constância». E é possível «em todo o tempo», porque não constitui uma ocupação a par de outra, mas é a ocupação única, a de amar a Deus, que anima e transfigura toda a acção em Cristo Jesus.

sábado, 5 de agosto de 2017

"HESYCHIA, ESICASMO E PREGHIERA PURA"

"HESYCHIA, ESICASMO E PREGHIERA PURA"(A cura di  B. De Matteis)
INDICE:
1. H
êsychia ed esicasmo
2. Il termine hêsychia
3. L’esicasmo
4. L’hêsychia esteriore (hêsychia-anacoresi)
5. L’hêsychia interiore

1. Hêsychia  ed esicasmo (1)

Il significato primario del termine esicasmo rimanda ad un sistema particolare di spiritualità, così antico da coincidere con l’origine del monachesimo orientale. Già questo dato fa emergere come si tratti di una realtà complessa, non riducibile alla “preghiera a Gesù” e che richiede un piccolo approfondimento etimologico, storico e spirituale.
2. Il termine hêsychia
Nel greco “profano” la parola hêsychia (hsucia) indica uno stato di calma, , riposo, tranquillità, quiete, segno dell’avvenuta cessazione delle cause esterne che creavano agitazione e disturbo.
Nel greco dei LXX il termine hêsychia conserva gli stessi significati:
- la pace esteriore, l’assenza di guerra che permette al popolo di vivere un periodo di pace e tranquillità (2);
- la calma interiore (3), il cui principio è la fede in Dio, il timore del Signore e la sottomissione alla sua volontà (4);
- il silenzio (5) e
l’assenza di inutili movimenti (6).
Nel N.T. lo si trova molto più raramente rispetto all’A.T. e significa tacere (7), osservare il riposo del sabato (8), smettere di importunare (9).
San Paolo usa il termine hêsychia e i suoi derivati per esortare a vivere in pace (10), a trascorrere una vita tranquilla (11), a lavorare in pace (12).
In particolare, tre testi, due paolini e uno petrino, che contengono il termine hêsychia, sono indirizzati alle donne (13):
- “La donna impari in silenzio [...] se ne stia in atteggiamento tranquillo”;
- “Il vostro ornamento non sia quello esteriore [...]; cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace”.

 3. L’esicasmo
P. Adnès dà dell’esicasmo questa definizione:

“Un sistema spirituale d’orientamento essenzialmente contemplativo, che pone la perfezione dell’uomo nell’unione con Dio per mezzo della preghiera continua. Ma ciò che lo caratterizza è l’affermazione dell’eccellenza, perfino della necessità, dell’hêsychia, o della quiete nel senso più lato, per attendere a questa unione” (14).

Non si tratta quindi di quietismo perché l’esicasmo insegna che non si perviene a questa quiete senza sforzo o rinunce, senza ascesi; e, d’altra parte, la stessa hêsychia non è il fine, ma un mezzo, forse anche il migliore, per disporre l’anima nella sua ricerca di Dio. A questo fine, si rivelano di fondamentale importanza elementi quali la solitudine e il silenzio, senza i quali è ben difficile giungere al raccoglimento, alla preghiera contemplativa, all’unione con Dio.
Possiamo perciò distinguere due forme di hêsychia:
-  l’una esteriore, che coincide con l’allontanamento dal mondo e dai suoi affari, dagli uomini;
la seconda interiore, che risiede nell’anima e nelle sue facoltà, che è evidentemente più importante della prima, ma la suppone.
L’esicasmo richiede, dunque, sia uno stile di vita esteriore sia un cammino ascetico di vita interiore.

 4. L’hêsychia esteriore (hêsychia-anacoresi)
Ciò che contraddistingue il fenomeno storico dell’esicasmo è l’insistere sulla solitudine o anacoresi, al punto che talvolta solitudine ed hêsychia sono quasi sinonimi,  ad indicare che solo nella solitudine, nel deserto, si possa trovare la “quiete”.
Solo in tempi successivi si arriverà a distinguere l’hêsychia interiore dalla hêsychia-anacoresi, anche se in autori successivi la sinonimia permane.
Praticare l’hêsychia è proprio del monaco che si rifugia nel deserto, fra le montagne e le grotte, o che almeno vive in una cella separata dalle altre: egli si è allontanato dal mondo per vivere il distacco e la solitudine. È questo amore per la solitudine che fa denominare questi monaci anche amanti dell’hêsychia o esicasti.
Quali sono le esigenze dell’hêsychia-anacoresi? Oltre la solitudine, favorita dall’isolamento materiale, il silenzio. Una sintesi di questo modello di vita, la si può trovare nella vocazione di Arsenio, raccontata negli Apophtegmi. Arsenio si rivolse a Gesù chiedendogli cosa fosse necessario fare per essere salvato. Gesù gli rispose: “Fuge, tace, quiesce (hsucaze), fuggi, taci, resta tranquillo (15).
Se l’esicasta si isola dal mondo, e difende la propria solitudine in modo accanito, certo non si disinteressa dei propri fratelli: fra gli esicasti troviamo molti padri spirituali (famosi soprattutto gli "startsi"), che esercitavano questo ministero con scritti e lettere. Questa paternità spirituale veniva però esercitata solo dopo la loro “guarigione spirituale”, il perfezionamento nella solitudine e nella vita ascetica, e dopo essere stati riempiti delle "energie divine" dello Spirito (16).
Con lo sviluppo del cenobitismo si iniziò a suddividere i monaci in cenobiti ed anacoreti (e/o reclusi) e questi ultimi erano chiamati anche esicasti.
L’esicasta non è un eremita radicale, anche se ci sono dei reclusi: più sovente lo si trova in gruppi semi-anacoretici, che consentono comunque una certa solitudine.
Dal V-VI sec. si trovano monaci che, dopo aver trascorso un periodo di formazione in un cenobio, chiedono la dispensa dalla vita comunitaria e vivono in una cella isolata, anche all’interno dello stesso monastero, o nei pressi di una laura (17).
Altri esicasti vivranno in solitudine la maggior parte del loro tempo, trovandosi con gli altri eremiti nel giorno del Signore per la celebrazione eucaristica.
L’hêsychia, dì'altra parte, è l’aspirazione di molti cenobiti: fra questi si può ricordare Evagrio Pontico che ci ha lasciato, tra i tanti scritti e insegnamenti spirituali,  il Sommario di vita monastica che insegna come si debba esercitare l’ascesi e l’hêsychia (18): si tratta, come dice lo stesso titolo, di un insegnamento tradizionale con il quale l’autore ci trasmette quanto ha ricevuto dai monaci egiziani. (19).
Secondo quest’opera il monaco è colui che: ha abbandonato ogni realtà materiale di questo mondo ed abbraccia l’hêsychia; è impassibile; non ha concupiscenze; si attiene all’uso di cibi leggeri e poveri; è attento ai poveri; ha un abbigliamento semplice, sobrio; preferisce il riposo spirituale al riposo fisico; evita la compagnia di uomini legati alla materia o implicati in affari e abita solo o con uomini distaccati e di un “unico sentire”; ha una cella povera e semplice; cerca luoghi liberi da traffici e solitari; teme le cadute ed è stabile nella propria cella; non si incontra frequentemente con i propri amici; non abita con chi vive nella distrazione; si occupa di una lavoro manuale per non essere di peso a nessuno; se non gli è possibile vivere l’hêsychía cerca almeno di vivere la xenitía (estraneità, distacco, sradicamento: alcuni monaci sceglievano un paese straniero, per vivere quello sradicamento che è ontologicamente di ogni cristiano dal momento in cui il battesimo ne ha fatto uno straniero al mondo); pensa alla propria morte e al giudizio finale; sa digiunare secondo le proprie forze; sopporta le veglie e il dormire per terra; è un uomo di preghiera, una preghiera compiuta nel timore e nel tremore e nella sobrietà.

 5. L’hêsychia interiore
Nell’esicasmo si possono individuare alcuni tratti che permettono di indicare la sua particolare fisionomia; sono essenzialmente quattro: amerimnia, népsis, ricordo di Dio, preghiera continua (20). 
 
A. L’amerimnia: assenza di pensieri e di preoccupazioni

L’esicasta sa bene che se la fuga dal mondo gli permette di allontanarsi dalla società e dalla sua dissipazione, molto più grave è la dissipazione del cuore, che, malgrado la solitudine, resta inquieto, immerso nei suoi pensieri e preoccupazioni che lo hanno seguito anche nel deserto.
L’esicasta è chiamato a vivere perciò l’apatheia, l’impassibilità che governa tutte le passioni inferiori (21). Questa impassibilità, è bene sottolinearlo, non è mai negligenza o acedia, ma una virtù che ha il suo fondamento nella Scrittura: “Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto” (22); “State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso...” (23); “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?” (24); “Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore...” (25).
La scuola sinaitica, ed in particolare Giovanni Climaco, ha posto una particolare attenzione alla vigilanza sui pensieri ("logismoi") e alla necessità dell'hesychia (26)Riportiamo il suo insegnamento tratto dalla Scala del Paradiso:
 

