Oración , Preghiera , Priére , Prayer , Gebet , Oratio, Oração de Jesus

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CATECISMO DA IGREJA CATÓLICA:
2666. Mas o nome que tudo encerra é o que o Filho de Deus recebe na sua encarnação: JESUS. O nome divino é indizível para lábios humanos mas, ao assumir a nossa humanidade, o Verbo de Deus comunica-no-lo e nós podemos invocá-lo: «Jesus», « YHWH salva» . O nome de Jesus contém tudo: Deus e o homem e toda a economia da criação e da salvação. Rezar «Jesus» é invocá-Lo, chamá-Lo a nós. O seu nome é o único que contém a presença que significa. Jesus é o Ressuscitado, e todo aquele que invocar o seu nome, acolhe o Filho de Deus que o amou e por ele Se entregou.
2667. Esta invocação de fé tão simples foi desenvolvida na tradição da oração sob as mais variadas formas, tanto no Oriente como no Ocidente. A formulação mais habitual, transmitida pelos espirituais do Sinai, da Síria e de Athos, é a invocação: «Jesus, Cristo, Filho de Deus, Senhor, tende piedade de nós, pecadores!». Ela conjuga o hino cristológico de Fl 2, 6-11 com a invocação do publicano e dos mendigos da luz (14). Por ela, o coração sintoniza com a miséria dos homens e com a misericórdia do seu Salvador.
2668. A invocação do santo Nome de Jesus é o caminho mais simples da oração contínua. Muitas vezes repetida por um coração humildemente atento, não se dispersa num «mar de palavras», mas «guarda a Palavra e produz fruto pela constância». E é possível «em todo o tempo», porque não constitui uma ocupação a par de outra, mas é a ocupação única, a de amar a Deus, que anima e transfigura toda a acção em Cristo Jesus.

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sexta-feira, 8 de março de 2013

p. Gabriele di S. Maria Maddalena OCD Piccolo catechismo della vita di orazione

p. Gabriele di S. Maria Maddalena OCD
Piccolo catechismo della vita di orazione

Il P. Gabriele - Carmelitano Scalzo belga - è vissuto per moltissimi anni a Roma, dove ha esercitato la direzione spirituale e ha impartito insegnamento di teologia spirituale.
Fu autore di molti scritti (assai noto il suo "Intimità divina", meditazioni per ogni giorno dell'anno, la cui edizione originale dopo il Concilio Vaticano II è stata purtroppo rimaneggiata e farcita di citazioni sia bibliche sia conciliari, e letterariamente trasformata in forma impersonale).

Il testo presente consiste nella raccolta di articoli apparsi sulla rivista "Vita carmelitana" negli anni '30 e primi anni '40, e costituisce un denso trattatello in forma catechistica (domande-risposte) riguardante la vita di orazione.
Il metodo carmelitano di orazione non è propriamente monastico (quello monastico è più centrato sulla lettura pregata della Sacra Scrittura), ma poiché è stato usato con frutto da molti, potrebbe essere molto utile a chi lo trovasse spiritualmente adatto a sé.

a cura dei monaci della Abbazia Nostra Signora della Trinità - Morfasso (PC) Italia
Frontespizio dell'opera



prefazione
Questo “piccolo catechismo”,pubblicato in un primo tempo sulla rivista “Vita Carmelitana”,fu accolto con vera gioia dalle anime pie, che vi trovarono luce e conforto. E non poteva essere diversamente, poiché contiene la sostanza degli insegnamenti con i quali, da circa quattro secoli, la Riforma teresiana dell'Ordine Carmelitano ammaestra le anime nella vita di orazione. Sono gli insegnamenti di santa Teresa di Gesù e di san Giovanni della Croce, raccolti e sviluppati dai loro figli ed arricchiti da lunga e diuturna esperienza, i quali, rimasti finora quasi del tutto nascosti tra le mura del chiostro, vengono messi in queste pagine alla portata di tutte le anime pie. Questo “piccolo catechismo” infatti è una divulgazione dell' idea e del metodo teresiano di orazione mentale, idea e metodo troppo sconosciuti e dei quali tuttavia si è potuto costatare tante volte il benefico influsso.
Più volte i lettori di “Vita Carmelitana”esponevano il desiderio di vedere raccolte in un libricino le lezioni pubblicate nella Rivista; per soddisfare questo desiderio abbiamo prepa- rato la presente edizione.
Abbiamo creduto opportuno introdurre nel testo delle lezioni alcune leggere modifiche che lo rendono più adatto alle condizioni delle persone pie che vivono nel secolo, ma non è stato cambiato nulla che riguardi la sostanza.
Voglia la santa Madre Teresa di Gesù, la grande Maestra della vita di orazione, ottenere l’abbondanza delle benedizioni celesti a tutti coloro che leggeranno quest'opuscolo che si propone di nutrire le anime “col pane della sua celeste dottrina” (Orazione liturgica della Santa).
Roma, nella festa della Purificazione di Maria SS. 2 febbraio 1943


