LA FORZA DEL NOME: LA PREGHIERA DI GESÚ NELLA SPIRITUALITÁ ORTODOSSA
LA FORZA DEL NOME: LA PREGHIERA DI GESÚ NELLA SPIRITUALITÁ ORTODOSSA
Kallistos Ware Preghiera e Silenzio
“Quando pregate,” è stato detto saggiamente da uno
scrittore Ortodosso, “voi stessi dovete essere silenziosi… Siete voi a dover far
silenzio; per far sì che sia la preghiera a parlare.”[1] Ottenere
silenzio: questa è di tutte le cose la più difficile e la più determinante
nell’arte della preghiera. Il silenzio non è soltanto negativo – una pausa tra
le parole, una temporanea interruzione del discorso – ma, compreso nel modo
giusto, è assai positivo: un atteggiamento di pronta allerta, di vigilanza e
soprattutto di ascolto. L’esicasta, l’uomo che ha ottenuto
l’hesychia, tranquillità e silenzio interiore, è per eccellenza uno che
ascolta. Ascolta la voce della preghiera proprio nel suo cuore, e comprende che
questa voce non è la propria ma quella di Un Altro che parla per lui.
La relazione tra preghiera e mantenimento del
silenzio si farà più chiara se prenderemo in considerazione quattro brevi
definizioni. La prima è del Dizionario Conciso Oxford, che descrive la preghiera
come “… solenne richiesta a Dio…. formula utilizzata nel pregare.” La preghiera
viene qui considerata come un qualcosa espresso in parole, e più specificamente
quale atto di richiesta a Dio per ottenere un qualche beneficio. Siamo ancora a
un livello di preghiera esterna più che interna. Pochi potrebbero rimanere
soddisfatti da tale definizione.
La nostra seconda definizione, da uno
starets russo dello scorso secolo, è assai meno esteriore. Nella
preghiera, dice il Vescovo Teofane il Recluso (1815-1894), “la cosa principale è
stare dinnanzi a Dio con la mente nel cuore, e continuare a strare dinnanzi a
Lui senza posa giorno e notte, sino alla fine della vita.”[2] La
preghiera definita in tal modo, non è soltanto un chiedere qualcosa, anzi può
sussistere senza l’impiego di alcuna parola. Non si tratta tanto di una attività
momentanea quanto di uno stato continuo. Pregare significa stare dinnanzi a
Dio, entrare in immediata e personale relazione con Lui; significa conoscere
ad ogni livello del nostro essere, dall’istintivo all’intellettivo, dal sub- al
super-conscio, che siamo in Dio e Lui è in noi. Affermare e approfondire le
nostre relazioni personali con altri esseri umani, non significa necessariamente
stare in continuazione a far richieste o usare parole; più riusciamo a conoscere
e ad amare un altro, meno avremo bisogno d’esprimere verbalmente quel nostro
rapporto reciproco. Lo stesso vale nella nostra relazione personale con Dio.
In queste due prime definizioni, l’accento è
posto principalmente su ciò che viene fatto dall’uomo piuttosto che da Dio.
Tuttavia nella relazione personale della preghiera, è il partner divino e non
quello umano a prendere l’iniziativa, e la sua azione è fondamentale. Ciò
emergerà dalla nostra terza definizione, presa da San Gregorio del Sinai (+
1346). In un elaborato passo, dove egli carica un epiteto sopra l’altro nello
sforzo di descrivere la vera realtà della preghiera interiore, conclude
improvvisamente con inattesa semplicità: “Perché parlare a lungo? La preghiera è
Dio, è Lui che muove ogni cosa in tutti gli uomini.”[3] La
Preghiera è Dio – non è qualcosa che inizio, ma qualcosa che
condivido; fondamentalmente non è qualcosa che faccio, ma che Dio sta facendo in
me: in San Paolo la frase, “non io, ma Cristo in me” (Gal. 2:20). Il sentiero
della preghiera interiore è esattamente indicato nelle parole di San Giovanni
Battista riguardo al Messia: “Egli deve crescere, e io invece diminuire”
(Giovanni 3:30). E’ in tal senso che pregare significa stare in silenzio. “Sei
proprio tu quello che deve stare in silenzio; lascia che sia la preghiera a
parlare” – o più precisamente lascia parlare Dio. Vera preghiera interiore
significa finire di parlare e ascoltare la voce senza parole di Dio che è nel
nostro cuore; vuol dire cessare di fare le cose per nostro conto, ed entrare
nell’azione di Dio. All’inizio della Liturgia Bizantina, quando i preparativi
preliminari sono stati completati e tutto è pronto per l’inizio dell’Eucaristia
vera e propria, il diacono si accosta al sacerdote e dice: “E’ giunta l’ora in
cui il Signore agisce.”[4] Proprio
questo è l’atteggiamento del fedele non soltanto alla Liturgia Eucaristica, ma
in tutte le preghiere, pubbliche o private.
La nostra quarta definizione, presa anche
stavolta da San Gregorio del Sinai, indica più definitivamente il carattere di
questa azione del Signore dentro di noi. “La preghiera”, egli dice, “è la
manifestazione del Battesimo.”[5] L’azione
del Signore non è naturalmente limitata soltanto ai battezzati; Dio è presente e
opera all’interno di tutti gli uomini, in virtù del fatto che ciascuno è creato
secondo la Sua immagine e somiglianza divina. Tuttavia quest’immagine è stata
oscurata e resa opaca, ma non del tutto rimossa, dalla caduta dell’uomo nel
peccato. La restaurazione al suo primitivo splendore e alla sua bellezza avviene
attraverso il sacramento del Battesimo, in modo tale che Cristo e lo Spirito
Santo vengano a dimorare in quel che i Padri chiamano “l’intima e segreta camera
del nostro cuore.” Per gran parte della maggioranza, tuttavia, il Battesimo è
qualcosa ricevuto nell’infanzia, di cui non si ha alcuna memoria cosciente.
Sebbene il Cristo battesimale e il Paracleto interiore non cessino mai di
lavorare in noi neanche per un momento, salvo che in rare occasioni, la maggior
parte di noi rimane virtualmente inconsapevole di tale presenza e attività
interiore. La vera preghiera, quindi, significa riscoperta e ‘manifestazione’ di
tale grazia battesimale. Pregare significa passare dallo stato in cui la grazia
è presente nei nostri cuori segretamente e inconsciamente, al punto di piena
percezione interiore e piena consapevolezza, quando sperimentiamo e sentiamo
l’attività dello Spirito in modo diretto e immediato.