Giovanni Climaco: L'esichia
"Chi è ancora immerso tra le passioni non può lanciarsi nel dialogo con Dio, ché correrebbe il rischio di chi si lanciasse a nuoto avvolto nelle sue vesti. La cella dell'esicasta circoscrive il suo corpo, e lì dentro egli dà spazio alla conoscenza. Chi, ancora psichicamente ammalato e avvolto tra le passioni, volesse cominciare a fare l'esicasta assomiglierebbe al navigante che si lanciasse dalla nave credendo di poter raggiungere la terraferma aggrappato ad un asse senza correre alcun pericolo. Chi combatte col fango a suo tempo potrà vivere in esichia, se e quando abbia avuto una guida. Poiché il solitario - parlo del solitario in senso stretto -  cioè nel corpo e nello spirito da vero e proprio esicasta  deve avere una forza angelica.
Rinnegherebbe l'esichia e mentirebbe un tiepido che accondiscendesse agli umani cavilli che lo spingessero a prendersi una vacanza dal suo stato di esicasta. Lasciando la cella darà la colpa ai demoni, dimenticando che è lui il demonio tentatore di se stesso. Ho visto io cosa vuol dire essere esicasti: non facevano che rinfocolare le fiamme del desiderio di Dio, riempiendosi e mai sentendosi abbastanza pieni; aggiungere sempre fuoco a fuoco, amore ad amore, desiderio a desiderio. L'esicasta è un angelo in terra; egli, liberatosi dall'accidia e dalla pusillanimità, nella sua orazione scrive sulla carta del desiderio lettere perfette che espri mono il suo impegno nell'amore. Era un esicasta colui che gridava: «O Dio, è pronto il mio cuore» . Era un esicasta colui che diceva: «Io dormo, ma il mio cuore veglia»
Chiudi fisicamente la porta della cella per il tuo corpo, ferma la porta alla lingua perché non parli, sbarra la porta dal di dentro contro gli spiriti. La mancanza di tante cose allora rivelerà provandola la fortezza dell'esicasta, nel mezzogiorno quando la bonaccia mette alla prova la resistenza del marinaio. Questi per impazienza si getterà nell'acqua a nuoto; quello preso dal tedio bramerà tornare tra la folla. Tu non temere gli scherzi di quelli che ti frastornano, poiché la compunzione non conosce viltà né costernazione. Quanti hanno veramente appreso a pregare mentalmente sapranno instaurare il colloquio quasi parlando all'orecchio del Re; quanti sanno fare preghiera vocale si prostreranno a Lui nella grande adunanza; quanti vivono nel mondo pregheranno il Re tra il tumulto del suo popolo.
Se hai imparato l'arte, intenderai quel che dico. Dall'alto della torre sorveglia come ti ho spiegato; e allora potrai discernere come, quando e donde, quanti e quali ladri entrino nella vigna a rubare i grappoli. Chi non si stanca di fare la guardia, si alza e prega, ritornerà a star tranquillo, attendendo con coraggio al suo lavoro. Così un tale ricco di questa esperienza, che avrebbe voluto parlarne sottilmente e con esattezza, temendo di rendere trasandati nel servizio di Dio i fervorosi ovvero di scoraggiare quanti avevano scelto l'esichia al suono delle sue parole, se ne astenne. Chi ne parla con sottigliezza e sapienza eccita contro di sé i demoni, perché nessun altro potrebbe trionfare della loro malefica attività con sì felice risultato.
[L'esicasta vive nel  silenzio per ascoltare Dio, spiritualizzandosi: PG 11OOC-11O1B]
180. Chi si impegna nell'esichia infatti riesce a penetrare le profondità dei misteri. Ma non vi si cimenta senza aver prima affrontato il fragore dei flutti, il soffiare dei venti diabolici; lo fa dopo avere visto, udito e fors'anche dopo essersene contaminato. Lo conferma Paolo, che peraltro non avrebbe potuto ascoltare arcane parole senza essere stato rapito in paradiso come in esichia. Nell'esichia l'orecchio intende le straordinarie parole che Dio gli fa sentire, perché essa è ricca di sapienza; perciò fu questa a parlare con Giobbe in quei termini: «Non intenderà forse il mio orecchio le straordinarie parole che Egli mi ha fatto sentire?».
Esicasta è chi fugge il mondo senza odiarlo; lo fugge come altri corre dietro alle sue mollezze, cioè perché non vuole gli siano tagliate le dolcezze di Dio. Perciò lascialo immediatamente, distribuisci il tuo tempo per potere pregando raggiungere l'esichia, applicando a te le parole: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri» e le altre: «Prendi la tua croce e seguimi» . Portando il peso dell'ubbidienza e sopportando l'amaro taglio della tua volontà con tutta la tua forza, poi lo seguirai aderendo alla beatissima esichia dove imparerai a vedere quanto operano e come vivono beate le potenze spirituali che mai cessano di lodare il Creatore per i secoli dei secoli; né tu sarai privo dei loro inni al Creatore, una volta entrato nel cielo dell'esichia.
Come gli esseri immateriali non si curano della materia, gli spirituali uniti alla materia non si preoccupano di ciò che l'alimenta; i primi non sentono il gusto del cibo e i secondi non hanno bisogno di procurarselo, in quanto quelli non hanno beni di uso o di possesso cui badare e questi non hanno mali spirituali da cui guardarsi da parte degli spiriti malvagi: gli esseri celesti non hanno interesse a volgere lo sguardo alle creature materiali e gli spirituali non hanno interesse per le forme sensibili una volta che hanno diretto i loro desideri lassù. Come gli esseri celesti progrediscono nell'amore senza mai cessar di migliorare, così gli spirituali non fanno che emulare ogni giorno i celesti; gli uni sanno bene che tesoro sia quel progredire, gli altri non ignorano il valore di amore che li fa salire continuamente fino alla mèta dei Serafini, cioè fino a diventare essi stessi angeli attraverso un cammino ben travagliato e mai interrotto. Felice chi spera di giungere a tale stato, mille volte beato chi per diventare angelo ha fatto di tutto per esserlo. (27)
 

La vittoria sui logismoi non è fine a se stessa, ma è in vista di disporsi alla contemplazione: Evagrio parla di una stretta connessione tra la preghiera pura, liberata da tutto ciò che “non è Dio”, e l’hêsychia; preghiera contemplativa ed hêsychia sono praticamente sinonimi.
Sempre questo autore ci ha lasciato un’opera estremamente importante: Sul discernimento delle passioni e dei pensieri (28)un trattato di terapeutica del IV sec. che si prefigge di far conoscere all’uomo  la sua vera natura fatta “ad immagine e somiglianza di Dio”, e di insegnare a liberarla da tutto ciò che la nasconde o la deforma. In questo senso, per Evagrio, il termine apatheia si può intendere anche come “stato non patologico” e la conversione, per usare parole di san Giovanni Damasceno “consiste nel ritornare da ciò che è contrario alla natura a ciò che le è proprio” (29).
Il cammino spirituale nel pensiero di Evagrio è contrassegnato da tre tappe (l'ascesi pratica - osservanza dei comandamenti ed esercizio delle virtù) e conduce al perfetto dominio degli istinti passionali. Questo dischiude la prima forma della conoscenza: la contemplazione, non colorata da passionalità, delle creature corporee ed incorporee, e la comprensione della parola divina che è la ragione di essere di ciascuna creatura. Superata questa forma di conoscenza, si raggiunge la contemplazione di Dio al di là di tutte le forme e di tutti i concetti distinti e separati.


B. La népsis: vigilanza e attenzione

È l’attitudine di un’anima pronta, presente a se stessa e a Dio, vigilante e attenta a non lasciarsi sorprendere dall’Avversario e dai logismoi.
Evagrio distingue otto logismoi, pensieri, che sono otto sintomi di una malattia dello spirito o dell’essere:
1. gastrimargía (Cassiano tradurrà: de spiritu gastrimarigiae): non è solo golosità, ma ogni patologia orale;
2. philargyría (de spiritu philaguriae): non solo l’avarizia, ma tutte le forme di stitichezza dell’essere e di patologia anale;
3. porneia (de spiritu fornicationis): non solo fornicazione, masturbazione, ma ogni forma di ossessione sessuale, di deviazione e di compensazione della pulsione genitale;
4. ofré (de spiritu irae): la collera, patologia dell’irascibile;
5. lypé (de spiritu tristitiae): depressione, tristezza, malinconia;
6. akédia (de spiritu acediae): acedia, depressione con tendenza suicida, disperazione, pulsione di morte;
7. kenodoxia (de spiritu cenodoxiae): vanagloria, inflazione dell’ego;
8. hyperéphanía (de spiritu superbiae): orgoglio, paranoia, delirio schizofrenico.


Evagrio Pontico
Ad Anatolio: sulle otto radici dell'agitato pensare

 "La golosità suggerisce al monaco di fare qualche pausa nel suo impegno ascetico, gli mette davanti i malesseri dello stomaco, del fegato e della bile, l'idropisia ed altre eventuali gravi infermità, la mancanza di medici e di rimedi. Poi gli ricorda quei monaci che hanno contratto tali mali. Altre volte, questo nemico, suggerisce a quei monaci che hanno avuto quelle malattie, di andare a far visita ai frati che stanno digiunando per parlare dei loro disturbi e additarli come la conseguenza di astinenze austere.
 Il demone della sensualità stimola le bramosie carnali, e con astute insidie muove all'assalto degli astinenti, cercando di dissuaderli dalla loro austerità, presentandola come sterile per loro stessi. Con queste suggestioni inquina la loro anima, per spingerli a compiere azioni sensuali, e li mette nell'occasione di dire ed ascoltare quelle parole solite a chi commette atti di lussuria.
 Il demone dell'avidità di denaro suggerisce pensieri di prudenza per l'età avanzata, per quando le forze verranno meno ed il solitario non potrà più lavorare con le sue mani, gli rappresenta la fame, la malattia, l'asprezza del bisogno, il peso di dover accettare dagli altri il necessario per il sostentamento fisico.
 La mancata soddisfazione di un desiderio o, alle volte, l'irascibilità stimolano le suggestioni del risentimento. Quando c'è la mancata soddisfazione di desideri, tutto il lavorio dei pensieri del risentimento si svolge così: tornano prima i ricordi dei conforti che il solitario aveva avanti di abbracciare la vita dell'ascesi.
Quando l'anima comincia a fermarsi con piacere su queste memorie, il risentimento ghermisce il solitario, sottolineando che quei conforti sono ormai passati e che, proprio per esser monaco, non potrà più averli. Quanto più volentieri accoglie i primi ricordi con piacere, tanto più, la povera anima, ne resta colpita e invasata.
 L'iracondia è il più vivace di tutti gli istinti passionali. Sorge e s'infiamma contro chi ci ha fatto, o sembra averci fatto una qualche offesa. Rende l'anima sempre più inflessibile; il suo tempo preferito è quello della preghiera; in quel momento presenta vividamente la figura di chi ha recato l'offesa. Alle volte si radica nell'anima e diventa inimicizia, produce notturni incubi ed immagini di torture, di morte orrenda, di assalti eseguiti da velenosi serpenti e mostri bestiali. Questi quattro fenomeni sono il segno che nell'anima nasce l'inimicizia, che è attorniata da numerosi pensieri tormentosi; chi osserva se stesso può capire che dico il vero.
 Il demone dello scoramento detto il demone meridiano, è il più opprimente di tutti. Assale ordinariamente il monaco verso le dieci del mattino, lo assedia fino alle quattordici. Comincia col far notare, in modo deprimente, il lento girare del sole, tanto lento da sembrare immoto, il giorno appare di cinquanta ore. Dopo spinge il monaco a occhieggiare spesso dalla finestra, o ad uscire dalla cella ed osservare il sole per fare il computo del tempo che manca ad arrivare alle quindici; contemporaneamente lo fa guardare a destra e a sinistra per vedere se qualche frate venga a trovarlo. Quindi lo assale con il disgusto del posto, del genere di vita e di impegno scelti, suggerendogli considerazioni come queste: tra i frati non c'è amore, nessuno è pronto a darti un conforto. Se nei giorni di prova, qualche frate gli ha recato offesa, il demone glielo ricorda e lo vessa con tale pensiero. Da queste suggestioni, lo spirito del male, provoca nel solitario il desiderio di vivere in altro luogo, dove più agevole sia trovare il necessario, e dove l'impegno ascetico sia più lieve e proficuo. I pensieri malvagi sussurrano che il piacere a Dio non dipende dal posto ove uno è, perchè Dio può esser venerato ovunque. Insieme a questi pensieri, unisce il ricordo del benessere goduto prima della solitudine; e prospetta il lungo tempo che ancora dovrà vivere nell'asprezza dell'ascesi; si serve, in una parola, di tutte le sue astuzie per spingere il monaco ad abbandonare la sua cella, e interrompere il suo impegno.
Questo demone è seguito da un altro, ma non subito; perchè se il solitario supera lo scoramento, si trova immerso in uno stato di pace interiore, colma d'ineffabile gioia.
 Il demone che segue lo scoramento, è il più sottilmente malizioso di tutti, è quello della vanagloria. Svolge la sua opera nel cuore di chi ha raggiunto il giusto dominio delle forze vitali. L'assalto comincia con il compiacimento dello sforzo ascetico compiuto e con gli elogi mossi dagli altri uomini. Il solitario vede sorgere, per l'incantesimo della fantasia, le urla dei demoni fugati dalla sua presenza, la guarigione delle donne ammalate, la turba degli infermi che l'attornia per esser guarita dal solo contatto delle sue vesti. Sente profetizzarsi la dignità sacerdotale, vede schiere di uomini alla sua porta per ricercarlo e consacrarlo prete, immagina di rifiutare e si scorge legato e costretto ad accettare il sacerdozio contro la sua volontà. Una volta accese queste speranze, lo spirito del male se ne va lasciando il campo ad altre tentazioni, quelle del demone della superbia o del risentimento che suggerisce pensieri opposti alle speranze nutrite. Può anche succedere che a questo punto il demone impuro vinca il solitario che poco prima immaginava di essere un santo e venerato sacerdote.
 Lo spirito malvagio della superbia causa le più gravi rovine nell'anima. Suggerisce all'anima di non riconoscere Dio come l'unico soccorritore, attribuendo solo al proprio sforzo ogni progresso nella bontà; di collocarsi al di sopra degli altri frati, reputandoli ignoranti non avendo essi pensieri sublimi come lui. La superbia ha sempre l'irrequietezza e il malcontento, al suo seguito. L'ultimo stadio del superbo è la frenesia mentale e la visione degli spiriti del male." (30)
 

