C'è un'umiltà che viene dal timore di Dio
e ce n'è una che viene dall'amore di Dio. C'è chi è stato reso umile dal timore
di Lui e c'è chi è stato reso umile dalla gioia di Lui. All'uno si accompagna la
compostezza delle membra, l'ordine dei sensi e un cuore sempre contrito;
all'altro, invece, una grande semplicità e un cuore che fiorisce e non può
essere contenuto.
Isacco di Ninive, Prima collezione, 50.
L'uomo e la preghiera. Sarebbe meglio dire l'uomo è
preghiera: assetato di verità e di conoscenza, consumato e riscaldato dal fuoco
di scoprire e di scoprirsi, desideroso di capire chi è veramente e qual è la sua
vocazione, intesa proprio come vocatio , “chiamato ad essere”. Questa è
la sorgente da cui scaturisce il bisogno di un senso, di un significato da
imprimere alla propria esistenza, investe tutto ciò che sono e tutto ciò a cui
mi accosto e, soprattutto, il modo in cui lo sento e ne divento partecipe.
Impegna la persona totaliter, anima ,
corpo e spirito e non risparmia la fatica e la sofferenza. Il cammino intrapreso
conosce spesso ostacoli e, qualche volta, amare sconfitte senza escludere il
senso di abbandono e una disarmante sensazione di impotenza dinanzi ai propri
limiti. Tuttavia il passo, anche se più stanco e più pesante, continua, poiché
la ricerca della Verità non viene meno. Verità intesa non come pura coerenza tra
il dire e il fare, ma come punto riferimentale imprescindibile, origine e fine
dell’homo religiosus:
Signore e Padrone della mia
vita, non darmi uno spirito di ozio, di abbattimento, d'ambizione e di vane
parole. Ma fa' Grazia, a me tuo servo, di uno spirito di castità, di umiltà, di
pazienza e di carità. Signore, mio Re, fa' ch'io veda i miei peccati e che non
giudichi il mio fratello, perché tu sei benedetto nei secoli dei secoli[1].
Vigilare, stare in ascolto per
potersi esprimere a propria volta, per potersi conoscere e riconoscere come
creatura chiamata sin dal principio a custodire dentro di sé e, nello stesso
tempo, a far traboccare qualcosa di immenso, sterminato, di una dimensione
talmente Altra, da poter essere definito con una sola parola: Mistero. E il
Mistero, l’Arcano (inteso nel derivato di Archê, ossia di Principio e non come
oscurità minacciosa) è l’uomo stesso. Egli è simile ad una foresta, che può
offrire frescura e riparo con le sue fronde, protezione e silenzio, ma anche
trasformarsi in regno dell’ignoto, mai conosciuto fino in fondo, da esplorare in
lungo e in largo affrontando, se necessario, ogni sorta di insidie. Una casa (oîkos), dove la stessa divinità ama
rivelarsi:
C'è
un'intelligenza pura e c'è un'intelligenza dello spirito. L'intelligenza pura si
ha quando il ricordo dei pensieri che riguardano le cose del mondo resta in noi
senza passione. L'intelligenza dello spirito, invece, si ha quando, dai pensieri
[provocati] dal loro ricordo, essa è mossa alla contemplazione di queste cose;
allora queste cose non se ne stanno [nell'intelligenza] solo in modo puro e
senza passione, ma questa, con l'occhio dello spirito, scruta il loro intimo e
inoltre ne succhia il gusto dello spirito, tramite la sensazione dei suoi moti[2].
È un
appello rivolto a tutta la persona, affonda nelle radici più profonde del suo
essere, è richiamo ineludibile che riverbera senza sosta negli anfratti
dell’interiorità e spinge ad incamminarsi sui sentieri della Verità , di ciò che
realmente sono e che sono chiamato ad essere:
Allora, prega
che ti sia dato un cuore puro e che lo spirito di rettitudine sia reso saldo in
te (Sal 51, 12), ossia che, liberato dai pensieri corrotti, la Grazia ti riempia
di pensieri divini. E che sia stabilito in te il mondo di Dio, immenso e
splendente, fatto di contemplazioni morali (vita attiva), naturali
(contemplazioni degli esseri) e teologiche (contemplazioni di Dio stesso)[3].
È una
consapevolezza intima, che, se può tramutarsi in slancio verso Qualcosa di
“Altro”, Infinitamente Grande e Meraviglioso, richiede come indispensabile
premessa una presa di coscienza della propria creaturalità e l’accettazione dei
limiti insiti in questa dimensione. Accettazione che non equivale a mera
passività o a dolorosa rassegnazione, non è annichilimento: è riconoscimento del
bisogno di andare al di là di quanto si può vedere e toccare, esigenza di levare
gli occhi verso l’alto e di tendere le mani. Non è resa e non è grido di
disperazione: l’homo religiosus, l’homo interrogans deve parlare con se
stesso e con l’Altro, deve comunicare, sentire , dialogare, ossia avere il
coraggio di interpellare e, soprattutto, di lasciarsi interpellare. L’homo religiosus, l’homo interrogans si rivolge con umiltà a
se stesso, agli altri e, sommamente, a Dio:
La sobrietà è la piccola finestra dalla
quale Dio si affaccia per mostrarsi allo spirito[4].