“Nel mio inizio è la mia fine”. Lo scopo della
preghiera può essere riassunto nella frase, “Diventa quel che sei.” Diventa,
coscientemente ed attivamente, quel che già sei potenzialmente e segretamente,
in virtù della tua creazione a immagine divina e della rigenerazione nel
Battesimo. Diventa quel che sei: più esattamente, torna in te stesso; scopri
Colui che è già tuo; ascolta Colui che non cessa ma di parlare dentro di te;
possiedi Colui che già da adesso possiede te, Tale è il messaggio di Dio ad
ognuno che vuole pregare: “Non mi cercheresti se mi avessi già trovato.”
Ma come cominciare? Come possiamo imparare a fermare
le parole e cominciare ad ascoltare? Invece di parlare semplicemente a Dio, come
possiamo fare propria la preghiera in cui Dio ci parla? Come passeremo dalla
preghiera espressa in parole alla preghiera del silenzio, dalla preghiera
‘attiva’ a quella ‘auto-agente’, dalla ‘mia’ preghiera alla preghiera di
Cristo in me?
Un modo per intraprendere questo viaggio
interiore è attraverso l’Invocazione del Nome.
“Signore Gesù….”
Naturalmente, non è l’unico modo. Non può esistere
alcuna autentica relazione tra persone senza reciproca libertà e spontaneità, e
ciò è vero in particolar modo nella preghiera interiore. Non vi sono regole
fisse e invariabili, imposte necessariamente su tutti coloro che cercano di
pregare; allo stesso modo non esiste una tecnica meccanica, sia fisica che
mentale, che sia in grado di costringere Dio a manifestare la Sua presenza. La
sua grazia viene sempre conferita come dono gratuito, e non può essere ottenuta
automaticamente da un metodo o da una tecnica. L’incontro tra Dio e l’uomo nel
regno del cuore è quindi segnato da un’inesauribile varietà di modalità. Vi sono
maestri spirituali nella Chiesa Ortodossa che dicono poco o niente riguardo alla
Preghiera di Gesù. Tuttavia, anche se non gode di monopolio esclusivo nel campo
della preghiera interiore, la Preghiera di Gesù, per innumerevoli cristiani
d’oriente, è divenuta nei secoli il sentiero abituale, la strada regale. E non
soltanto per cristiani d’oriente:[6]
nell’incontro tra Ortodossi ed occidente avvenuto nei trascorsi sessant’anni,
probabilmente nessun elemento della tradizione ortodossa ha destato maggior
interesse come la Preghiera di Gesù, e nessun particolare libro s’è rivelato
così attraente come i Racconti d’un Pellegrino russo. Questa enigmatica
opera, virtualmente sconosciuta nella Russia pre-rivoluzionaria, ha avuto un
successo formidabile nel mondo non ortodosso e dagli anni ’20 in poi è stato
tradotto in moltissime lingue. I lettori di J. D. Salinger ricorderanno
l’impatto che ebbe su Franny questo “libretto dalla rilegatura verde
pisello.”
E allora ci chiediamo, dov’è che sta la
specifica attrattiva ed efficacia della Preghiera di Gesù? Forse in quattro cose
prima di tutto: in primo luogo, nella sua semplicità e flessibilità; in secondo
luogo, nella sua completezza; terzo, nel potere del Nome divino; e quarto, nella
disciplina spirituale della persistente ripetizione. Ma ora vediamo di ordinare
questi punti.
Semplicità e Flessibilità
L’invocazione del Nome è una preghiera di
straordinaria facilità, accessibile ad ogni cristiano, tuttavia conduce allo
stesso tempo ai più profondi misteri di contemplazione. Chiunque si proponga di
recitare la Preghiera di Gesù per lunghi periodi di tempo, e ogni giorno,
indubbiamente ha bisogno di uno starets, una affidabile guida spirituale.
Tali guide sono estremamente rare al giorno d’oggi. Ma coloro che non hanno
alcun contatto personale con uno starets potranno ancora praticare questa
preghiera senza timore, finché lo fanno soltanto per periodi limitati –
inizialmente, per non più di dieci o quindici minuti alla volta – e finché non
fanno alcun tentativo di interferire coi ritmi naturali del corpo.
Non è richiesta alcuna specifica conoscenza o
particolare allenamento prima di cominciare la Preghiera di Gesù.
All’apprendista novello è sufficiente decidere soltanto di iniziare. “Per
camminare è necessario fare il primo passo; per nuotare bisogna gettarsi in
acqua. Lo stesso vale per l’Invocazione del Nome. Iniziare a pronunciarlo con
adorazione e amore. Avvinghiatevi ad esso. Ripetetelo. Non pensate di stare ad
invocare il Nome; pensate soltanto a Gesù in Persona. Pronunciate il Suo Nome in
modo lento, dolce, e sommesso.”[7]
La forma esteriore della preghiera s’impara
facilmente. Fondamentalmente consiste nelle parole “Signore Gesù Cristo, abbi
pietà di me,” o “Signore Gesù”, o persino solamente “Gesù.” Alternativamente, la
forma delle parole potrà essere espansa aggiungendo alla fine “misero
peccatore”, accentuando così l’aspetto penitenziale. Talvolta viene inserita
un’invocazione della Madre di Dio o dei santi. Unico elemento essenziale ed
invariabile è l’inclusione del Nome divino ‘Gesù.’
Una simile flessibilità c’è per quel che
riguarda le circostanze esterne in cui la Preghiera viene recitata. Si possono
distinguere due modalità d’uso della Preghiera: ‘libera’ e ‘formale’. Con l’uso
‘libero’ s’intende la recitazione della Preghiera mentre siamo impegnati nelle
nostre abituali attività durante la giornata. Si potrebbe dire di quei vari
momenti, che altrimenti più di una volta, andrebbero sprecati spiritualmente:
quando siamo occupati con alcuni compiti familiari o semi-automatici, come
vestirsi, lavarsi, rammendare calzini, dedicarsi al giardaggio; quando
camminiamo o guidiamo, quando siamo in fila in attesa dell’autobus o
imbottigliati nel traffico; in un momento di calma prima di qualche incontro
particolarmente difficile o problematico; quando non riusciamo a dormire o al
risveglio, prima di aver riacquisito piena coscienza. Parte del valore
distintivo della Preghiera di Gesù sta proprio nel fatto che, a causa della sua
radicale semplicità, può essere eseguita in condizioni di distrazione là dove
sono impossibili forme di preghiera più complesse. E’ soprattutto utile in
momenti di tensione e di particolare ansia.