Questo atteggiamento di difesa prende anche il nome di attenzione, difesa dello spirito, del cuore. Secondo Esichio il Sinaita, per fare un esempio, tutta l’ascesi sembra ricondursi alla népsis che è un “metodo spirituale che libera interamente la persona, con il soccorso di Dio e per mezzo di una pratica costante e decisa, dei pensieri e delle parole animati, come delle azioni cattive” (31), e alla prosoché, l’attenzione data ai logismoi, che in fondo esprime lo stesso impegno.


C. Il ricordo di Dio

Anche questo è un tema tradizionale della spiritualità orientale, già presente fin negli Apophtegmi e nelle Vite dei Padri del deserto.
I Padri orientali suggeriscono vari modi per mantenere costante questo ricordo, anche per mezzo di una breve formula verbale di preghiera, tratta preferibilmente dalla Sacra Scrittura. Così il ricordo di Dio, che lentamente si precisa come ricordo di Gesù, può divenire incancellabile.
E' sempre Giovanni Climaco che stabilisce una connessione del ricordo di Gesù  con l’hêsychia: “L’hêsychia consiste nello stare in continua adorazione del Signore, sempre alla sua presenza, con il ricordo di Gesù aderente al suo (dell’esicasta) respiro, allora potrai toccare con mano i vantaggi dell’hêsychia” (32).


D. La preghiera pura

La preghiera e l’hêsychia sono strettamente connesse: se l’hêsychia è il clima favorevole per la preghiera, la preghiera è ciò che rende possibile l’hêsychia.
La ricerca della quiete interiore in vista della contemplazione è un tema classico della spiritualità orientale, anche per autori che non si possono classificare tra gli esicasti.
Per esempio, Basilio scriveva: “L’hêsychia è un buon ausilio per la theoría, la contemplazione, l’attività dello spirito per la quale noi siamo uniti a Dio” (33), a cui il Crisostomo faceva eco dicendo che “se il Cristo se ne va solo sulla montagna o in luoghi solitari per pregare, ciò che ci vuol dire è che il deserto è la madre dell’hêsychia e chela preghiera reclama, come preparazione, molta hêsychia e calma (34).
Ma negli autori esicasti si scorge qualcosa in più. L’hêsychia non è soltanto un mezzo, ma il centro stesso della vita contemplativa e in un certo senso la vita contemplativa stessa, e l’esicasta è la preghiera fatta uomo.
Giovanni Climaco ha scritto molto a questo proposito: L’esicasta poi lotta per circoscrivere dentro il corporeo l’incorporeo, cosa veramente straordinaria” (35). “Chi conosce il pensiero d’un uomo che vive nell’hêsychia esteriore e interiore? La forza dell’esicasta sta nella molta preghiera, come la forza di un re nelle ricchezze e nel numero”(36).
Sant’Efrem, in un testo di dubbia attribuzione (lo “condivide” con Giovanni Crisostomo), De patientia et consummatione, fa un elogio dell’hêsychia partendo da una figura del vangelo: Maria di Betania. Maria, che si era messa ai piedi di Gesù e non aveva attenzione che per lui, è l’immagine dell’hêsychia. D’altra parte non è Gesù stesso che ha garantito il riposo per chi fosse andato a lui? (37).
Simeone il Nuovo Teologo ci ha lasciato una descrizione delle grazie della contemplazione promesse all’hêsychia, ma non dimentica di sottolineare come non si possa chiamare riposo il non compiere opere o hêsychia l’oziosità e mettere questi atteggiamenti al di sopra della legge del Cristo: umiltà, carità, servizio agli altri.




 NOTE
 P. Adnès, Hésychasme, in Dictionnaire de Spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et histoire, Paris 1969, t. 7, coll. 381-399; E. BEHR-SIGEL, Il luogo del cuore. Iniziazione alla spiritualità ortodossa, Cinisello Balsamo 1993; J.-Y. Leloup, L’Esicasmo. Che cos’è, come lo si vive, Milano 1992; NICODIMO AGHIORITA e MACARIO DI CORINTO, op. cit.;  K. Ware, Philocalia, in Dictionnaire de Spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et histoire, Paris 1984, t. 12, coll. 1336-1352.
 2 Cf. Gdc 3,11 (“Il paese rimase in pace...”; 3,30; 5,31; 8,28; ...).
3  Cf. Is 7,4 (“Tu gli dirai: Fa’ attenzione e sta’ tranquillo...”).
4  Cf. Pv 1,33 (“... chi ascolta me [la sapienza] vivrà tranquillo e sicuro dal timore del male”).
5  Tacere: Pv 11,12 (“L’uomo prudente ... tace”).
6  Stare: Pv 7,11 (“... non sa tenere i piedi in casa sua). Cf. anche Lam 3,26 (“È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore”)  in cui si trovano entrambi i significati.
7  Lc 14,4 (“... essi tacquero”).
8  Lc 23,56 (“Il giorno di sabato osservarono il riposo)”.
9  At 21,14 (“... smettemmo di insistere...”).
10  1Tess 4,11 (“... attendere alle cose vostre...).
11  1Tm 2,2 (“perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla...”).
12  2Tess 3,12 (“... mangiare il proprio pane lavorando in pace”).
13  1Tm 2,11-12; 1Pt 3,4.
14  P. Adnès, Hésychasme, col. 384.
15  Apophtegmi, PG 65, 88c, cit. in: T. Š pidlík, La preghiera esicastica, in: E. Ancilli (cur.), La preghiera, Roma 19902, vol. II, p. 263; cf. anche J.-Y. Leloup, op. cit., pp. 27-46.
16  Ammonas vede nell’hêsychia il fondamento della sua genealogia delle virtù; S. Nilo afferma che bisogna abbracciare l’hêsychia o la “mónosis” che chiama “la madre della filosofia”, cioè la vita monastica perfetta; un luogo comune della letteratura esicasta definisce l’hêsychia “genitrice di ogni bene”: cf. P. ADNÈS, Hésychasme, col. 387.
17  Organizzazione monastica bizantina, caratterizzata da un certo numero di celle separate di anacoreti, aventi però la chiesa in comune.
18  EVAGRIO MONACO, Sommario di vita monastica che insegna come si debba esercitare l’ascesi e l’hêsychia, in Filocalia, vol. I, pp. 99-106.
19  Ibid
20  Cf. in part.: P. Adnès, Hésychasme, coll. 388-397.
21  Il termine apatheia, accettato da Evagrio e dalla sua scuola, manca negli esicasti più antichi e non ha mai prevalso sul termine amerimnia: i due termini si richiamano a vicenda e spesso sono associati. Cf. G. BARDY, Apatheia, in Dictionnaire de Spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et histoire, Paris 1936, t. 1, coll. 727-746.
22  Mc 4,18-19.
23  Lc 21,34.
24  Mt 6,25.
25  1Cor 7,32.
26  GIOVANNI CLIMACO, La scala del Paradiso, PG 88, 1109b, cit. in: P. Adnès, Hésychasme, col. 391.
27  Ibid.
28 EVAGRIO MONACO, Sul discernimento delle passioni e dei pensieri, in Filocalia, vol. I, pp. 107-124.
29  Cit. in: J.-Y. Leloup, op. cit., p. 48.
30  Ibid., pp. 47-48. Per un approfondimento: EVAGRIO MONACO, op. cit.,; CASSIANO (IL) ROMANO, Al Vescovo Castore. Gli otto pensieri viziosi, in Filocalia, vol. I, pp. 129-153; J.-Y. Leloup, op. cit., pp. 47-67.
31  ESICHIO (IL) SINAITA, Centurie, I, 1, PG 93, 1480d, cit. in: P. Adnès, Hésychasme, col. 392. J. Gouillard attribuisce quest’opera non al santo, ma a un monaco, di nome Esichio, del monastero sinaitico di Batos.
32  GIOVANNI CLIMACO, La scala del Paradiso, Roma 1995, p. 318.
33  BASILIO DI CESAREA (Magno), Epistola, 9, 3, PG 32, 272c, cit. in: P. Adnès, Hésychasme, col. 394.
34  GIOVANNI CRISOSTOMO, In Matthaeum, 50, 1, PG 58, 503-504, cit. in: P. Adnès, Hésychasme, col. 395.
35  GIOVANNI CLIMACO, La scala del Paradiso, Roma 1995, p. 306.
36  Ibid., p. 323.
37  Cf. Mt 11,28.