CAPITOLO I
l'orazione nella vita contemplativa
1. Che cosa è la vita cristiana?
La vita cristiana è la vita umana vissuta in conformità agli insegnamenti di N. S. Gesù Cristo, secondo i quali dobbiamo ordinare tutte le nostre azioni a gloria di Dio, amandolo, ed osservando le sue sante leggi. L'anima cristiana vive quindi “per Iddio”.
2. Che cosa è la Vita contemplativa?
La vita contemplativa è una forma di vita cristiana in cui si intende vivere non solamente “per Iddio”, ma anche, “con Dio”. Non è riservata al religiosi, ma può essere vissuta benissimo anche nel secolo. Essa, sì concentra tutta nella ricerca dell'intimità divina e moltiplica perciò, durante il giorno, i così detti “esercizi spirituali”. Questi sono, specialmente, esercizi di orazione, i quali devono essere accompagnati da esercizi di mortificazione, perché, dice santa Teresa di Gesù, grande Maestra della vita contemplativa, “orazione e comodità non vanno insieme”.
3.Quale è il posto dell'orazione nella vita contemplativa?
Nella vita contemplativa, l'orazione occupa il primo posto e, praticamente, la vita contemplativa è vita di orazione. Perciò gli Ordini contemplativi consacrano molto tempo alla preghiera. Nella Regola del Carmelo, Ordine eminentemente contemplativo, il precetto centrale è quello dell'ora- zione continua: “Stia ognuno nella propria cella, meditando dì e notte nella legge del Signore e vegliando in orazione”. Infatti i religiosi carmelitani hanno molti esercizi di orazione: due volte al giorno praticano l’orazione mentale, assistono alla Santa Messa, recitano l’Ufficio divino, atten- dono alla presenza di Dio durante il giorno, senza parlare degli esercizi personali di devozione.
4.Che cosa è l’orazione?
L'orazione è una conversazione con Dio in cui noi Gli manifestiamo i desideri del nostro cuore. L'orazione può essere vocale o mentale.
5. Che cosa è l’orazionevocale?
L'orazione vocale è quella in cui noi recitiamo una formula che esprime i nostri desideri; come per es. il Pater Noster, insegnatoci da Gesù stesso, nel quale noi facciamo a Dio sette domande. Noi recitiamo questa formula con l’intenzione di onorare Dio. Spesse volte non pensiamo parti- colarmente al senso delle parole che pronunciamo, ma questo non impedisce che la nostra sia orazione, purché la mente rimanga rivolta al Signore col desiderio di onorarlo. Con simile desiderio di render loro onore, l'orazione si può fare anche ai Santi.
6. Che cosa è l'orazione mentale?
Questa consiste nel parlare “di cuore” a Dio, non più con formule preparate o imparate a memoria, ma in modo spontaneo.
7. Che cosa diciamo a Dio nell' orazione mentale?
Anche in questa forma di orazione possiamo manifestare a Dio tutti i desideri che abbiamo in cuore; secondo gli insegnamenti però di santa Teresa di Gesù, un'ani­ma contemplativa preferirà dirgli che Lo ama, o che, almeno, desidera amarlo.
8.Perché parlare specialmente di amore con Dio?
Perché l'amore è la sostanza della vita contemplativa. Secondo santa Teresa, le anime contem- plative devono divenire grandi amiche, amiche intime del Signore; e l'amore, appunto, fa fiorire l’amicizia e introduce nell'intimità. Inoltre, santa Teresa vuole che, andando all'orazione, siamo convinti che Iddio ci invita ad amarlo e che noi andiamo a rispondere al suo invito.
9.Bisogna anche “pensare” nell'orazione?
Non è possibile amare, senza avere qualche pensiero sull’oggetto amato. Per amare Dio, bisogna pensare a Lui. Tuttavia il pensiero di Dio potrà variare molto secondo i casi. Sarà una riflessione alquanto prolungata sull’amore di Dio per noi, ma potrà essere anche un semplice ricordo dell'amabilità del Signore e della sua bontà. Quindi, nell'orazione, pensiamo soltanto per amare, per nutrire l’amore. Santa Teresa infatti dice che l’orazione consiste “non nel molto pensare, ma nel molto amare”.
10. Che cosa è l’amore?
Vi è l'amore sensibile e vi è l'amore di volontà. L’amore sensibile consiste in un sentimento che ci porta affettuosamente verso una persona, e ci fa provare piacere alla sua presenza o al ricordo di lei. L'amore di volontà consiste nel “voler bene” ad una persona, per libera scelta e determina- zione della nostra volontà. Quando poi quest'amore prende tutta l'anima, allora si vuole apparte- nere alla persona amata e consacrare deliberatamente a lei tutta la propria vita.
11. Quale è il vero amore in una persona umana?
L'amore di volontà; perché la volontà è quanto in noi vi è di più personale. Nella volontà risiede la nostra libertà, e con questa appunto noi ci diamo a Dio. Per questo Iddio chiede all'uomo proprio il “dono della sua volontà”. In questo dono totale consiste la piena consacrazione dell'uomo a Dio. L'amore sensibile è un complemento di importanza molto secondaria. Non dipende, del resto, da noi provarlo, mentre dipende da noi amare con la volontà.
12. Perché desideriamo naturalmente l’amore sensibile?
Lo desideriamo per la sua dolcezza e perché ci apporta conforto e consolazione. Ma, appunto perché spesso nell'amore sensibile cerchiamo noi stessi mentre con l'amore di volontà cerchiamo Dio, Egli sovente sopprime in noi l'amore sensibile, per farci camminare più decisamente con la sola volontà.
13. Di quale amore dobbiamo amare Iddio nell'orazione?
Certamente d'un amore di volontà, essendo questo più importante. Se l'amore sensibile vi si aggiunge, invece di cercarvi il nostro compiacimento, profitteremo del suo aiuto per rafforzare la nostra volontà nel darsi a Dio. Mancando l'amore sensibile proseguiremo con la sola volontà.
14. Come potrò occuparmi per un'ora intera di questa conversazione amorosa col Signore?
Sul principio della vita di orazione, molte anime vi incontrano grandi difficoltà e provano noia, oppure sentono di dissiparsi. Bisogna, quindi conoscere, che il “far orazione” è cosa che “si impara”. Per insegnare questo, i teologi carmelitani dediti allo studio della vita di orazione, hanno costruito il loro “metodo di orazione mentale”.