Tale ‘libero’ uso della Preghiera di Gesù ci
permette di riempire il vuoto tra il nostro esplicito ‘tempo di preghiera’ – sia
durante la Messa che da soli nella nostra stanza – e le normali attività di vita
quotidiana. “Pregate senza posa,” insiste San Paolo (1Tess. 5:17): tuttavia
com’è possibile questo, dal momento che al contempo abbiamo molte altre cose da
fare? Il Vescovo Teofane indica il vero metodo nella sua massima, “Le mani
all’opera, la mente e il cuore con Dio.”[8] La
Preghiera di Gesù, divenendo grazie alla frequente ripetizione quasi abituale e
inconscia, ci aiuta a stare in presenza di Dio, ovunque ci troviamo. Quindi
diventiamo come Fratello Lawrence, che era “era più unito a Dio durante le sue
attività ordinarie che negli esercizi religiosi.” “E’ una grande delusione,”
puntualizzò, “immaginare che l’ora della preghiera debba essere diversa da
qualsiasi altra, dal momento che siamo ugualmente preposti ad essere uniti a Dio
sia nel lavoro, durante l’orario di lavoro, come nella preghiera, durante
l’orario di preghiera.”[9] La
‘libera’ recita della Preghiera di Gesù viene resa più affiancata e potenziata
dall’uso ‘formale’, quando concentriamo tutta la nostra attenzione nel proferire
la Preghiera, sino ad escludere ogni attività esterna. Qui, ancora una volta,
non vi sono rigide regole, ma varietà e flessibilità. Non è essenziale alcuna
particolare postura Nella pratica ortodossa la Preghiera viene assai spesso
recitata seduti, ma può anche essere pronunciata in piedi o in ginocchio – e
persino coricati, in casi di debolezza fisica o malattia. Viene comunemente
recitata in completa oscurità o ad occhi chiusi, e non ad occhi aperti dinnanzi
a un’icona illuminata da candele o da un lumino votivo. Lo starets
Silouan del Monte Athos (1866-1938), quando recitava la Preghiera, aveva
l’abitudine di riporre il suo orologio in un armadio per non sentirlo
ticchettare, per poi calare il proprio pesante cappuccio monastico a coprire
occhi e orecchie.[10]
Tuttavia, l’oscurità può avere effetti
soporiferi! Se tendiamo ad appisolarci quando recitiamo la Preghiera seduti o in
ginocchio, allora dovremmo alzarci in piedi per po’. Potremmo addirittura fare
una prostrazione ogni tanto, toccando il suolo con la fronte. La preghiera potrà
anche essere recitata in piedi.
Unitamente alla Preghiera, viene spesso
impiegato un cordone di preghiera o un rosario, solitamente con cento nodi, non
tanto per contare il numero delle volte che viene ripetuta, quanto piuttosto
come aiuto alla concentrazione e alla realizzazione di un ritmo regolare. La
misurazione quantitativa, sia con un cordone da preghiera che in altri modi, non
viene incoraggiata. E’ vero che, nella prima parte dei Racconti d’un
Pellegrino russo, viene data grande enfasi dallo starets sul numero
preciso delle volte che la Preghiera va fatta quotidianamente. Probabilmente il
punto qui non è la semplice quantità ma l’atteggiamento interiore del
Pellegrino: lo starets desidera testimoniare la sua obbedienza e la sua
prontezza ad applicare una regola definita senza deviazioni. Più preciso è il
consiglio del Vescovo Teofane: “Non preoccupatevi del numero di volte che
pronunciate la Preghiera. Lasciate che la vostra unica cura sia ch’essa fluisca
dal vostro cuore con la forza di una fontana d’acqua gorgogliante. Levatevi
completamente dalla testa qualsiasi pensiero di quantità.”
La Preghiera talvolta viene recitata in
gruppo, ma più comunemente in maniera individuale; nella recitazione non
dovrebbe esservi nulla di forzato o di faticoso. Le parole non andrebbero
formate con eccessiva enfasi o con violenza interiore, ma si dovrebbe lasciare
che Preghiera stabilisca il proprio ritmo e l’accentuazione, così che col tempo
riesca a ‘cantare’ dentro di noi in virtù della sua melodia intrinseca. Lo
starets Parfenio di Kiev collegò il movimento fluente della Preghiera ad
una energia fatta d’un lieve mormorio.[11]
Da tutto ciò si può comprendere che
l’invocazione del Nome è una preghiera per tutte le stagioni. Può essere usata
da chiunque, ovunque e ognora. E’ adatta al ‘novizio’ come al più esperto; può
essere offerta in compagnia d’altri o da soli; è ugualmente appropriata nel
deserto come nella città, sia in ambiente tranquillo che in mezzo al peggior
rumore e alla confusione. Non è mai fuori luogo.
Completezza
Teologicamente, come sostiene giustamente il
Pellegrino russo, la Preghiera di Gesù “contiene tutta la verità del Vangelo”: è
“una sintesi dei Vangeli.”[12] In una
breve frase enuclea i due principali misteri della fede cristiana,
l’Incarnazione e la Trinità. Parla in primo luogo, delle due nature di Cristo il
Dio-uomo (Theanthropos): della Sua umanità, dal momento che viene
invocato nel suo nome umano, “Gesù”, che Sua Madre Maria Gli diede dopo la Sua
nascita a Betlemme; della Sua eterna Natura Divina, dal momento che viene anche
apostrofato come “Signore” e “Figlio di Dio.” In secondo luogo, la Preghiera
parla implicitamente, anche se non esplicitamente, delle tre Persone della
Trinità. Pur se indirizzata alla seconda Persona, Gesù, è riferita al Padre,
poiché Gesù viene chiamato “Figlio di Dio; inoltre lo Spirito Santo viene
altresì presentato nella Preghiera, dal momento che “nessun uomo può dire
‘Signore Gesù,’ se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1 Cor. 12:3).
Quindi la Preghiera di Gesù è sia Cristocentrica che Trinitaria.
Anche a livello devozionale non è meno
completa. Abbraccia i due principali ‘momenti’ della devozione cristiana: il
‘momento’ dell’adorazione, in cui si alza lo sguardo alla gloria Dio e si tende
a Lui nell’amore, e il ‘momento’ di penitenza, il senso di inadeguatezza e di
peccato. All’interno della Preghiera c’è un movimento circolare, una sequenza di
ascesa e ritorno. Nella prima metà della Preghiera saliamo a Dio: “Signore Gesù
Cristo, Figlio di Dio…”; e poi nella seconda metà torniamo alla nostra
compunzione: “…abbi pietà di me misero peccatore”.
Questi due ‘momenti’ – la visione della gloria
divina e la consapevolezza della peccato umano – vengono uniti e riconciliati in
un terzo ‘momento’ quando pronunciamo la parola ‘pietà.’ “Pietà” serve a
stabilire un ponte tra la giustizia di Dio e la creazione decaduta. Colui che
dice Dio, “abbi pietà,”denuncia la propria impotenza, ma sta al contempo a
testimoniare un grido di speranza. La Preghiera di Gesù non contiene soltanto un
richiamo di pentimento, ma un’assicurazione di perdono e di salvezza. Il cuore
della Preghiera – per l’esattezza il nome “Gesù” – ha propriamente in sé il
senso di salvezza: “ E tu Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il Suo popolo
dai peccati” (Matteo 1:21).