(A cura di  B. De Matteis)

PREGHIERA DEL CUORE

REGHIERA DEL UORE

 
a preghiera di Gesù è la seguente: Κύριε Ιησού ΧριστέYιέ Θεού ελέησον με τον αμαρτωλό : Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio  abbi pietà di me, peccatoreIn origine, la si diceva senza la parola peccatore; questa è stata aggiunta più tardi alle altre parole della preghiera. Tale parola esprime la coscienza e la confessione della caduta.
IL NOME DI GESU:
Evagrio dice: “la preghiera è una conversazione dell’intelletto con Dio”, e S. Macario l’Egiziano dice: “l’inesprimibile ed incomprensibile Dio si è abbassato: nella sua bontà ha rivestito le membra del corpo ed ha posto lui stesso un limite alla sua gloria, nella sua clemenza e nel suo amore per gli uomini si trasforma e s’incarna, si unisce profondamente ai Santi, ai pii, ai fedeli e diviene uno stesso Spirito con essi”.
"Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio Nome", dice ai suoi apostoli il Signore, "la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio Nome, io la farò"
(Gv 14.13-14). "In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio Nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio Nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena" (Gv 16.23-24).
“In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati"' (At 4.7-12), “chiunque invocherà il Nome del Signore sarà salvato" (Rm 10.13), nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra" (Fil 2.8-10).
La preghiera di Gesù unifica il Divino e l’umano anche per la Rivelazione divina che in essa è contenuta.
La Preghiera del cuore, radicata nel Nuovo Testamento, viene assunta da una «corrente» propria della spiritualità orientale antica che è stata chiamata esicasmoIl nome proviene dal greco ησυχία: hesychìache significa: calma, pace, tranquillità, assenza di preoccupazione. Questo stato di quiete designa contemporaneamente due diverse scopi; il primo è relativo a chi tende ad abbandonare il mondo e allude ad una uscita dal transeunte, il secondo è il raggiungimento della meta stessa, cioè la pace interiorizzata.
 L'esicasmo può essere definito come un sistema spirituale di orientamento essenzialmente contemplativo che ricerca la perfezione (deificazione) dell'uomo nella unione con Dio tramite la preghiera incessante.
 La tradizione esicasta può considerarsi il vero cuore del monachesimo ortodosso.
In un documento del monastero di Iviron del monte Athos, si legge questa definizione: «L'esicasta è colui che parla a Dio solo e lo prega senza posa».
La storia dell'esicasmo inizia con i monaci del deserto d'Egitto e di Gaza. «A noi, piccoli e deboli, non ci resta altro da fare che rifugiarci nel Nome di Gesù», dice uno di loro. Si afferma poi al monastero del Sinai, con san Giovan'm Climaco.
In genere esichia significa quiete, ma può anche voler esprimere la pace profonda del cuore.
Nella letteratura monastica esichia rivela almeno due significati. Prima di tutto tranquillità, quiete e pace come stato d'animo, e condizione stabile del cuore necessaria per la contemplazione. Significa ancora distacco dal mondo nella doppia accezione di solitudine e silenzio.
L'esichia espressa nella pace, quiete, solitudine e silenzio interiore, che viene raggiunta attraverso la solitudine e il silenzio esteriore, si presenta tuttavia come un mezzo eccellente per raggiungere il fine dell'unione con Dio nella contemplazione, attraverso la preghiera o l'orazione ininterrotta.
Questa è un mezzo éccellente, un cammino di amore autentico, vissuto nel silenzio e nella solitudine al fine di raggiungere la preghiera vera e l'autentica contemplazione.
L'esichia in definitiva è l'atteggiamento di chi nel proprio cuore si pone alla presenza di Dio.
Per cogliere i vari aspetti dell'esichia che il monaco è chiamato ad esprimere possiamo riferirci alla vita di padre Arsenio, il padre degli anacoreti.
Ecco come viene raccontata la sua vocazione all'esichia:
«Abbà Arsenio, quando ancora abitava nel palazzo imperiale, pregò Dio con queste parole: "Signore mostrami la strada che conduce alla salvezza". E una voce si rivolse a lui e gli disse: "Arsenio fuggi gli uomini e sarai salvato".
Lo stesso, divenuto anacoreta, nella sua condizione di eremita, di nuovo rivolse a Dio la stessa preghiera, e intese una voce che gli disse: "Arsenio fuggi (il mondo), resta in silenzio e riposa nella pace (esichia). È da queste radici che nasce la possibilità di non peccare"» (Arsenio 1.2).
Quest'ultima frase è all'inizio della vocazione degli esicasti«Fuge, Tace, QuiesceFuggi, Taci, Riposa». La fuga dal mondo, il silenzio e la pace interiore sono i tre atteggiamenti che danno forma allo stato di vita del monaco, in particolare dell' anacoreta.

Fuge:      esichia come solitudine
  Il     monaco autentico è chiamato a vivere prima di tutto la solitudine. I Padri del deserto, sottolineano con grande forza la fuga dagli uomini, la necessità cioè di ridurre al minimo il contatto con essi. Si racconta in proposito: «Il beato arcivescovo Teofilo, si recò una volta dal padre Arsenio in compagnia di un magistrato. Chiese all'anziano di udire da lui una parola. Dopo un attimo di silenzio, egli rispose loro: "E se ve la dico, la osserverete?". Promisero di farlo. Disse loro l'anziano: "Dovunque sappiate che ci sia Arsenio, non avvicinatevi"» (Àrsenio 7).
«Il padre Marco disse al padre Arsenio: "Perché ci sfuggi?". L'anziano gli dice: "Dio sa che vi amo. Ma non posso essere contemporaneamente con Dio e con gli uomini. Le schiere celesti che sono migliaia hanno un'unica volontà, mentre gli uomini ne hanno tante. Perciò non posso lasciare Dio per venire dagli uomini"» (Arsenio 13).
  Alcuni contatti discreti con il mondo possono  essere anche vantaggiosi. Tuttavia solo per quei monaci che hanno acquisito una grande maturità spirituale e ai quali è comandato espressamente da Dio. Maper lo più il monaco è invitato a garantirsi una zona di calma, di silenzio, di solitudine per ricevere la formazione da parte di Dio e abituarsi alla sua silenziosa presenza.
L'esichia come solitudine non vuol dire solo fuga dal mondo, ma indica pure una certa stabilità in un determinato luogo solitario. Questa esigenza è espressa con un famosa formula che poi è divenuta tradizionale: «Rimani nella tua cella, resta nel tuo eremo, ed essa ti insegnerà ogni cosa» (Mosè 6). «Insegnerà ogni cosa» è la stessa frase che troviamo in bocca a Gesù quando preannunzia la venuta dello Spirito (Gv 14,26). Rimanere nella solitudine della cella è allora apertura allo Spirito, al suo fuoco e alla sua luce. L'abbà Macario l'Egiziano lega insieme la fuga dagli uomini e il restare in cella: «Il padre Isaia chiese al padre Macario: "Dinnni una parola". E l'anziano gli dice: Fuggi gli uomini! ,. E il padre Isaia a lui: "Che cosa,significa fuggire gli uomini?". L'anziano gli disse: "Significa rimanere nella tua cella e piangere i tuoi peccati" » (Macario E. 27).
E rivolgendosi all'abbà Aio gli dirà: «Fuggi gli uomini, rimani nella tua cella a piangere i tuoi peccati, e non amare la conversazione con gli uomini. E ti salverai» (Macario E. 41).
Infatti la celia è l'ambiente per l'esichia, dirà lo stesso Antonio il grande: «Come i pesci muoiono se restano sulla terra secca, così i monaci che si attardano fuori della cella o si trattengono con la gente, perdono la forza necessaria all'esichia. Come dunque il pesce al mare così noi dobbiamo correre alla cella; perché non accada che, attardandoci fuori, dimentichiamo di custodire il di dentro» (Antonio 10).

La solitudine può esprimersi pure in un atteggiamento di continuo pellegrinaggio da un luogo ad un altro. Ogni luogo infatti deve essere estraneo al monaco. Una tale estraneità - xenitèia - indica una sorta di esilio volontario lontano dalle cose mondane. Afferma san Nilo: «Il primo dei grandi combattimenti consiste nella xenitèiacioè nell'emigrare solo spogliandosi come un atleta, ,,della propia patria, della propria razza, dei propri beni». Il passare da un luogo ad un altro è imitare il cammino di Gesù, come dimostra la storiella seguente:
«Del padre Agatone raccontavano che impiegò molto tempo assieme ai suoi discepoli per costruire una cella. Quando l'ebbero finita, cominciarono ad abitarvi, ma già dalla prima settimana vide qualcosa che gli pareva non giovasse e disse ai suoi discepoli: "Alzatevi andiamo via di qui" (Gv 1,3l). Ne furono molto turbati e dissero: "Se proprio avevi l'intenzione di andartène perché abbiamo tanto faticato per costruire la cella? La gente si scandalizzerà di nuovo e dirà: Ecco, questi instabili, che se ne vanno di nuovo". Vedendoli così avviliti, egli disse loro: "Se anche alcuni si scandalizzeranno, altri, a loro volta, saranno edificati e diranno: Beati costoro che per amore di Dio se ne sono andati disprezzando tuttoComunque chi vuole venire venga. Io adesso vado. Allora si  gettarono a terra, pregando che permettesse loro di partire con lui» (Agatone 6; cf. anche Amoe 5).

Questi ultimi apoftegmi ci permettono di sottolineare l'aspetto itinerante della esichia. Certamente la cella è importante; ma non si può rimanere in essa con lo spirito del proprietario. Il monaco sa di essere straniero su questa terra e così abbahdona tutto ciò che può distoglierlo dal servizio di Dio, vivendo nel nascondimento e nell'attesa, sperando ardentemente nel ritorno del Signore glorioso. La solitudine esteriore è certamente importante, ma più necessaria è la solitudine del cuore. Qui si gioca l'autentica esichia, ovvero l'eremitismo o l'anacoresi interiore, il monachesimo del del cuore, il solo che può condurre alla Preghiera di Gesù.