CAPITOLO II
il metodo dell' orazione mentale
1. Che cosa si intende per metodo di orazione mentale?
Un metodo di orazione è l'insegnamento che ci spiega la maniera di fare l'orazione agevolmente. Infatti ci indica i vari atti che dobbiamo fare l'un dopo l'altro per riuscir meglio in questo santo esercizio.
2. Esiste un metodo di orazione mentale nell'Ordine carmelitano?
Sì, nell’Ordine carmelitano, troviamo un metodo di orazione fin dagli inizi della Riforma teresiana. Fu esposto e lo troviamo difatti nelle due più antiche Istruzioni dei Novizi, in quella spagnola (1591) e in quella italiana (1605).
3. Quale è l’origine di questo metodo?
Questo metodo trae l'origine immediata, dagli insegnamenti di santa Teresa di Gesù e di san Giovanni della Croce; la sua, forma definitiva e concreta, però, fu data dai loro discepoli. Di questo metodo daremo ora una spiegazione generale, per tornare sulle varie sue parti nelle lezioni seguenti.
4. Quante parti distingue il vostro metodo, nell'orazione mentale?
Abitualmente distinguiamo sei o sette parti o atti nell'esercizio dell'orazione mentale cioè: la preparazione - la lettura - la meditazione (col colloquio affettivo) - il ringraziamento - l'offerta - la domanda.
5. Tante distinzioni non sono forse una complicazione?
Questa distinzione delle parti non complica la pratica dell' orazione mentale. Difatti le due prime non sono ancora l'orazione, ma ne costituiscono come la porta d’ingresso; le tre ultime parti poi, sono puramente complementari e facoltative; cioè, verranno tralasciate appena non ne avremo più bisogno; l'orazione si riduce quindi sostanzialmente alla meditazione, accompagnata da una conversazione intima col Signore (colloquio affettivo).
6. In qual modo intendere bene il metodo carmelitano di orazione?
Per intendere bene il metodo carmelitano bisogna tener presente l'idea dell'orazione mentale come è presentata da santa Teresa; ossia che l'orazione consiste in una conversazione intima col Signore, nella quale Gli parliamo specialmente di amore, rispondendo al suo invito di amarlo. Le varie parti dell’orazione hanno per scopo di condurci agevolmente a questa conversazione amorosa con Lui.
7. Come giova la preparazione a questo scopo?
La preparazione deve servire a metterci vicini al Signore; non si può difatti parlare intimamente con una persona se non essendole vicino. Dovremo quindi metterci alla presenza di Dio con fede viva e nell’atteggiamento umile di un’anima che si riconosce figlia di Dio.
8. A che cosa deve servire la lettura ?
La lettura serve a procurarci un soggetto per la conversazione affettuosa col Signore, conver- sazione che può nutrirsi della considerazione di tutti i misteri della santa Fede e dei vari doni e grazie da noi ricevuti dal Signore: infatti, in tutto ciò si manifesta l'amore di Dio verso di noi; ma poiché non è possibile parlare ogni volta di tutti questi argomenti insieme, con la lettura possia- mo scegliere il soggetto di cui vogliamo presentemente occupare e rendere più facile la nostra considerazione, seguendo le spiegazioni e le riflessioni del libro.
9. Perché “meditare”?