Queste sono dunque alcune delle ricchezze, sia
teologiche che devozionali, presenti nella Preghiera di Gesù; presenti,
peraltro, non soltanto in astratto ma in forma vivificante e dinamica. Il valore
speciale della Preghiera di Gesù sta nel fatto che rende vive queste verità, in
modo tale da poter essere apprese non solo esternamente e teoreticamente ma con
tutta la pienezza del nostro essere. Per capire il perché dell’efficacia della
Preghiera di Gesù, dobbiamo prendere in considerazione due ulteriori aspetti, la
forza del Nome e la disciplina della ripetizione.
La Forza del Nome
“Il Nome del Figlio di Dio è grande e illimitato, e
racchiude l’intero universo.” Così viene affermato nel Pastore di
Hermas,[13] ma non
apprezzeremo il ruolo della Preghiera di Gesù se non sentiamo nel Nome divino un
certo senso di intrinseca forza e virtù. Se la Preghiera di Gesù è più efficace
che altre invocazioni, ciò è dovuto al fatto che contiene il Nome di Dio.
Nel Vecchio Testamento, come in altre antiche
culture, c’è un’identità virtuale tra l’anima di un uomo ed il suo nome. La sua
personalità intera, con tutte le sue peculiarità e la sua energia, è presente
nel suo nome. Conoscere il nome di una persona significa avere una chiara
visione della sua natura, e quindi acquisire una stabile relazione con lui –
persino, forse, un certo controllo su di lui. Ecco perché il misterioso
messaggero che lotta con Giacobbe presso il ruscello Iabbok rifiuta di rivelare
il suo nome (Genesi 32:29). Lo stesso atteggiamento viene riflesso nella
replica dell’angelo di Manoach, “Perché mi chiedi il nome? Esso è misterioso”
(Giudici 13:18). Un cambiamento di nome indica un decisivo cambiamento nella
vita dell’uomo, come quando Abramo diventa Abraham (Genesi 17:5), o
Giacobbe diventa Israel (Genesi 32: 28). Allo stesso modo, Saulo dopo la
sua conversione diventa Paolo (Atti 13:9); inoltre ad un monaco, alla sua
professione, viene dato un nuovo nome, di solito non a sua scelta, ad indicare
il radicale rinnovamento intrapreso.
Nella tradizione ebraica, fare una cosa a
nome di un altro, o invocare e appellarsi al suo nome sono
atti di notevole peso e forza. Invocare il nome di una persona significa fare sì
che tale persona sia presente. Ogni cosa che è vera dei nomi umani è vera, a un
grado incomparabilmente più elevato, al Nome divino. La forza e la gloria di Dio
sono presenti e attivi nel Suo Nome. Il Nome di Dio è numen presens, Dio
con noi, Emmanuel. Invocare con deliberata diligenza il Nome di Dio significa
porsi dinnanzi alla Sua presenza, aprirsi alla Sua energia, offrirsi come
strumento e sacrificio vivente nelle Sue mani. Il senso della maestà del Nome
divino era così acuto nel tardo Giudaismo che, nella preghiera della sinagoga,
il tetragrammaton non veniva pronunciato ad alta voce: il Nome
dell’Altissimo era considerato troppo devastante per essere pronunciato
apertamente. [14]
Tale comprensione ebraica del nome passa dal
Vecchio Testamento al Nuovo. I demoni vengono scacciati e gli uomini guariti
grazie al Nome di Gesù, poiché il Nome è forza. Una volta che tale forza del
Nome verrà debitamente apprezzata, molti brani noti acquisteranno maggior vigore
e pienezza: la frase nella Preghiera del Padre nostro “Sia benedetto il Tuo
Nome”; la promessa di Cristo all’Ultima Cena, “Se chiederete qualcosa al Padre
nel mio Nome, Egli ve la darà” (Giovanni 16:23); il Suo finale
comandamento agli Apostoli, “Andate dunque, e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel Nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo”
(Matteo 28:19); l’annuncio di San Pietro che v’è salvezza soltanto nel
“Nome di Gesù Cristo di Nazareth” (Atti 4: 10-12); le parole di San
Paolo, “Al Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi” (Filippesi 2:10); il
nuovo e segreto nome scritto sulla pietruzza bianca che ci sarà data nel Mondo
che Verrà (Apocalisse 2:17).
E’ questa biblica riverenza per il Nome di Gesù
che forma le basi e le fondamenta della Preghiera di Gesù. Il Nome di Dio è
essenzialmente collegato alla Sua Persona, e così l’Invocazione del Nome divino
possiede un carattere genuinamente sacramentale, fungendo da segno efficace
della Sua invisibile presenza ed azione. Per il credente cristiano di oggi, come
nei tempi apostolici, il nome di Gesù è forza. Nelle parole dei due Anziani di
Gaza, San Barsanufio e San Giovanni (6° secolo), “La rimembranza del Nome di Dio
distrugge completamente tutto ciò ch’è male.” “Mettete in fuga i vostri nemici
con Nome di Gesù,” insiste San Climaco, “poiché non v’è arma più potente in
cielo e in terra… Fate che la rimembranza di Gesù sia unita ad ogni vostro
respiro, e allora conoscerete il valore della quiete.”[15]
Il Nome è forza, tuttavia una ripetizione
puramente meccanica in se stessa non produrrà nulla. Come nelle operazioni
sacramentali, all’uomo viene chiesto di cooperare con Dio attraverso la sua fede
attiva e uno sforzo ascetico. Siamo chiamati ad invocare il Nome nel ricordo e
nella vigilanza interiore, confinando le nostre menti all’interno delle parole
della preghiera, consapevoli che ciò che stiamo indirizzando e colui che ci
risponde si trova nel nostro cuore. San Gregorio del Sinai parla ripetutamente
di “sforzo e fatica” affrontate da coloro che seguono la Via del Nome; è
necessario uno “sforzo continuo.”
Questa fiduciosa perseveranza prende forma,
soprattutto, da una attenta e frequente ripetizione. Cristo disse ai Suoi
discepoli di non usare “vane ripetizioni” (Matteo 6:7); ma la ripetizione
della Preghiera di Gesù, quando eseguita con sincerità e concentrazione
interiore, non è affatto “vana.” L’atto d’invocazione ripetuta del Nome ha un
doppio effetto: rende la nostra preghiera più compatta e allo stesso tempo più
interiore.
Unificazione
Non appena facciamo un serio tentativo di preghiera
in spirito di verità, diveniamo immediatamente consapevoli della nostra
disintegrazione interiore, della nostra mancanza di unità e interezza.