Gustare, sentire , offrire il proprio cuore, bussare alla porta
dell’Amore Sommo: è tutto l’uomo che si presenta con le paure, le fragilità del
suo essere e con il desiderio vivo e vitale di trovarsi, di far fiorire la
dignità di imago Dei . Sono rimandi
molto concreti e non è un caso se si riferiscono alla fisicità della persona,
evidenziando così la realtà e la radicalità di questa sana et sacra inquietudo . Il cuore è il
centro dell’uomo, rappresenta la parte più intima e costitutiva del suo essere,
è fondamento originario del virgulto creaturale:
Il cuore è l’organo centrale dei sensi
interni, il senso dei sensi, poiché ne è la radice. [...]. Ma la radice non sarà
santa se il cuore non sarà che un ramo dell’essere[5].
La
vigilanza e l’attenzione necessarie a percepire questi richiami, ora sommessi,
ora più forti dentro di sé non esclude i momenti di aridità interiore e di
sofferenza. Spesso le labbra arse dalla bruciante ricerca della Verità, invece
di sentire la frescura dell’acqua cristallina dell’autenticità, gustano il
sapore amaro dell’abbattimento. L’attesa, la necessità di porre ordine fra i
flutti impetuosi delle preoccupazioni personali e quotidiane che si infrangono
sugli scogli del cuore diventa lotta stremante, senza tregua:
Se vogliamo applicarci a sorvegliare e
raddrizzare la nostra ragione mediante un’attenta sobrietà, non c’è modo
migliore di sorvegliarla se non raccogliendo il nostro spirito disperso al di
fuori delle sensazioni e ricondurlo dentro di noi fino allo stesso cuore che è
la sede dei pensieri[6].
Rientrare in se stessi, diventare sentinelle dei propri giorni
fa percepire un respiro nuovo e totalizzante nello svolgersi dell’esistenza,
nelle scelte personali più o meno importanti. Il velo qualche volta soffocante
della grigia banalità viene levato, spazzato via dalla scoperta che io sono un
luogo sacro, che la mia anima , il mio corpo ed il mio spiritus , fragili e bisognosi di
purificazione, sono stati creati per essere dimora divina :
I movimenti della lingua e i moti del
cuore nel corso della preghiera sono come delle chiavi. Segue l'entrata nella
stanza, dove la bocca e le labbra tacciono; il cuore, il ciambellano dei
pensieri, la ragione, che domina i sensi, lo spirito, come uccello veloce, con
tutti i loro mezzi e facoltà, con le loro suppliche, non possono che restare
muti, perché è entrato il Padrone di casa[7].
Lo
stupore e la meraviglia sono gli zampilli del cuore rinnovato, illuminato dalla
certezza vocazionale di essere amato come un fiore delicato, che a suo tempo
conoscerà il prezioso istante dello sbocciare, aprendo i petali sotto la calda
carezza del sole. Lo sguardo del cuore sarà capace di cogliere ogni cosa in modo
nuovo e puro, scorgendo una nuova luce dentro di sé:
Quando nello stesso tempo io pregavo nel
profondo del cuore, tutto quello che mi circondava mi appariva sotto un aspetto
meraviglioso: alberi, erbe, uccelli, terra, aria, luce, tutto sembrava dirmi che
essi esistono per l'uomo, che attestano l'amore di Dio per l'uomo; tutto
pregava, tutto cantava gloria al Signore. Capivo così quel che la Filocalia
chiama "la conoscenza del linguaggio della Creazione" e vedevo com'è possibile
conversare con le creature di Dio[8].
Il
cuore si veste di una bellezza nuova, è tavola imbandita a festa, con la
tovaglia bianca tessuta e ricamata dalle dita della perseveranza, adornata dalle
rose del sacrificio e dai gigli dell’innocenza. Le mani nude e rese un po’
ruvide dalla fatica quotidiana dispongono sapientemente nei piatti del servizio
più bello le primizie del piccolo giardino interiore: la brocca dell’acqua per
ricordare le lacrime versate; l’ampolla di vino in segno della gioia ritrovata;
nei bicchieri di cristallo il desiderio di abbeverarsi alla Fonte della Vera
Sapienza.
È il
momento dell'attesa, della meditazione silenziosa e colma d'Amore:
Ma se, mentre fai la tua preghiera,
brilla un’altra luce che non so descrivere e l’anima si riempie di gioia, di desiderio
dell’Assoluto e sgorga un fiotto di lacrime di compunzione, allora saprai che è
una visita e una consolazione di Dio[9].