La meditazione o riflessione personale che noi facciamo sul dono divino o sul mistero che abbiamo scelto nella lettura, serve a un duplice scopo: l'uno intellettuale e l’altro affettivo. Lo scopo intellettuale è di intendere meglio l’amore di Dio per noi, come si manifesta nel mistero o nel dono divino che consideriamo e cosi convincerai sempre più dell'invito d'amore rivolto da Dio all'anima nostra. Lo scopo affettivo consiste nel muovere la volontà all'esercizio dell'amore ed alla sua manifestazione, rispondendo all'invito divino. La meditazione appare quindi come la preparazione immediata alla conversazione affettuosa col Signore.
10. Come si passa dalla meditazione al colloquio affettivo?
Questo passaggio non si deve fare a un momento preciso, quasi matematicamente determi- nato, ma in modo del tutto spontaneo. Facendo le proprie riflessioni in presenza di Dio e vedendo con esse più chiaramente quanto questo Dio ci ama, l’anima si sente facilmente spinta a dirgli a sua volta parole di amore. Anzi accade spesso che le riflessioni che faceva prima con se stessa, le continui per qualche tempo rivolgendo la parola al Signore e questo giova a farle prendere una coscienza più viva del suo amore per noi. Finalmente però l'anima lascia, ogni considerazione per abbandonarsi pienamente all' esercizio dell’amore ed alla sua manifestazione; passa cioè al colloquio affettivo. In questo l’anima dice e ripete in mille maniere a Dio che Lo ama, che desidera amarlo di più, che desidera provargli il suo amore.
11. E' importante questo colloquio?
Il colloquio è importantissimo ed è la parte centrale dell'orazione. In esso infatti si realizza direttamente il concetto che santa Teresa aveva dell'orazione mentale che consiste in una conver- sazione intima col Signore nella quale rispondiamo al suo amore per noi. Perciò l'anima nella sua orazione, potrà occupare in esso molto tempo e anche tutta l'ora.
12. Quale scopo hanno le ultime tre parti dell’orazione?
Le ultime tre parti o atti dell'orazione cioè: il ringraziamento, l'offerta e la domanda, servono a prolungare più agevolmente la nostra conversazione affettuosa col Signore. Non sono infatti altro che atti affettivi più determinati, cioè vari modi di manifestare il nostro amore.
13. Quale è il nostro atteggiamento in queste parti?
Nel ringraziamento manifestiamo al Signore la nostra umile gratitudine per tanto suo amore verso di noi e per i doni da Lui ricevuti. Nell'offerta, spinti dalla riconoscenza amorosa, vogliamo dare anche noi qualche cosa al Signore. Nella domanda, o preghiera, umilmente convinti della nostra indigenza e fragilità, e desiderosi tuttavia di amare veramente il Signore, chiediamo il suo aiuto per riuscirvi ed esser fedeli ai propositi formati nell'offerta. Questi atti sono quindi veramente un prolungamento del colloquio affettivo, nato spontaneamente dalla meditazione.
14. Si deve osservare un ordine determinato nel seguire queste parti dell’orazione?
L'ordine indicato sopra è quello più logico; ma nell'orazione si può usare una grande libertà: possiamo ordinare queste parti come riesce più spontaneo. Anzi, possiamo riprendere più volte la stessa parte. Ciò vale anche per la meditazione e il colloquio affettivo che possono, anche frequentemente, alternarsi in una stessa orazione.
15. Sono necessarie le ultime parti?
No, questi atti sono facoltativi. Infatti un'anima che può occuparsi sufficientemente nel colloquio affettivo senza ricorrere ad esse, lo può fare senz'altro. Ma, nel principio della vita d'orazione, l'attenzione dell'anima è spesso aiutata da una certa varietà di atti; e in questo caso l'anima farà bene a ricorrere ad essi.