Tace:      esichia come silenzio
  Nella solitudine il monaco è chiamato a vivere il silenzio. La voce che Arsenio aveva udita si era infatti espressa nei termini che sappiamo: fuge, tacequiesce.
Il silenzio che esprimono i Padri del deserto, come giustamente è stato detto, «è un silenzio dai mille nomi e dai mille volti dove ogni cosa è al suo posto, è un silenzio prezioso per l'anima, un silenzio che sta dalla parte della trascendenza. Dai vari apoftegmi emerge che il silenzio dei Padri del deserto è il silenzio dell'umiltà, del tacere di se stessi, è il silenzio che toglie le parole all'egoismo, alla superbia, all'amor proprio, è il silenzio di chi si fa pellegrino e straniero, ma è anche il silenzio dell'amore, il silenzio di chi non giudica il prossimo, di chi non parla o sparla degli altri, infine è il silenzio della fede, di chi si fida del Totalmente Altro, di chi si è messo completamente nelle sue mani».
Consideriamo alcuni particolari di questo grande silenzio.
La preghiera perpetua è il problema pratico fondamentale che viene dibattuto molto nei primi secoli cristiani. I monaci avevano il dovere di realizzare questo comando della Scrittura, più di tutti gli altri cristiani. Il loro amore per il silenzio è senz'altro la forma, il clima, la dialettica stessa della preghiera ininterrotta
Il silenzio è come una cella e una sorta di eremo portatile da cui l'uomo di preghiera non uscirà mai anche quando per motivi di carità, dovrà andarsene dalla sua cella visibile. Afferma il grande Poemen «Setu sarai nel silenzio  tu otterrai il riposo in qualsiasi luogo abiterai» (Poemen 84).
Custodire il silenzio, quando si presenta l'occasione di parlare, è la vera fuga dagli uomini: «Dominare la propria lingua ecco la vera estraneità - xenitèia -», afferma abbà Titoes;(veD 84).
  «Il padre Giovanni era fervente nello Spirito. Venne un tale a visitarlo e lodò il suo lavoro: stava lavorando alla corda, e rimase in silenzio. Tentò una seconda volta di farlo parlare, ma egli continuava a tacere. La terza volta disse al visitatore: "Da quando sei venuto qui, hai allontanato da me Dio"» (Giovanni Nano 32).  
«A Scete il grande abbà Macario, quando si scioglieva l'assemblea, diceva: "Fuggite, fratelli". Uno degli anziani gli chiese: "Dove possiamo fuggire di più che in questo deserto?" Egli poneva il dito sulla bocca dicendo: "Questo fuggite!" e entrato nella sua cella, chiudeva la porta e si sedeva (si poneva in esichia)» (Macario E. 16).
  Il   silenzio a cui invitano i Padri del deserto è  anche testimonianza. Secondo la loro esperienza è necessario parlare con le opere e non con la lingua. E il proprio cammino di fede che opera, le parole sono spesso inutili.

«Un fratello chiese al padre Sisoes: "Dimmi una parola". Gli disse: "Perché mi costringi a parlare inutilmente? Ecco, fa' ciò che vedi"» (Sisoes 45).
«Un fratello chiese al padre Poemen"Dei fratelli vivono con me; vuoi che dia loro ordini?". "No - gli dice l'anziano - fa' il tuo lavoro tu, prima di tutto; e se vogliono vivere penseranno a se stessi". Il fratello gli dice: "Ma sono proprio loro, padre, a volere che io dia loro ordini". Dice a lui l'anziano: "No! Diventa per loro un modello, non un legislatore"» (Poemen 174).
L'abate Isaia disse ancora: «Non deve essere la tua lingua a parlare, ma le tue opere, e le tue parole siano più umili delle tue opere. Non pensare senza intelligenza, non insegnare
senza umiltà, affinché la terra possa ricevere il tuo seme».

I frutti del silenzio secondo i Padri del deserto sono molteplici. Il silenzio dona la quiete (Poemen 84); genera la castità (Detti V,25); è di aiuto contro gli empi (Detti XI, 7); conserva l'animo nella pace (Matoes 11); il silenzio è umiltà (Detti XV,76); il silenzio aiuta a non giudicare il prossimo, a non condannare nessuno, è rimedio contro la maldicenza; è scuola di tolleranza e benevolenza verso tutti (Ammone 8).
Tuttavia un tale silenzio richiede molto coraggio. Afferma Poemen«La prima volta fuggi, la seconda fuggi, la terza diventa una spada» (Poemen 140).

  Quiesce:       rimani nella pace interiore

Solitudine e silenzio praticati concretamente, rappresentano dunque per i Padri del deserto, il momento fondamentale dell'esichia del corpo, dell'esichia esteriore. Una quiete che seppure esterna è fondamentale. Infatti, come afferma Macario: «Nessuno può avere l'esichia dell'anima, se non si è assicurato dapprima quella del corpo».
Certamente però è 1' esichia interiore il cardine essenziale della spiritualità monastica orientale. Dalla solitudine e dall'assenza di parole il monaco è chiamato a passare al silenzio profondo attivo e creativo. E questo è tutt'altro che quietismo. Al contrario è «ricerca della sola quiete possibile, che è la pace di Cristo, la pace esultante di Dio nel fondo del cuore».
Il monaco si consacra per vocazione a perseguire unicamente l'unione con Dio, attraverso la preghiera, che a sua volta presuppone il totale distacco, la perfetta purificazione, la rinuncia a tutto ciò che potrebbe rallentare il suo cammino spirituale.
I Padri del deserto «hanno spesso ricordato che Gesù, anche dopo il primo ritiro nel deserto, ha spesse volte cercato la solitudine. La solitudine pone dunque il monaco al centro stesso del mistero della redenzione, in una configurazione al Cristo che tocca l'apice più doloroso, ma anche il più fecondo della sua opera di salvezza. In, questo modo il legame tra solitudine e preghiera prolungata, estasi e sofferenza viene solidamente affermato»  
La ricerca cristiana della solitudine, del silenzio e della pace interiore potrebbe anche apparire una sofisticata spinta egoistica. Ma non è così. «Consacrare interamente la propria vita terrena perché Dio sia tutto in tutte le cose è precisamente l'opposto dell'egoismo. E partecipare nel modo più generoso possibile, dopo il martirio, alla grande opera di Dio amore» .




LA PREGHIERA ESICASTA


S. Giovanni Climaco
  Senza alcun dubbio, fra tutti i metodi il primo posto spetta a quello raccomandato da Giovanni Climaco. Tale metodo, infatti, è particolarmente pratico e non presenta alcun pericolo: è necessario e addirittura indispensabile per l'efficacia della preghiera; esso è alla portata di tutti i cristiani che vivono con pietà e cercano la salvezza, siano essi monaci o laici. Giovanni Climacogrande guida dei monaci, parla di tale metodo in due punti della sua Scala che conduce dalla terra al cielo: nel gradino che tratta dell'obbedienza e in quello sulla preghiera. Il fatto stesso che egli esponga il primo metodo nel capitolo consacrato alla dottrina riguardante l'obbedienza dei monaci cenobiti, mostra chiaramente che esso è concepito anche per i monaci. L'esposizione di tale metodo è poi ripresa nel lungo capitolo consacrato alla preghiera, dopo le istruzioni concernenti gli esicasti; è rivolta quindi anche ai monaci più avanzati nel cammino spirituale. Lo ripetiamo: il suo grande merito consiste nel fatto che esso dà piena soddisfazione evitando qualsiasi pericolo.
“Rinchiudi il tuo pensiero nelle parole”
Nel gradino sulla preghiera Giovanni Climaco dice:
 “Sforzati di ricondurre o esattamente di rinchiudere il pensiero nella preghiera”.
Se, dato il suo stato d’infanzia, il tuo pensiero viene a mancare e si disperde, riconducilo. La mente tende all'instabilità. Ma colui che mette ordine in tutte le cose può darle stabilità. Se tu perseveri in questa attività e la custodisci costantemente, colui che stabilisce in te dei limiti al tuo mare verrà e le dirà durante la tua preghiera: “Fin qui giungerai e non oltre”(Gb 38.11). Non è possibile legare lo spirito; ma là dove si trova il creatore di tale spirito, tutto si sottomette a lui".
La fase iniziale della preghiera consiste  nel respingere i pensieri fin dal loro nascere,   mediante la preghiera; la fase centrale si ha invece quando la mente rimane esclusivamente nelle parole pronunciate vocalmente o mentalmente; il coronamento, infine, è il rapimento della mente verso Dio.   Nel gradino sull'obbedienza, Giovanni afferma: "Lotta costantemente con il tuo pensiero e fallo ritornare a te ogni volta che prende il volo. Dio non esige dai novizi una preghiera totalmente libera dalle distrazioni; non affliggerti se derubato, ma resisti e fai costantemente ritornare la mente verso di te.

  Pregare con attenzione
  Il metodo esposto qui consiste nel pregare con attenzione, sia che lo si faccia vocalmente che mentalmente. Quando si prega con attenzione, il cuore non può estraniarsi, come ha detto Marco l'Asceta: "La mente che prega senza distrazione rende il cuore contrito".Così, dunque, colui che prega secondo il metodo esposto da Giovanni Climaco pregherà con le labbra, con la mente e con il cuore; e chi avrà progredito in questo modo di pregare possiederà la preghiera della mente  e de cuore e attirerà su di sé la grazia divina,  come si può vedere dalle parole del grande maestro dei monaci. Che desiderare di più? Nulla, certamente.
 Quando si pratica la preghiera di Gesù in questo modo, in quale illusione si potrebbe incorrere? Si rischia solo una cosa: lasciarsi trascinare nelle distrazioni. Ma questo è un difetto che appare chiaramente: è inevitabile nei principianti, ma lo si può immediatamente correggere facendo ritornare il pensiero alle parole della preghiera. Infine può essere completamente eliminato, grazie a alla misericordia e all’aiuto di Dio, e al prezzo di un costante sforzo ascetico.
  Come Giovanni Climaco parla della preghiera del cuore
Certuni si chiederanno forse se un Padre tanto illustre e vissuto in un'epoca in cui l'orazione mentale era fiorente non abbia detto niente della preghiera compiuta dalla mente nel cuore. Ne parla sì ma in un modo così velato che soltanto coloro che conoscono per esperienza tale preghiera possono comprendere di che cosa si tratti. Il santo ha agito così in quanto guidato da quella sapienza spirituale con cui tutto il suo libro è stato scritto. Dopo aver esposto a riguardo della preghiera l'insegnamento più sicuro possibile e che può condurre chi lo pratica a uno stato di grazia, Climaco si espresse in modo allegorico su ciò che si compie quando la grazia viene a coronare la fatica della preghiera.
"Una cosa", dice, "è volgersi frequentemente verso il proprio cuore [....], pregare con attenzione, con la partecipazione del cuorealtra cosa è, però,  discendere con la mente nel tempio del proprio cuore e offrirvi una preghiera mistica piena della forza e della grazia di Dio: la seconda tuttavia procede dalla prima. L'attenzione della mente durante la preghiera attira la  partecipazione del cuore; quando l'attenzione aumenta, la partecipazione Del cuore alla mente si trasforma in unione del cuore con la mente; quando infine si opera la 'fusione  dell'attenzione e della preghiera, la mente discende nel cuore per compiervi il vastissimo servizio sacro dell'orazione. Tutto ciò si realizza sotto la direzione della grazia di Dio, secondo il suo beneplacito e il suo giudizio. Ricercare  il secondo stato prima d'aver realizzato il primo è non soltanto inutile, ma può anche causare grossi danni. Per salvaguardare il lettore da un tale rischio, il mistero della preghiera, in questo libro destinato all'uso comune dei monaci, viene protetto contro la curiosità  e la leggerezza di spirito. In  quei tempi benedetti, in cui numerosissimi ricettacoli  della grazia, si poteva ricorrere ai loro consigli ogniqualvolta le circostanze lo richiedessero.
    Linguaggio simbolico dei Padri
  Fra i monaci di Raito, per i quali il beato Giovanni scrisse la  Scala, l'orazione mentale era fiorente sotto la direzione di guide spi4tuali esperte. Il santo scrittore vi fa nuovamente allusione, in modo velato, nella sua "Lettera al pastore». Ecco come si esprime: "Innanzitutto, venerabile padre, noi abbiamo bisogno di forze spirituali per poter prendere per mano come fossero bambini e poter liberare dalla folla dei pensieri coloro che desideriamo condurre nel Santo dei Santi e ai quali speriamo di mostrare il Cristo che riposa sul loro altare mistico e segreto, e questo quando si trovano nell'anticamera di quel luogo, allorché vediamo che la folla li stringe e  li spinge nell'intento di impedire loro l'entrata desiderata. E se questi bambini sono estremamente deboli e nudi, bisogna che ce li mettiamo sulle spalle e li portiamo fino a che abbiano raggiunto la porta d'entrata. So benissimo che lì abitualmente ci si accalca e scoppiano risse di ogni genere. Ecco perché c'è chi ha detto a questo proposito: Questa fatica è dinanzi a me fino a che io non entri nel santuario di Dio (Sal 72.16-17). La fatica, però, dura solo fino all'entrata.