Nonostante tutti gli sforzi di giungere innanzi a Dio, i pensieri continuano a
muoversi senza posa e senza alcun motivo nella nostra testa, come un ronzio di
mosche (Vescovo Teofanio) o come un capriccioso affaccendarsi di scimmie da ramo
in ramo (Ramakrishna). Contemplare significa, prima di tutto, essere presenti là
dove si è, essere qui e ora. Tuttavia, di solito non siamo in
grado di costringere la nostra mente a non vagabondare a caso nel tempo e nello
spazio. Richiamiamo a mente il passato, anticipiamo il futuro, programmiamo cosa
fare dopo; la gente e i luoghi ci si presentano dinnanzi in interminabile
successione. Ci manca la forza di concentrarci nel luogo dove dovremmo essere –
qui, alla presenza di Dio; e non riusciamo a vivere pienamente nell’unico
momento di tempo che esiste davvero – ora, l’immediato presente. Questa
disintegrazione interiore è una delle conseguenze più tragiche della Caduta. Le
persone che riescono a combinare qualcosa, è stato giustamente osservato, sono
persone che fanno una cosa alla volta. Ma fare una cosa alla volta non significa
necessariamente di riuscirci. Mentre è abbastanza facile nei lavori esterni, è
assai più difficile nel lavoro di preghiera interiore.
Cosa si deve fare? Come impareremo a vivere il
presente, nell’eterno Ora? Come riusciremo ad afferrare il kairos, il
momento decisivo, il momento giusto? E’ proprio qui che può essere utile la
Preghiera di Gesù. L’invocazione ripetuta del Nome può portarci, con la grazia
di Dio, dalla divisione all’unione, dalla dispersione e dalla molteplicità alla
semplicità e all’unicità. “Per fermare il continuo sgomitare dei vostri
pensieri,” dice il Vescovo Teofanio, “dovete legare la mente ad un unico
pensiero, ovvero soltanto al pensiero dell’Uno.”[16]
I Padri ascetici distinguono due modi di
combattere i pensieri. Il primo metodo è per il ‘forte’ o il ‘perfetto.’ Questi
sono in grado di contraddire i loro pensieri, cioè, affrontarli faccia a faccia
e sconfiggerli in aperta battaglia. Ma per la maggior parte di noi tale metodo è
troppo difficile e potrebbe, di contro, arrecarci grave danno. Un confronto
diretto, il tentativo di sradicare ed espellere i pensieri con uno sforzo di
volontà, spesso serve soltanto a dare maggior forza alla nostra immaginazione.
Se soppresse con violenza, le nostre fantasie tendono a tornare con maggior
vigore. Invece di combattere i nostri pensieri direttamente e cercare
d’eliminarli con uno sforzo di volontà, è più saggio lasciar perdere e fissare
altrove la nostra attenzione. Piuttosto che guardare verso il basso nella nostra
turbolenta fantasia e provare ad opporsi ai nostri pensieri, faremmo meglio a
guardare verso l’alto, in direzione del Signore Gesù, ed affidarci alle Sue mani
invocando il Suo Nome; e la grazia che agisce attraverso il Suo Nome sconfiggerà
i pensieri che non siamo in grado di eliminare con la nostra forza. La nostra
strategia spirituale dovrebbe essere positiva e non negativa: invece di cercare
di svuotare la nostra mente di ciò che è male, dovremmo riempirla del pensiero
di ciò che è bene. “Non contraddite i pensieri suggeriti dai vostri nemici,”
consigliano Barsanufio e Giovanni, “poiché ciò è proprio quello che vogliono e
non cesseranno mai di disturbarvi. Ma rivolgetevi al Signore per chiedere aiuto
contro di loro, denunciando dinnanzi a Lui la vostra inadeguatezza; dal momento
che Egli è in grado di eliminarli riducendoli a nulla.”[17]
La Preghiera di Gesù, quindi, è una modo per
spostare la prospettiva e guardare altrove. Inevitabilmente, pensieri e immagini
ci si presentano durante la preghiera. Non possiamo fermare il loro flusso con
un semplice esercizio della nostra volontà. Serve davvero a poco dirci, “Fermati
pensiero!”; dovremmo allo stesso modo dire, “Fermati respirazione!” La mente
razionale non può restare nell’ozio,” dice San Marco il Monaco; i pensieri
tendono a riempirla d’un interminabile chiacchiericcio, come un coro d’uccelli
all’alba. Ma mentre non siamo in grado di fare scomparire improvvisamente questo
chiacchiericcio, quel che possiamo fare è di distaccarci da esso ‘legando’ la
nostra mente sempre attiva “ad un pensiero, ovvero soltanto al pensiero
dell’Uno” – il Nome di Gesù. Nelle parole di San Diadoco (5° secolo), “Quando
abbiamo bloccato tutti e le vie d’accesso alla mente attraverso il ricordo di
Dio, allora ci viene richiesto ad ogni costo qualche compito ch soddisfi la sua
necessità di attività. E allora offriamogli come unica attività l’invocazione
Signore Gesù…”[18]
“Attraverso la rimembranza di Gesù Cristo,”
afferma Filoteo del Sinai (9/10° secolo), “raccogliete la vostra mente
disintegrata che è sparsa ovunque.”[19] Quindi,
invece di cercare di fermare la sequenza dei pensieri con le nostre
proprie forze, ci affidiamo alla forza che agisce attraverso il Nome.
Secondo Evagrio di Ponto (+ 399), “La preghiera
è un deporre i pensieri.”[20]
Deporre i pensieri: non un conflitto selvaggio, non una furiosa
repressione, ma un delicato ma persistente atto di distacco. Attraverso la
ripetizione del Nome, siamo aiutati a ‘deporre,’ a ‘lasciar andare,’ le nostre
banali e perniciose fantasie, e sostituirle con il pensiero di Gesù. Tuttavia,
sebbene la fantasia e il ragionamento discorsivo non debbano essere
violentemente soppressi quando si recita la Preghiera di Gesù, essi non vanno
certo incoraggiati attivamente. La Preghiera di Gesù non è una forma di
meditazione su specifici avvenimenti della vita di Cristo, o su alcuni detti o
parabole dei Vangeli; ancor meno è un modo di ragionare e dibattere
interiormente alcune verità teologiche come il significato di homoousios,
ovvero la Definizione di Calcedonia.
Nel momento in cui invochiamo il Nome, non
dovremmo formare deliberatamente nella nostra mente alcuna immagine visuale del
Salvatore. Questo è uno dei motivi per cui recitiamo la Preghiera nell’oscurità,
piuttosto che con gli occhi aperti dinnanzi a un’icona. “Libera la tua mente dai
colori, dalle immagini e dalle forme,” raccomanda San Gregorio del Sinai; nella
preghiera fai attenzione alla fantasia (Phantasia) – altrimenti potrai
finire per diventare un fantasista più che un esicasta.![21]
Interiorità
L’invocazione ripetuta del Nome, rendendo la nostra
preghiera più compatta, la fa allo stesso tempo più interiore, più parte di noi
stessi – non un qualcosa che facciamo in momenti particolari, ma qualcosa che
siamo in ogni momento; non un atto occasionale ma uno stato continuo.