CAPITOLO III
preparazione e lettura

l. Vi sono forme varie di preparazione all'orazione?
Gli autori carmelitani sovente distinguono una duplice preparazione: la preparazione “prossima” con la quale l'anima si mette in immediato contatto con Dio per iniziare l’intima conversazione con Lui, e la preparazione “remota” con cui l'anima dispone le sue potenze a raccogliersi agevolmente in Dio.
2. Cosa si richiede perché le potenze dell'anima siano disposte a raccogliersi?
È necessario che esse non siano assorbite eccessivamente dalle creature, e che venga coltivata la tendenza che hanno ad occuparsi di Dio. A procurare queste condizioni giovano i due elementi che costituiscono la preparazione remota. Il primo elemento, poiché si tratta di allontanare un ostacolo, è “negativo”; il secondo, diretto a procurare una qualità, è “positivo”.
3. Quale è l'elemento negativo della preparazione remota?
Fuggire le distrazioni dello spirito e gli attacchi del cuore. Perché la pratica dell'amore di Dio sia facile, bisogna avere un cuore libero; questo richiede un grande distacco dalle creature. Chi vuole amare molto, deve riservare a Dio il vigore e la tenerezza del suo affetto e non disperderlo nelle persone e nelle cose, che facilmente avvincono un cuore non custodito. D'altronde, la libertà dello spirito non si raggiunge senza una grande mortificazione dei sensi che sono finestre aperte sulle cose terrene, e della memoria che, con i ricordi, ci riporta nel mondo; anzi lo spirito stesso deve evitare i pensieri inutili. Bisogna quindi sorvegliare il cuore e lo spirito.
4. Quale è l'elemento positivo della preparazione remota ?
L'esercizio della presenza di Dio, che cercheremo di rendere continuo, per quan­to sarà possibile. Con questo santo esercizio, che raccoglie in Dio il nostro pensiero e la nostra volontà, noi conserviamo un certo contatto con Dio, anche tra le occupazioni più materiali, e conversiamo sovente con Lui durante il giorno. La fedeltà a questa pratica crea quindi, in noi, una certa facilità a parlare con Dio, come pure a metterci in un più intimo contatto con Lui, nel che consiste la preparazione prossima.
5.Quale atteggiamento spirituale giova più all'anima per questo contatto con Dio?
L’atteggiamento di un'umile confidenza, che ci mette innanzi a Dio nella posizione che maggiormente ci conviene. Dio, infatti, è nostro Padre, ed Egli vuole che trattiamo con Lui da bambini impotenti. Desteremo in noi il senso della nostra indigenza, col ricordo dei numerosi falli che palesano la nostra miseria. Lungi però dal richiuderci in noi stessi o dallo scoraggiarsi alla vista della nostra pochezza, cercheremo rifugio nelle braccia di Gesù, che ci ha insegnato: “Senza di me non potete far nulla”, invitandoci così a ricorrere a Lui. Perciò santa Teresa ci invita ad esaminare, sul principio dell'orazione, la nostra coscienza, quindi a recitare il Confiteor e a cercare poi la compagnia di Gesù.
6. Quale è il modo più pratico per mettere l'anima vicina a Dio?
Qualunque forma della “presenza di Dio” è utile a questo purché si eserciti con maggiore applicazione e intensità. Tuttavia due forme sembrano specialmente indicate per l'orazione: il mettersi alla presenza della santissima Eucaristia (difatti facciamo l'orazione innanzi al santissimo Sacramento), e il raccogliersi nella propria anima, attendendo alle Tre Persone divine che abitano nell'anima in Grazia e si offrono ad essa, per esserne conosciute e amate. Per cominciare quindi il colloquio con “Dio presente”, ricorderemo il soggetto scelto nella lettura.
7. In che tempo si deve fare questa lettura?
Preferibilmente prima di andare all'orazione, cioè nel quarto d'ora che le nostre leggi ci concedono per prepararci. Se però non avremo potuto prima, potremo farla sul principio dell'orazione. Anzi, nelle comunità religiose, si usa fare una breve lettura ad alta voce sull' inizio dell' esercizio di orazione mentale.
8. A che serve la lettura “in comune”?
Essa ha lo scopo di offrire un soggetto di meditazione a chi ne fosse sprovvisto. Non vi è però obbligo alcuno di servirsi del punto che viene letto. Abitualmente, infatti, le anime vengono all'orazione col soggetto precedentemente preparato dalla lettura fatta individualmente. Ma se, talora, il punto che viene letto ci attrae più che il soggetto scelto, possiamo cambiare al momento, usando in ciò della più grande libertà.