Isacco il  Siro
"Colui che desidera vedere il Signore in se stesso si sforza di purificare il proprio cuore con l’incessante memoriaIl paese spirituale di un uomo la c cui anima è pura si trova dentro di lui, il sole che vi brilla è la luce della santa Trinità, l'aria che vi respirano i suoi abitanti è lo Spirito Santo, la gioia, l’esultanza di quel paese è Cristo, Luce dalla Luce che è il Padre. Questa è la Gerusalemme, il regno di Dio nascosto in noi di cui parla il  Signore (cfLc  17.21). Quel paese è la nube della gloria  di Dio: solo coloro che sono puri di cuore vi entreranno per vedere il Volto del loro Maestro e per avere la mente illuminata dai raggi della sua luce".  "Sforzati di entrare nella cella che è in te e vedrai la cella celeste. L'una e l’altra sono una sola: è attraverso un’unica entrata che penetri in entrambe.  La scala che porta al regno dei cieli dei cieli è in te: essa misteriosamente issata nella tua anima. Entra nel profondo dite stesso, lontano da ogni peccato, e la troverai i gradini per salire in cielo"

Barsanufio
Barsanufio fu un monaco che raggiunse le più alte vette della vita spirituale e seppe introdurre i propri discepoli nel santuario della preghiera del cuore mossa dalla grazia e negli stati cui essa conduce.  Fra le sue istruzioni leggiamo ora quella che egli diede  a un esicasta che si trovava sotto la sua direzione: "Dio, che solo è senza peccato e che salva quanti sperano in lui, renda forte l’amore col quale tu lo servi nella santità e nella giustizia tutti i giorni della  tua vita nel santuario e sull’altare dell’ uomo interiore, là dove sono offerti a Dio sacrifici spirituali, l’oro, l’incenso e la mirra, dove è sacrificato il vitello grasso, dove è sparso il sangue prezioso dell'Agnello senza macchia e dove risuonano gli inni armoniosi dei santi angeli.   “Allora si offriranno vitelli sul tuo altare (Sal 50.21). Allora... quando, dunque? Quando verrà il nostro Signore, questo sommo sacerdote che offre e che riceve il sacrificio non  cruento; quando,  nel suo Nome, lo storpio seduto alla porta Bella sarà giudicato degno di udire l'annuncio gioioso: 'Alzati e cammina (At 3.6)Egli entrerà allora nel santuario camminando, saltando, lodando Dio. Allora avrà fine il sonno della negligenza e ignoranza; allora si ritirerà dalle palpebre la sonnolenza dell’acedia e della pigrizia; allora le cinque vergini sagge accenderanno le loro lampade (cf. Mt 25.3) ed esulteranno con lo sposo nella santa camera nuziale, cantando a una sola voce e senza turbamento: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore: beato l’uomo che mette in lui la sua speranza” (Sal 33.9).  Allora avranno fine le lotte, i turbamenti, i monti; allora regnerà la pace della santa Trinità; il tesoro sarà sigillato e resterà al sicuro. Prega, perché tu possa comprendere e realizzare tutto questo,  e rallegrarti in Cristo, nostro Signore”.
 Come iniziare
 Lo ieromonaco Doroteo, asceta e autore spirituale russo, ha proposto un metodo eccellente per imparare la preghiera di Gesù: "Colui che prega con le labbra", scrive questo autore, "ma trascura la sua anima e non custodisce il suo cuore, fa salire le sue preghiere in aria, ma non verso Dio, e s'affatica invano, perchè Dio è attento allo spirito e allo zelo e non alla molteplicità delle parole. Bisogna pregare con grande fervore: con tutta l'anima, con tutto lo spirito, con tutto il cuore, con timor di Dio e con tutte le proprie forze. L'orazione mentale non permette di entrare nella cella interiore  alle fantasie  ai cattivi pensieri. Vuoi imparare a praticare la preghiera della mente e del cuore? Te la insegnerò. Stà bene attento, amico e obbediscimi. Per cominciare, devi dire la preghiera vocalmentecioè con le labbra, la lingua e la voce, forte quanto basta perchè tu possa udire te stesso. Quando le labbra, la lingua e i sensi saranno sazi della preghiera detta vocalmente, la preghiera vocale cessa e si comincia a dirla in un sussurro. Dopo di ciò si deve imparare a fissare costantemente la propria attenzione sulla zona della gola. Allora, a un segno, la preghiera della mente e del cuore comincerà a sgorgare spontaneamente e incessantemente: si presenterà da  e agirà in ogni momento, durante qualsiasi attività e in qualsiasi luogo".

L'insegnamento di Serafim di Sarov
Il beato ieromonaco Serafim di Sarov prescrive al principiante, in conformità a un costume già stabilito nel "deserto" di Sarov, di dire incessantemente la preghieraΚύριε Ιησού ΧριστέYιέ Θεούελέησον με τον αμαρτωλό:"SIGNORE GESU' CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETA' DI ME, PECCATORE""Durante la preghiera", insegna lo geron,"sii presente a te stesso, cioè raccogli la tua mente e uniscila alla tua anima. All'inizio, per uno o due giorni o anche più,  questa preghiera con la sola mente, staccando le parole e fissando la tua attenzione su ciascuna di esse in particolare. Quando il Signore riscalderà il tuo cuore con il calore della sua grazia e unificherà il tuo essere in un solo spirito, questa preghiera si metterà a sgorgare in te incessantemente: essa sarà sempre con te e ti porterà gioia e nutrimento". E' proprio questo il senso delle parole pronunciate dal profeta Isaia: 'La rugiada che è con te è guarigione per loro' (Is 26.19). [...] Taci, custodisci costantemente il silenzio, ricordati sempre della presenza di Dio e del suo Nome. [...] Quando sei seduto a tavola [...] sii attento a te stesso e nutri la tua anima con la preghiera".
Dopo aver dato questa istruzione al principiante che conduce la vita attiva ed avergli insegnato la pratica della preghiera adatta a lui, l'anziano gli proibisce di slanciarsi in modo prematuro e scriteriato verso la vita contemplativa, perchè è impossibile arrivare alla seconda senza passare per la prima. La vita attiva ci purifica dalle nostre passioni peccaminose, ci fa salire fino alla perfezione attiva e, per ciò stesso, ci spiana la strada che porta alla vita contemplativa. Non possono avvicinarsi se non coloro che si sono purificati dalle proprie passioni e hanno ricevuto una formazione completa nella vita attiva, come si può vedere dalle parole della Sacra Scrittura: "Beati i puri di cuore, perchè vedranno Dio (Mt 5.8) e da quelle di Gregorio Teologo: "Possono avvicinarsi alla contemplazione solo coloro che hanno acquisito un'esperienza perfetta nella vita attiva. E' necessario avvicinarsi alla vita contemplativa con timore e tremore, con cuore umile e contrito, scrutando a lungo le Sante Scritture e sotto la direzione di una guida esperta e non con temerarietà e di propria iniziativa. A detta di Gregorio Sinaita, l'uomo temerario e presuntuoso ricerca uno stato spirituale elevato che lo supera e si sforza con orgoglio di raggiungerlo prematuramente. E ancora, se, ispirato da un desiderio satanico e non autentico, qualcuno sogna con la sua fantasia di raggiungere uno stato elevato, il diavolo lo prenderà nelle sue reti e lo farà suo schiavo". [...] 
Vigilanza e preghiera incessante
"Solo coloro che hanno l'attività interiore e che vigilano sulla propria anima", afferma Serafim, "ricevono i doni della grazia". Quelli che hanno realmente deciso di servire Dio devono esercitarsi alla memoria Dei e alla preghiera incessante al Signore Gesù Cristo, dicendo in spirito: "Κύριε Ιησού Χριστέυιέ Θεού ελέησον με τον αμαρτωλό: SIGNORE GESU' CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETA' DI ME, PECCATORE". A condizione che ci si metta al riparo dalle distrazioni e che si custodisca la pace dell'anima, questa pratica permette di avvicinarsi a Dio e di unirsi a Lui. Secondo le parole di Isacco il Siro, non possiamo avvicinarci a Dio se non mediante la preghiera incessante.

IL METODO 
Nil Sorskij prescrive di far silenzio interiormente, proibendo a se stessi non soltanto di pensare a qualcosa di peccaminoso o di vano ma anche a qualcosa di apparentemente utile o di spirituale. Invece di pensare, bisogna guardare incessantemente nelle profondità del proprio cuore e dire: "Κύριε Ιησού ΧριστέYιέ Θεού ελέησον με τον αμαρτωλό: SIGNORE GESU' CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETA' DI ME, PECCATORE". Si può pregare in piedi, seduti, coricati. Coloro che sono robusti e in buona salute preghino stando in piedi; i deboli, invece, possono pregare anche stando coricati, perchè in questa pregheira l'ascesi spirituale prende il sopravvento su quella del corpo. Bisogna dare al corpo una posizione che procuri allo spirito ogni libertà per l'attività che gli è propria. Tuttavia, è da tenere presente che qui si parla del modo di agire dei monaci che, mediante un'ascesi corporale adeguata, hanno messo ordine nelle proprie inclinazioni corporali e che, in seguito ai progressi già compiuti, sono passati dall'ascesi del corpo a quella dell'anima. 