Tale modalità di preghiera diventa davvero una preghiera dell’uomo
intero, in cui le parole e il significato della preghiera sono totalmente
identificati con colui che prega. Tutto ciò viene ben espresso da Paul
Evdokimov, recentemente scomparso (1901-70): “Nelle catacombe l’immagine che
ricorre più frequentemente è la figura di una donna in preghiera,
l’Orans. Essa rappresenta l’unica vera attitudine dell’anima umana. Non è
sufficiente possedere la preghiera: dobbiamo diventare preghiera –
preghiera incarnata. Non è sufficiente avere momenti di preghiera; l’intera
nostra vita, ogni atto e gesto, persino un sorriso, devono diventare un inno di
adorazione, un’offerta, una preghiera. Non dobbiamo offrire quel che
abbiamo, ma quel che siamo.”[22] Questo
è quel che soprattutto è necessario al mondo: non persone che recitano
preghiere con maggiore o minore regolarità, ma persone che sono
preghiere.
Il tipo di preghiera che sta qui descrivendo
Evdokimov, potrebbe essere esattamente definita come ‘preghiera del cuore.’
Nella Chiesa Ortodossa, come in molte altre tradizioni, la preghiera viene
comunemente distinta in tre categorie, che devono essere intese come livelli
d’interpretazione piuttosto che stadi successivi: la preghiera delle labbra
(preghiera orale); la preghiera della mente (preghiera mentale); la preghiera
del cuore (o della mente nel cuore). L’invocazione del Nome ha inizio come ogni
altra preghiera come preghiera orale, in cui le parole sono pronunciate dalla
lingua attraverso un deliberato sforzo della volontà. Allo stesso tempo, ancora
una volta grazie ad una decisione volontaria, concentriamo la mente sul
significato di quel che dice la lingua. Nel corso del tempo e con l’aiuto di Dio
la nostra preghiera si farà più interiore. La partecipazione della mente
diventerà più intensa e spontanea, mente i suoni pronunciati dalla lingua si
faranno meno importanti; forse per un periodo di tempo cesseranno del tutto, e
il Nome verrà invocato in silenzio, senza alcun movimento delle labbra, soltanto
nella mente. Quando arriviamo a ciò, siamo passati per grazia di Dio dal primo
livello al secondo. Non che l’invocazione vocale cessi del tutto, dal momento
che ci saranno occasioni in cui persino colui ch’è più ‘avanti’ nella preghiera
interiore desidererà chiamare il Signore Gesù ad alta voce. (E chi, potrà poi
dichiarare di essere ‘avanti’? Siamo tutti ‘principianti’ nelle cose dello
Spirito.)
Tuttavia il viaggio interiore non è comunque
completo. Un uomo è molto di più che la propria mente cosciente; oltre alle
facoltà cerebrali e razionali vi sono le emozioni e gli affetti, la sensibilità
estetica, assieme ai profondi strati istintuali della propria personalità. Tutto
ciò ha la sua funzione nell’esecuzione della preghiera, poiché è l’uomo intero
ad essere chiamato a partecipare all’atto totale di adorazione. Come una goccia
d’inchiostro che cade sulla carta assorbente, l’atto della preghiera dovrebbe
espandersi uniformemente oltre il centro cosciente e razionale del cervello,
sino ad abbracciare ogni parte di noi stessi.
In termini più tecnici, ciò significa che siamo
chiamati ad avanzare dal secondo livello al terzo: dalla ‘preghiera della mente’
alla ‘preghiera del cuore.’ In questo contesto il ‘Cuore’ dev’essere inteso in
senso semitico e biblico e non nell’accezione moderna, il che significa non solo
le emozioni e gli affetti ma la totalità della persona umana. Il cuore è
l’organo primario dell’essere dell’uomo, “proprio il più profondo e il più vero
sé, che si ottiene soltanto col sacrificio, attraverso la morte.”[23] Secondo
Boris Vysheslavtsev, è “il centro non solo della consapevolezza ma anche
dell’inconscio, non solo dell’anima ma dello spirito, non solo dello spirito ma
del corpo, non solo del comprensibile ma anche dell’incomprensibile; in una
parola, è il centro assoluto.”[24]
Interpretato in tal modo, il cuore è assai più di un organo materiale
all’interno del corpo; il cuore fisico è un evidente simbolo delle illimitate
potenzialità spirituali della creatura umana, fatta a immagine e somiglianza di
Dio.
Per realizzare il viaggio interiore ed ottenere
la vera preghiera, è necessario entrare dentro questo ‘centro assoluto,’ cioè,
scendere dalla mente al cuore. Per essere più precisi, siamo chiamati a
discendere non dalla mente ma con la mente. Lo scopo non è soltanto la
‘preghiera del cuore’ ma la ‘preghiera della mente nel cuore,’ dal momento che
le nostre forme di comprensione cosciente, inclusa la ragione, siano un dono di
Dio e debbano essere usate a Suo servizio, non rifiutate. Questa “unione della
mente col cuore” significa la reintegrazione dell’uomo decaduto e della natura
frammentata, la sua restaurazione all’originale unità. La preghiera del cuore è
un ritorno al Paradiso, un’inversione della Caduta, un recupero dello status
ante peccatum. Ciò significa che siamo di fronte a una realtà escatologica,
una garanzia e un’anticipazione dell’Era a Venire – qualcosa che, nella presente
epoca, non viene mai pienamente e interamente realizzata.
Coloro che, per quanto in maniera imperfetta,
hanno realizzato in una certa misura la ‘preghiera del cuore,’ hanno cominciato
a compiere quel passaggio di cui palavamo prima – il passaggio dalla preghiera
‘attiva’ a quella ‘che agisce da sé,’ dalla preghiera che pronuncio alla
preghiera che ‘parla da sé’ o piuttosto, che Cristo pronuncia dentro di me. Il
Cuore ha infatti un doppio significato nella vita spirituale; è sia centro
dell’essere dell’uomo che punto d’incontro tra uomo e Dio. E’ sia luogo di
auto-conoscenza, dove l’uomo vede se stesso così come realmente è, che luogo di
auto-trascendenza, dove l’uomo comprende la sua natura quale tempio della Santa
Trinità, dove l’immagine viene faccia a faccia con l’Archetipo. Nella ‘camera
interna’ del proprio cuore egli trova le fondamenta del suo essere e quindi
attraversa la misteriosa frontiera tra creato e Increato. “Nel cuore vi sono
profondità insondabili,” affermano le Omelie di Macario. “.. Iddio è là con gli
angeli, luce e vita si trovano là, il regno e gli apostoli, le città celesti e i
tesori della grazia: sono tutte lì.”[25]
La preghiera del cuore sta dunque a designare
il punto in cui ‘la mia’ azione, ‘la mia’ preghiera, finiscono esplicitamente ad
identificarsi alla continua azione di Un altro in me. Non è più la preghiera
a Gesù, ma la preghiera di Gesù Stesso. Il passaggio da preghiera
‘sotto sforzo’ ad ‘auto-agente’ viene nettamente indicato ne La Via di
un Pellegrino russo: “Una mattina all’alba, poteri dire che fu la Preghiera
ha destarmi.”[26]
Finora il Pellegrino si era impegnato a ‘dire
la Preghiera’; ora si accorge che la Preghiera ‘procede da sola,’ persino quando
dorme, poiché è diventata tutt’uno con la preghiera di Dio dentro di lui.