La
tavola, preparata con sollecitudine per essere dono e offerta gradita, diventa
il centro della dimora, che ora è avvolta da un aroma soave ed inebriante :
Quando lo Spirito stabilisce la Sua
dimora in un uomo, allora questi non può più cessare di pregare, perché lo
Spirito non cessa di pregare in lui. Ch’egli dorma o vegli, la preghiera non si
separa più dalla sua anima . Mentre egli mangia o beve o si corica o
lavora o si trova immerso nel sonno, il profumo della preghiera emana
spontaneamente dalla sua anima[10].
Giunge
il tempo della fioritura dello spirito, il momento in cui il silenzio stilla sui
campi del cuore la rugiada della confidenza più sincera e più intima. Lo spirito
si apre totalmente, si lascia inondare dalla Luce:
La preghiera è un’elevazione della mente
e del cuore a Dio, la contemplazione di Dio, l’audace familiarità della
creatura con il Creatore, l’anima che sta con riverenza davanti a Lui come
davanti al Re ed alla Vita stessa che dà a tutti la vita; l’obbligo di tutto ciò
che lo circonda, il cibo dell’anima, l’atmosfera e luce che dà ardore alla vita,
la purificazione dal peccato; il facile giogo di Cristo, il suo lieve peso[11].
È un
affidamento, un abbandono totale, nell’intima ed incrollabile certezza che non
sarò mai lasciato solo, mi sentirò protetto, abbracciato e, soprattutto,
guidato. Anzi, di più ancora, poiché anch’io sarò, a mia volta, protagonista,
autentico interlocutore dell’Altro, libero di esprimermi con parole, silenzi,
suoni, gesti originati dal mio io più profondo, dal mio io divino:
La preghiera è la prova della mia
razionale personalità, della mia somiglianza con Dio, il segno della mia futura
santità e beatitudine. Fui creato dal nulla, son nulla davanti a Dio e non ho
nulla di mio; ma, per la Sua misericordia, Egli mi dotò di ragione e con la mia
libertà posso, volgendo il mio cuore a Lui, continuamente accrescere in me il
Suo Regno infinito, traendone da un’intermittente, inesauribile sorgente, tutte
le grazie, specialmente spirituali[12].
Ora è
il tempo dell’ascolto , ora è tempo di lasciarsi inondare dalla luce della Skênôsis (= alzare la tenda) per
diventare, a propria volta, skênôma
(= tenda, dimora) dello Spirito:
S'innalza l'incenso della mortificazione
della carne, ma anche quello ancor più meritorio della mortificazione della
volontà. E nell'incensiere della preghiera perpetua crepita il fuoco ardente e
dolce, la fiamma immortale dell'amore di Dio![13]
Le
mani si stringono al petto, le ginocchia si piegano e, lentamente, toccano il
suolo. Tutto è silenzio: il cuore si apre e si lascia inondare nuovamente dalla
Luce. Il Sommo Re ora può giungere a visitare la Sua dimora:
Dio è creatore dell'uomo interiore. Ma
Dio comincia ad agire dentro quando l'uomo riconosce che non è niente in tutte
le sue parti e quando si affida totalmente nelle mani di Dio, dell'onnipotenza
divina[14].
Dr.
Valentina Dordolo
vdordolo@SoftHome.net
Note al testo
[1] Preghiera di penitenza di Sant'Efrem
il Siro prescritta per le settimane di Quaresima.
[2] Isacco di Ninive, Centurie III, 51.
[3] Massimo il Confessore, Centurie teologiche, in J. Gouillard (a
cura di), Piccola Filocalia della
preghiera del cuore, Milano, Ed. Paoline, 1990, p.135.
[4] Filoteo il Sinaita, Quaranta capitoli sulla sobrietà, 3, in
J. Gouillard (a cura di), op. cit.,
p. 125.
[5] Isacco di Ninive, PG 86, 811-886.
[6] Gregorio Palamas, L’apologia dei santi esicasti, PG
1101s.
[7] Isacco di Ninive, cit. in
Wensinck, Mystic Treatises,
Amsterdam, 1923, XXII, pp. 111-118.
[8] C. Carretto (a cura di), Racconti di un pellegrino russo, Assisi,
Cittadella Editrice, 1996, p.41.
[9] Simeone il Nuovo Teologo, Capitoli pratici e teologici, 150, PG
120, 603s.
[10] Isacco di Ninive, Filocalia, in Wensinck, op.cit., XXXV, p. 174.
[11] Giovanni di Kronštadt, Sulla preghiera, in D. Barsotti (a cura
di), I mistici russi, Torino, Il
leone verde, 2000, p. 71. La sottolineatura è mia.
[12] Idem, pp. 78-79.
[13] San Basilio il Grande.
[14] Teofane il Recluso, Varie ispirazioni durante la preghiera,
n. 38.