Controllo del respiro
 
Nil Sorskij raccomanda di rinchiudere la mente nel cuore e di controllare, per quanto è possibile, il respiro, per non respirare troppo spesso. In altre parole, bisogna respirare molto adagio. In generale, bisogna reprimere tutti i movimenti del sangue e mantenere il corpo e l'anima in uno stato di tranquillità, di silenzio, di adorazione, di timor di Dio; altrimenti l'attività propriamente spirituale non può manifestarsi in noi: essa lo fa quando tutti i movimenti e i ribollimenti del sangue si sono placati. L'esperienza insegnerà che il controllare il fiato, cioè il respirare con minor frequenza e lentamente, contribuisce molto a farci entrare in uno stato di calma e a ricondurre la mente dal suo vagabondare. " Vi sono molte opere virtuose", dice Nilo, "ma sono tutte parziali; La preghiera del cuore, invece, è la sorgente di tutti i beni: essa irriga l'anima come fosse un giardino. Quest'opera, che consiste nel mantenere la mente nel cuore senza nessun pensiero, è estremamente difficile per coloro che non hanno imparato a praticarla; [...]. Ma quando l'uomo riceve la grazia, allora prega senza sforzo e con amore, perchè è da essa consolato. Allorchèsopraggiunge l'attività della preghiera, essa attira a se la mente, la riempie di allegrezza e la libera dalle distrazioni.  
Per abituarsi al metodo raccomandato da Nil Sorskij è molto utile combinarlo con quello di Giovanni Climaco e pregare senza nessuna fretta.

La tecnica di Niceforo l'Esicasta
Nella seconda metà del XIII secolo, l'eremita Niceforo l’Esicasta è il primo che attesti un legame tra la preghiera di Gesù e una tecnica di respirazione.  Dopo aver chiarito la funzione del cuore e i suoi rapporti con il respiro, egli insegna il raccoglimento dello spirito che deve essere introdotto nelle narici e spinto sin dentro al cuore contemporaneamente all’aria inspirata. Quando lo spirito, placato, è entrato nel cuore, bisogna gridare dentro di sé: Κύριε Ιησού ΧριστέYιέ Θεού ελέησον με τον αμαρτωλό: SIGNORE GESU’CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETA’ DI ME!”.   
Su Niceforo è degna di nota la testimonianza di san Gregorio Palamas: "Niceforo che aveva confessato la vera fede (antiunionista) e per questa ragione fu condannato all'esilio dal primo imperatore Paleologo che accettò il pensiero dei latini; che era di origine italica, ma riconosciuta l'eresia di quelle genti, raggiunse la nostra chiesa ortodossa.... qui venuto, adottò la vita più rigorosa, quella dei monaci, e scelse come abitazione quel luogo che porta il nome della santità, cioè l'Athos, casa della virtù, posta al limite del mondo e del soprannaturaleDimostrò subito di saper obbedire sottomettendosi ai padri più eminenti, dopo un lungo tempo dette loro la prova della sua umiltà; allora anche lui ricevette da loro l’arte delle arti,  cioè l'esichia come esperienza (Triadi II, 2,2).  Nel suo celebre scritto sulla pratica esicasticaTrattato della sobrietà e della custodia del cuoreNiceforo invita i lettori ad imparare la TECNICA D'ORAZIONE e afferma: "Ritorna dunque, o più esattamente torniamo, cari fratelli, a noi stessi, rigettando col massimo disprezzo il consiglio del serpente [....]. Perchè non vi è che un mezzo per accedere al perdono e alla familiarità con Dio; prima di tutto, ritornare per quanto è possibile in noi stessi". Niceforo fa seguire poi un Elenco di brani patristici che invitano all'attenzione e alla custodia del cuore e nell'ultima parte dello scritto parla della preghiera e del Metodo:
 "Prima di tutto la tua vita sia tranquilla, libera da ogni preoccupazione, in pace con tutti....Orbene: in quanto a te siediti, raccogli il tuo spirito, introducilo - lo spirito intendo - nelle narici; è appunto questa la via di cui si serve il respiro per arrivare al cuore. Spingilo, forzalo a discendere nel tuo cuore insieme con l'aria inspirata. Quando vi sarà, tu vedrai quale gioia ne consegue: non avrai nulla da rimpiangere... Fratello mio, abitua dunque il tuo respiro a non essere sollecito a uscirne. Agli inizi gli manca lo zelo... per questa reclusione e questo sentirsi alle strette. Ma una volta che abbia contratta l'abitudine, non proverà più alcun piacere a circolare al di fuori, PERCHE' IL REGNO DI DIO E' DENTRO DI NOI e a chi volge verso di lui i suoi sguardi e lo ricerca con preghiera pura, tutto il mondo esterno diviene vile e spregevole. Se fin dall'inizio riesci a penetrare con lo spirito NEL LUOGO DEL CUORE che ti ho mostrato, sia ringraziato Dio! Glorificalo, esulta e attaccati unicamente a questo esercizio. Esso ti insegnerà ciò che ora ignori. Sappi che mentre il tuo spirito si trova là, tu non devi  tacere  stare inerte. Ma non avrai altra preoccupazione che quella di GRIDARE: "Κύριε Ιησού ΧριστέYιέ Θεού ελέησονμε τον αμαρτωλόSIGNORE GESU' CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETA' DI ME". Ma fratello mio, se malgrado tutti gli sforzi, non giungi a penetrare nei luoghi del cuore pur seguendo le mie indicazioni,  come ti dico e, con l'aiuto di Dio, arriverai allo scopo. Tu sai che la ragione dell'uomo ha sede nel petto.... Dopo aver bandito da questo luogo ogni pensiero (lo puoi, basta volerlo), donagli l'invocazione "SIGNORE GESU' CRISTO ABBI PIETA' DI ME"  e costringiti a gridare interiormente queste parole, escludendo ogni altro pensiero. quando, col tempo, sarai reso padrone di questa pratica, essa ti aprirà senz'altro l'entrata nel luogo del cuore.
All'esicasta dunque che vuole avvalersi di un metodo psicofisico nella sua vita di preghiera, Niceforo consiglia una strada che comprende una pluralità di esigenze: scegliersi una guida esperta; sedersi, creando calma, anzitutto fisica, in se stessi; concentrare l'attenzione sulla respirazione, costringere la mente a seguire il respiro che scende verso il luogo del cuore. Infatti la mente dispersa nelle cose esteriori può essere raccolta solo facendola scendere nel cuore, centro di tutto l'uomo. Quando la mente sarà discesa nel cuore, sgorgherà la preghiera. Il metodo d'altra parte non opera da solo. E' per questo che Niceforo invita a legare ad esso la recita interiore della preghiera di GesùInfatti è la ripetizione del NOME DI GESU'  la vera arma contro il demonio e l'autentica via per elevarsi all'amore e al desiderio di Dio. Tale metodo pur esprimendo una condizione della preghiera dell'esicastanon ne costituisce  l'essenza  lo scopo.   La Preghiera del cuore, pur legata alla respirazione, non può tuttavia essere separata da una mistica sacramentaria e da una teologia della grazia.

Gregorio il Sinaita
In Gregorio il Sinaita la preghiera di Gesù è esplicitamente accompagnata da pratiche volte alla concentrazione dello spirito:
«A partire dal mattino, siediti su una seggiola bassa, spingi il tuo spirito dalla mente nel cuore e mantienivelo […]; faticosamente chino, con vivo dolore  al petto, alle spalle e alla nuca,  griderai senza posa nel tuo spirito o nell’animo: “Κύριε Ιησού ΧριστέYιέ Θεού ελέησον με τον αμαρτωλό: SIGNORE GESU’CRISTO ABBI PIETA’ DI ME!”. In seguito, a causa della costrizione e del disagio dovuto alla persistenza, trasporterai il tuo spirito sulla seconda metà dicendo: “Yιέ Θεού ελέησον με τον αμαρτωλόFIGLIO DI DIO ABBI PIETA’ DI ME!”.
Le indicazioni sono più precise, e va notato come l'atteggiamento del corpo che viene suggerito si diversifichi dalle posizioni per la meditazione codificate in Asia. A parte questo, sono doverosi degli accostamenti per quel che riguarda l'uso ed il controllo della respirazione. Gregorio prescrive una posizione che rende tale respirazione difficoltosa in quanto «la tempesta del respiro che proviene dal cuore oscura lo spirito e agita l’anima, la distrae, rendendola soggetta all’oblio….” Ne scaturirà l’ esigenza di calmare il ritmo respiratorio per difendersi dall'oblio. Citando Evagrio egli precisa che un monaco deve avere il « ricordo di Dio» per respirazione e perseverare in cuor suo nella ricerca del Signore. Controllare i moti dell' anima e concentrare lo spirito costituiscono i due primi obiettivi per colui che desidera dedicarsi alla preghiera d'invocazione del nome. Non viene precisato che occorre sincronizzare la ripetizione della formula con il ritmo della respirazione.

Simeone il Nuovo Teologo
A Simeone il Nuovo teologo viene attribuito dalla tradizione un piccolo opuscolo dal titolo: Metodo della santa preghiera e attenzione e che invece sembra essere di un autore sconosciuto che una parte degli studiosi ha chiamato Pseudo-Simeone. L'autore inizia il suo scritto descrivendo tre metodi o forme di preghiera .

Esistono tre modi di attenzione e di preghiera, per essi l'anima può elevarsi e progredire, oppure cadere e perdersi. Chi usa di questi metodi nel modo e nel tempo giusto progredisce, chi invece li pratica inopportunamente e insipientemente si smarrisce.
L'attenzione e la preghiera sono unite inseparabilmente come il corpo è legato all'anima. L'attenzione procede e controlla i movimenti del nemico come un'avanguardia, è la prima ad ingaggiare la lotta col peccato, e ad opporsi ai pensieri malvagi che vorrebbero entrare nell'anima. La preghiera ne segue le orme, sterminando e distruggendo tutti i pensieri malvagi contro i quali l'attenzione è entrata in lotta, la sola attenzione non ha la forza di distruggerli.
Da questo combattimento contro i pensieri malvagi condotto con l'attenzione e la preghiera dipende la vita dell'anima. Servendosi dell'attenzione possiamo render pura la preghiera e compiere dei progressi; se non ci serviamo dell'attenzione per conservarla pura e la lasciamo incustodita, diventa inquinata dai pensieri malvagi e diveniamo degli inservibili falliti. 
"Quando la mente trova il posto nel cuore, vede subito quello in cui non avrebbe mai creduto: vede l'aria all'interno del cuore e se stessa tutta luminosa e piena di discernimento; appena spunta un pensiero, prima che si completi e prenda forma, lo scaccia e lo annienta con l'invocazione di Gesù Cristo. Allora la mente piena di risentimento nei confronti dei demoni, desta la collera secondo natura e colpisce, cacciandoli, i nemici spirituali. Il resto lo apprenderai con l'aiuto di Dio, nella custodia della mente, mantenendo Gesù nel cuore". 