I lettori de La Via di un Pellegrino
russo potranno averel’impressione che questo passaggio dalla preghiera orale
alla preghiera del cuore si possa ottenere facilmente, quasi in maniera
meccanica ed automatica. E’ bene che sia enfatizzato che tale esperienza, per
quanto non unica,[27] è
comunque eccezionale. Più spesso la preghiera del cuore si realizza, se mai
avviene, solo dopo una vita di duro impegno ascetico. E’ dono gratuito di Dio,
elargito quando e come Egli vuole, e non l’inevitabile effetto di qualche
tecnica. San Isacco il Siriano (7° secolo) sottolinea l’estrema rarità del dono
quando dice che “appena uno su diecimila” può considerarsi degno del dono della
pura preghiera, e aggiunge: “Per quel che riguarda il mistero che sta al di là
della pura preghiera, è difficile da trovare in un singolo uomo su una
generazione che si sia accostato a tale conoscenza della grazia di Dio.”[28] Uno su
diecimila, un singolo uomo su una generazione: per quanto raffreddati da tale
ammonimento, non dovremmo comunque scoraggiarci. Il cammino verso il regno
interiore resta aperto dinnanzi a tutti, e tutti senza distinzione potranno
trovare la propria via su di esso. Nella presente epoca, sono pochi a
sperimentare con una certa pienezza i misteri più profondi del cuore, tuttavia
sono davvero molti a ricevere in modo più modesto e intermittente veri e propri
lampi di ciò che viene espresso dalla preghiera spirituale.
La fine del viaggio
Lo scopo della Preghiera di Gesù, come di tutte le
preghiere cristiane, è che il nostro pregare venga ad essere progressivamente
identificato con la preghiera offerta da Gesù, Sacerdote Supremo ch’è dentro di
noi, che la nostra vita diventi tutt’uno con la Sua vita, che il nostro respiro
s’assimili al Respiro Divino che sostiene l’universo. L’obiettivo finale potrà
essere adeguatamente descritto dal termine Patristico theosis,
‘deificazione’ ovvero ‘divinizzazione.’ Nelle parole dell’Arciprete Serjei
Bulgakov, “Il Nome di Gesù, presente nel cuore umano, conferisce ad esso il
potere della deificazione.” “Il Logos si fece uomo,” dice San Attanasio, “per
poterci rendere divini.” Colui che è Dio per natura prese la nostra umanità,
così che noi uomini potessimo condividere la grazia insita alla Sua divinità,
diventando “partecipi della natura divina” (2 Pietro 1:4). La preghiera di Gesù,
rivolta al Logos incarnato, è un mezzo per la realizzazione dentro di noi di
questo mistero della theosis, col quale l’uomo perviene alla vera
somiglianza di Dio.
La Preghiera di Gesù, unendoci a Cristo, ci
aiuta a condividere in reciproca coabitazione ovvero in perichoresis, le
tre Persone della Santa Trinità. Più la Preghiera diventa parte di noi stessi,
più entriamo nel moto dell’amore che passa incessantemente da Padre, Figlio e
Spirito Santo. Nella tradizione esicasta, il mistero della theosis ha
molto spesso assunto la forma esteriore di una visione di luce. Questa luce che
i santi vedono in preghiera non è una luce simbolica dell’intelletto, né di tipo
sensibile, fisica e creata. Non è altro che la Luce divina non creata della
Natura Divina, che splendeva da Cristo alla Sua Trasfigurazione sul Monte Tabor
e che l’Ultimo Giorno illuminerà il mondo intero alla Sua seconda venuta. Ecco
un passo caratteristico della Luce Divina tratto da San Gregorio Palamas. Egli
descrive la visione dell’Apostolo quando fu preso ed innalzato al terzo cielo (2
Cor. 12:2-4): “Paolo vide una luce incommensurabile, sia sotto che sopra o
lateralmente; non vedeva alcun limite nella luce che gli apparve brillare
attorno a sé, ma era come un sole infinitamente più luminoso e più vasto
dell’universo; e nel mezzo del sole stava lui, trasformato in una sorta di
occhio.”[29] Tale è
la visione di gloria a cui possiamo accedere attraverso l’invocazione del
Nome.
La Preghiera di Gesù fa sì che lo splendore
della Trasfigurazione penetri in ogni angolo della nostra vita. La ripetizione
costante ha due effetti sull’autore anonimo de La Via di un Pellegrino
russo. In primo luogo, trasforma il suo rapporto con la creazione materiale
attorno a lui, rendendo trasparente ogni cosa, considerata come sacramento della
presenza di Dio. Si legge: “Quando pregavo col cuore, ogni cosa attorno a me
sembrava deliziosa e meravigliosa. Gli alberi, l’erba, gli uccelli, la terra,
l’aria , la luce sembravano dirmi che esistevano per il bene dell’uomo, che
testimoniavano l’amore di Dio per l’uomo, che ogni cosa era una prova dell’amore
di Dio per l’uomo, che ogni cosa pregava Dio e intonava a Lui una lode. Fu così
che venni a comprendere ciò che la Filocaliadefinisce ‘la conoscenza
della parola di ogni creatura.’… Avvertii un amore bruciante per Gesù Cristo e
per le creature di Dio.”[30] Nelle
parole di Padre Bulgakov, “Splendendo attraverso la terra, la luce del Nome di
Gesù illumina tutto l’universo.”[31]
In secondo luogo, la Preghiera trasfigurò non
solo il rapporto del pellegrino con la creazione materiale, ma anche con gli
altri uomini. “Mi rimisi in viaggio per i miei pellegrinaggi. Ma ora non
procedevo più come prima, pieno di preoccupazione. Era l’invocazione del Nome di
Gesù a rallegrare la mia via. Erano tutti gentili con me, come se tutti mi
amassero… Se qualcuno mi facesse del male devo soltanto pensare, ‘Com’è dolce la
Preghiera di Gesù!’ e ferita e rabbia se ne andrebbero via, dimenticate in un
baleno.”[32] “Nella
misura in cui lo hai fatto ad uno dei miei fratelli minori, lo hai fatto a Me”
(Matteo 25:40): la Preghiera di Gesù ci aiuta a vedere Cristo in tutti gli
uomini, e tutti gli uomini in Cristo. La Preghiera di Gesù, perciò, non è una
fuga o una negazione del mondo, di contro è intensamente affermativa. Non
implica un rifiuto della creazione di Dio, ma la riaffermazione del valore
ultimo di ogni cosa e ognuno in Dio.