9. La lettura deve sempre servire a preparare un soggetto di meditazione?
Tale è la sua destinazione originaria, e ciò la distingue dalla cosi detta “lettura spirituale”, che ha uno scopo più largo: quello cioè di istruire nelle cose di spirito. La lettura di cui parliamo,invece, serve a procurarci immediatamente una verità, che penetreremo con la riflessione, per riportarne una convinzione più profonda dell'amore di Dio per noi. Tuttavia, nelle anime che non fanno più l'orazione in forma meditativa, ma che sono giunte all'orazione che santa Teresa chiama “di raccoglimento”, o più in alto ancora, la lettura non serve più a scegliere un soggetto, ma piuttosto a raccogliere l'anima, disponendola soavemente a gustare nell'orazione il riposo in Dio.
10. Quali libri dobbiamo scegliere di preferenza per fare questa lettura ?
Ciò dipende dallo scopo della lettura. Quando si tratta di trovare un soggetto di meditazione, potranno a questo servire, oltre ai libri che sono apposite “raccolte” di tali soggetti, tutti i libri spirituali che mettono in luce le molteplici manifestazioni dell'amore di Dio per noi. Sarà bene però che ci serviamo di libri già conosciuti. Quando si tratta di leggere unicamente per raccogliere lo spirito, ogni scritto che spiri un intenso amore di Dio, potrà servire. Gli scritti dei nostri Santi sono di questo genere. La scelta dei libri viene quindi condizionata direttamente dallo scopo della lettura; ma dovrà influire in questa scelta anche la cultura e l'età spirituale della persona. Libri troppo alti, sia intellettualmente che spiritualmente, saranno poco intesi e procureranno necessariamente aridità.
11. Possiamo, fare la nostra lettura anche sulle “vite dei Santi”?
Neppure queste sono escluse, particolarmente perché molte anime si sentono commosse più dall'esempio dei Santi, i quali hanno vissuta la dottrina spirituale, che da una esposizione speculativa di essa. Bisogna badare però a non leggere spinti dalla curiosità e a non prolungare inutilmente la nostra lettura. Perciò non conviene leggere come preparazione alla meditazione una vita “nuova”, poiché questo eccita troppo l'immaginazione. Sarà meglio contentarsi, possibil- mente, di qualche profilo sintetico di una figura studiata anteriormente.
12. Come dobbiamo leggere?
Bisogna leggere, prima di tutto, con attenzione, poiché lo scopo della lettura è di “trovare” un soggetto di conversazione col Signore. Perciò bisogna leggere anche con una certa lentezza, altrimenti i soggetti adatti ci sfuggiranno; inoltre con “devozione e raccoglimento” perché questa buona disposizione del cuore, accentuando in noi la “ricerca” di qualche cosa di utile per l’anima, ci rende più attenti e più “sensibili” alle buone idee. Potremo allora più facilmente prevedere i temi fecondi ed anche preparare in qualche modo gli affetti che vogliamo esprimere e i propositi che vogliamo fare. Tutto ciò senza troppo “legarci”, poiché lo scopo della lettura non è questo, ma piuttosto di aiutarci semplicemente, secondo i nostri bisogni. Aggiungiamo ancora che la lettura, se viene fatta in comune, deve essere breve, per non dare noia a coloro che non se ne servono, e questi sono molti.
13. Possiamo riprendere la lettura durante l'orazione ?
Questo non è escluso. Potrà anzi essere indicato in qualche occasione particolare. Santa Teresa, infatti, non andava mai all'orazione senza portare il libro con sé. Potremo talvolta trovarci così distratti che il modo più pratico per ritornare al Signore sarà di portare la mente a qualche buon pensiero, con la lettura. Anche quando nella meditazione e nello stare col Signore l’attenzione è resa difficile da un po' di stanchezza, è spesso opportuno tenere sotto gli occhi il nostro tema di meditazione. Questo è un aiuto esterno per la nostra attenzione. Si badi però di non trasformare l'orazione in una semplice lettura. Essa deve rimanere almeno una lettura meditata, nella quale ci fermiamo per dare posto agli affetti e ai propositi. Allora la lettura stessa diviene uno strumento della nostra conversazione con Dio.