Sul primo modo dell'attenzione e della preghiera :
Queste sono le caratteristiche del primo modo: uno si mette in orazione, solleva le mani, gli occhi e la mente verso il cielo, tiene fermi nella mente i pensieri di Dio, immagina i beni celesti, le schiere degli angeli e le dimore dei santi, riunisce, in una parola, nella mente quanto ha appreso dalle Sante Sctitture e durante la preghiera vi si sofferma, esortando l'anima ad essere desiderosa di Dio e del suo amore. Gli può capitare in questo stato di versare delle lacrime e di piangere. Può succedere, se uno segue soltanto questo modo, che poco a poco il suo cuore s'inorgoglisca senza che lui l'avverta, e pensi che ciò che esperimenta gli venga dalla grazia di Dio come consolazione, e comincia a domandare a Dio di poter rimanere sempre in quello stato. Ma questo è segno di smarrimento, il bene quando non è compiuto come si deve non è più bene.
Se quest'uomo s'impegna in una vita solitaria totale difficilmente potrà sfuggire alla follia. Se questo per un puro caso non avvenga, gli sarà impossibile raggiungere il possesso della virtù e il calmo pensiero. Questo modo contiene un altro rischio di deviazione: uno può vedere con gli occhi del corpo delle luci e dei fulgori, gustare dei profumi soavi, sentire dei suoni e altre simili cose. Alcuni ne sono rimasti del tutto invasati, nella loro insania hanno cominciato a vagolare da un luogo all'altro; altri, scambiando il diavolo per un angelo della luce, sono rimasti ingannati, fino a diventare incorreggibili rifiutando di accogliere l'ammonimento dei fratelli. Altri, istigati dal diavolo, si sono suicidati gettandosi chi da un precipizio, chi impiccandosi. . .
Da quanto abbiamo detto non è difficile, per chi ha buon senso, comprendere quale rischio sia incluso in questo primo modo di attenzione e di preghiera (quando venga considerato come l'unico nella via della preghiera). Anche se qualcuno evita questi pericoli nel praticarlo perché vive in una comunità, ai suoi rischi sono esposti particolarmente gli eremiti, sappia che non farà nessun passo avanti nella vita spirituale. 


Sul secondo modo di attenzione e di preghiera :
Questo è il secondo modo di attenzione e di preghiera: l’orante ritrae la mente dagli oggetti sensibili e la raccoglie nel suo intimo; vigila sui sensi e unifica i suoi pensieri in modo che interrompano il vagabondaggio tra le vanità mondane. A volte esamina i suoi pensieri, a volte si ferma a considerare le parole che le sue labbra pronunciano; a volte ferma il pensiero quando affascinato dal diavolo vola verso qualcosa di peccaminoso e di vano; a volte, vinto da qualche passione, con grande travaglio e sforzo lotta per rientrare in sé stesso. La nota specifica di questo modo è che si svolge nella testa, i pensieri combattono contro i pensieri.
In questo combattimento contro se stesso, non si può trovare la pace, né il tempo di praticare quelle virtù che sono il coronamento della verità. Questo stato è paragonabile ad uno che lotti con i nemici, nella notte, al buio, sente le loro voci, subisce i loro colpi, ma non vede chiaramente dove siano, da dove vengano e per qual motivo stiano aggredendolo; rimane dentro la testa, mentre i pensieri malvagi escono dal cuore. La tenebra che gli avvolge la mente, la tempesta che infuria nei suoi pensieri sono la causa che impedisce di vedere la origine di questa deviazione, non riesce a sfuggire dalla presa dei demoni, suoi nemici, e a riconoscere i loro colpi. Se poi insieme a tutto questo uno vien preso dalla vanità di ritenersi vigilante su se stesso come dovrebbe, lavora inutilmente e perderà per sempre ogni ricompensa. Orgoglioso disprezza e critica gli altri e loda se stesso, considerandosi atto ad essere un pastore di uomini e di guidare gli altri diventa simile ad un cieco che vuol condurre altri ciechi.
Questi sono i cararteri del secondo modo di attenzione e di preghiera. Chi vuol raggiungere la salvezza saprà riconoscere il danno che sta arrecando all'anima sua e aprirà con cura gli occhi su se stesso. Questo modo, ciò nonostante, è migliore del primo come una notte di plenilunio è meglio di una notte senza luna.

Sul terzo modo di attenzione e di preghiera :
Il terzo modo è meraviglioso ma difficile a spiegare; è insieme difficile e incredibile per chi non lo abbia mai praticato, fino al punto da esser respinto come possibile attuazione. Nel nostro tempo infatti è difficile incontrare chi pratichi questo modo di attenzione e di preghiera; verrebbe da pensare che questo dono benedetto ci abbia abbandonato insieme all'obbedienza.
Se uno osserva l'obbedienza perfetta al suo padre spirituale, si libera da ogni perplessità, avendole poste sulle spalle della sua guida. Libero da ogni attaccamento sensibile, può dedicarsi con zelo e diligenza alla pratica del terzo modo di preghiera, supponendo però che si sia posto sotto la direzione di una guida non sottoposta a smarrimenti.
Se vuoi raggiungere la salvezza comincia in questo modo: stabilisci nel tuo cuore la perfetta obbedienza alla tua guida spirituale, compi qualunque cosa con coscienza pura, alla presenza di Dio; non è possibile avere la coscienza pura senza l'obbedienza. Conserva pura la coscienza in queste tre direzioni: di fronte a Dio, di fronte alla tua guida spirituale, di fronte agli uomini e alle cose e alla realtà del mondo.
Di fronte a Dio il dovere della tua coscienza consiste nel non fare azione che, secondo la tua coscienza, non sia gradita e accetta a Dio.
Di fronte al tuo padre spirituale fa soltanto quello che ti dirà, non voler fare niente di più o di meno di quanto ti suggerisce, cammina sotto la guida della sua volontà e della sua intenzione.
Di fronte agli uomini non fare alcuna cosa che non vorresti venisse fatta a te stesso.
Di fronte alle cose il tuo dovere è di mantenere pura la tua coscienza usandola in maniera giusta, per le cose intendo il cibo, le bevande e le vesti.
Procedendo in questo modo ti appronterai un sentiero solido e diretto verso il terzo modo di attenzione e di preghiera, esso consiste essenzialmente in questo: la mente scenda nel cuore. Mentre preghi ferma l'attenzione nel cuore, percorrilo in tutti i sensi, senza mai distaccartene, e dalle profondità del cuore fa' salire a Dio la tua preghiera. Quando la mente, dimorando nel cuore, comincia a gustare quanto è buono il Signore e si sente colma di grande diletto non vorrà più abbandonare quel luogo. Contemplerà le profondità del cuore e vi rimarrà cercando e allontanando quei pensieri che il demonio vi avrà disseminato. Chi non conosce e non ha provato questo modo, lo considererà difficile e opprimente. Chi invece avrà gustato la sua dolcezza e avrà goduto nelle profondità del cuore, grida con San Paolo: "Chi potrà distaccarsi dall'amore di Cristo?..". 
Osserva prima di ogni altra cosa queste tre direttive: sii libero da ogni preoccupazione, non solo riguardo a ciò che è malefico e vano ma anche a ciò che è buono, in una parola sii morto a tutto; conserva la tua coscienza in modo che nulla possa rimproverarsi; abbi il perfetto distacco da ogni attaccamento passionale, in modo da non avere alcuna inclinazione verso ciò che appartiene al mondo. Mantieni la tua attenzione in te stesso, tieni ferma la mente nel cuore, con tutti i mezzi possibili cerca di scoprire il luogo dove è il cuore; se avrai il dono di trovarlo il tuo pensiero vi dimorerà per sempre. Impegnandoti in tal modo la mente scoprirà il luogo del cuore, quando l'avrà trovato la grazia renderà la preghiera soave e ardente. La mente acquisterà la capacità di allontanare i pensieri malvagi da qualunque parte si manifestino prima che abbiano preso consistenza, facendoli dissipare con l'invocazione: "Signore Gesù abbi pietà di me! ".
Il primo e il secondo modo di attenzione e di preghiera non conducono l'uomo alla perfezione. Volendo costruire una cosa non cominciamo dal tetto ma dalle fondamenta; prima gettiamo le fondamenta poi innalziamo i muri infine edifichiamo il tetto. Altrettanto ci è richiesto per l'edificio spirituale, innanzi tutto gettiamo il fondamento: vigilando sul cuore e purificandolo dalle passioni; quindi innalziamo le mura respingendo l'assalto dei nemici che si scagliano contro servendosi dei sensi, e addestrandoci a controbattere i loro assalti il più presto possibile; dopo aver fatto questo possiamo porre mano al tetto, alla totale rinuncia a tutto per offrirci completamente a Dio. In questo modo potremo ultimare la nostra casa in Gesù Cristo, a Lui sia lode per sempre. Amen.
L'autore consiglia : Un metodo naturale per l’invocazione del  Nome  e la custodia del cuore:
"Quindi, seduto in una cella tranquillo, in disparte, in un angolo,  quello che ti dico: chiudi la porta, ed eleva la tua mente al di sopra di ogni oggetto vano e temporale. quindiappoggia la barba sul petto, volgi il tuo occhio corporeo, assieme a tutta la mente, nel centro del tuo ventre, cioè nell'ombelico. Comprimi l'inspirazione che passa per il naso, in modo da non respirare agevolmente ed esplora mentalmente all'interno delle viscere, PER TROVARE IL POSTO DEL CUORE ove sono solite dimorare tutte le potenze dell'animo. Dapprima troverai oscurità e una durezza ostinata, ma, perseverando in quest ‘opera notte e giorno, troverai, oh meraviglia!, una felicità infinita. 
Il metodo raccomanda, durante la ripetizione della preghiera "Κύριε Ιησού ΧριστέYιέ Θεού ελέησον με τον αμαρτωλόSignore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me", una posizione rilassata: "seduto in una cella tranquilla"; una disciplina della respirazione; una pratica immaginale alla ricerca del luogo del cuore nelle viscere: Sembra che questa tecnica avesse un preciso significato: "L'ombelico, secondo l'anonimo - che seguiva un'antichissima concezione già attestata nel Timeo di Platone - era la sede della concupiscenza. La trasmutazione che viene operata con questo metodo, il raffreddamento delle potenze dell'anima, non va intesa come repressione o annientamento di qualche parte, ma come una trasformazione delle diverse componenti psichiche.


 
Fonti:
I. BrjancaninovPreghiera e lotta spiritualeed Gribaudi).  
Filocalia .

M. BRUNINI: La preghiera del cuore nella spiritualità orientale, ed. Messaggero - Padova.