“La preghiera è azione; pregare significa
essere incisivamente efficaci.”[33] Tra
tutte le preghiere ciò è particolarmente vero della Preghiera di Gesù. Anche se
ne viene fatta menzione nell’officio della professione monastica quale preghiera
di monaci e suore,[34] è
egualmente una preghiera adatta ai laici, alle coppie sposate, ai dottori e agli
psichiatri, ai lavoratori sociali e ai conduttori di autobus. L’invocazione del
Nome, ben praticata, coinvolge ciascuno più profondamente nei propri specifici
compiti, rendendolo più efficiente nelle azioni, senza tagliarlo fuori dagli
altri ma collegandolo ad essi, rendendolo sensibile alle loro paure e alle ansie
in un modo che prima non si era mai verificato. La Preghiera di Gesù rende
ciascuno un ‘uomo per gli altri,’ uno strumento vivente della pace di Dio, un
centro dinamico di riconciliazione.
[1] Tito
Collinander, The Way of the Ascetics (Londra, 1960), pag. 79.
[2] Citato
da Igumen Chariton di Valamo, The Art of Prayer: An Orthodox Anthology
(Londra, 1966), pag. 63.
[3]
Capitoli, 113 (PG 150, 1280A). Si veda Kallistos Ware, ‘The Jesus Prayer
in St. Gregory of Sinai,’ Eastern Churches Review (1972), pag.
8.
[4] Una
citazione dal Salmo 118 [119]: 126. In alcune versioni inglesi della
Liturgia ciò viene tradotto con “E’ tempo di fare [sacrificio] per il Signore”,
ma la resa alternativa che abbiamo usato è più ricca di significato e viene
preferita da molti commentatori ortodossi. L’originale greco usa la parola
kairos: “E’ il kairos per il Signore d’agire.” Kairos ha
qui lo speciale significato del momento decisivo , il momento opportuno: colui
che prega coglie il kairos. E’ un punto questo su cui dovremo
tornare.
[5]
Capitoli, 113 (PG 150, 1277D).
[6] E’
esistita naturalmente una fervente devozione per il Sacro Nome di Gesù
nell’occidente medievale, e non solo in Inghilterra. Se ciò pone alcuni punti di
differenza rispetto alla tradizione bizantina della Preghiera di Gesù, non
mancano palesi parallelismi.
[7] ‘Un
monaco della Chiesa d’Oriente’ [Lev Gilet], On the Invocation of the Name of
Jesus (The Fellowship of St. Alban and St. Sergius, Londra, 1950), pagg. 5-6
(ristampato da SLG Press, 1970, pagg. 2-3).
[8] The
Art of Prayer, pag. 92.
[9]
Fratello Lawrence della Resurrezione (1611-91), Carmelitano Scalzo, The
Practice of the Presence of God, ediz. D. Attwater (Paraclete Books, Londra,
1962), pagg. 13, 16.
[10]
Archimandrite Sofronio, The Undistorted Image: Atarez Silouan (Londra,
1958), pagg. 40-41.
[11]
The Art of Prayer, pag. 10.
[12]
Racconti d’un Pellegrino Russo (Rusconi – 1977).
[13]
Similitudini, ix, 14.
[14] Per
la venerazione del Nome tra i cabalisti ebraici medievali, si veda Gershom
Scholem, Major trends in Jewish Mysticism (3a edizione, Londra, 1955),
pagg. 132-3; e si metta a confronto la trattazione di questo tema al pregevole
romanzo di Charles Williams, All Hallows’ Eve (Londra, 1945).
[15]
La Scala, 21 e 27 (PG 88, 945C e 1112C).
[16]
The Art of Prayer, Pag.97.
[17]
Questions and Answers, edizioni Sotirios Schoinas, 91.
[18] A
Hundred Texts on Knowledge and Discernment, 59 (ediz. E. des Places,
Sources chretiennes, 5bis [Parigi]), pag. 119.
[19]
Capitoli, 27 (Filocalia, vol ii [Atene, 1958], pag.
283).
[20]
On Prayer, 70 (PG 79, 1181C).
[21]
How the hesichast should preserve in prayer, 7 (PG 150, 1340D).
[22]
Sacremente de l’amour. Le mystère conjugal a la lumiere de la tradition
ortodoxe (Parigi, 1962), pag. 83.
[23]
Richard Kehoe, OP, “The Scriptures as Word of God,” The Eastern Churches
Quarterly viii (1947), edizione supplementare su “Tradizione e Scrittura,”
pag. 78.
[24]
Citato in John B. Dunlop, Staretz Amvrosy: Model for Dostoevsky’s Starets
Zossima (Belmont, Mass., 1972), pag. 22.
[25]
Hom. xv, 32 e xliii, 7 (ediz. Dorries/Klostermann/Kroeger [Berlino,
1964], pagg. 146, 289).
[26]
La Via di un Pellegrino russo, pag. 14.
[27] Lo
starets Silouan del Monte Atos ha praticato esclusivamente la Preghiera
di Gesù per tre settimane prima che scendesse nel cuore e diventasse senza posa.
Il suo biografo, Archimandrite Sofrony, giustamnente evidenzia che si trattò di
un “dono sublime e raro”; soltanto in seguito Padre Silouan riuscì ad apprezzare
quanto fosse insolito (The Undistorted Image, pag. 24).
[28]
Mystic Treatises by Isaac of Nineveh (Amsterdam, 1923), pag.
113.
[29]
Triads in Defense of Holy Hesychasts, I, iii, 21 (ediz. Meyendorff, col.
I, pag. 157).
[30]
La Via di un Pellegrino russo
[31]
The Orthodox Church, pag. 171.
[32]
La Via di un Pellegrino russo
[33] Tito
Collander, The Way of the Ascetics, pag. 71.
[34]
All’investitura di un monaco, sia nella pratica russa che greca, è abitudine
offrirgli una corda per preghiera. Nell’uso russo l’abate pronuncia le seguenti
parole mentre gliela porge: “Prendi, fratello, la spada dello Spirito, che è
Parola di Dio, per la preghiera continua a Gesù; poiché devi sempre avere il
Nome del Signore Gesù nella mente, nel cuore, e sulle labbra, dicendo sempre:
Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me misero peccatore.” Si veda
N. F. Robinson, SSJE, Monasticism in the Orthodox Churches
(Londra/Milwaukee, 1916), pagg. 159-60. Si noti la solita distinzione tra i tre
livelli della preghiera: labbra, mente, cuore.