CAPITOLO IV
la meditazione e il colloquio
l. La meditazione è trattata sempre nello stesso modo negli autori carmelitani?
Negli autori carmelitani si può notare qualche differenza nel modo di presentare la meditazione, ma nella sostanza convengono tutti. Alcuni ne parlano senza distinguere i vari elementi; altri distinguono dalla riflessione meditativa, il colloquio affettivo al quale la riflessione conduce e chiamano questo colloquio “contemplazione”. Altri infine, nella stessa parte meditativa, distin- guono la rappresentazione e la riflessione. Chi non classifica, esplicitamente questi vari elementi, vi fa tuttavia qualche allusione. Possiamo quindi affermare che, in maggioranza, gli autori carme- litani distinguono tre elementi nella meditazione: 1) la rappresentazione, opera dell'immaginazione; 2) la, riflessione, opera dell'intelligenza; 3) il colloquio, opera principalmente della volontà.
2.In che cosa consiste la rappresentazione ?
È un'attività dell’immaginativa con la quale formiamo “dentro di noi”, cioè senza avere presenti gli oggetti, una specie di quadro o di rappresentazione del mistero che vogliamo meditare o, secondo i casi, degli oggetti sensibili dai quali la nostra riflessione si innalza a Dio.
3. A che cosa deve servire la rappresentazione ?
Il suo scopo è di rendere più agevole il lavoro della riflessione che naturalmente si appoggia, alle rappresentazioni dell'immaginazione. Infatti riesce facile pensare alla flagellazione, tenendone dinanzi un'immagine, la quale ha il vantaggio di fissare in qualche modo la fantasia, che senza un oggetto su cui possa posarsi, facilmente divaga, mentre la fissità della conoscenza immaginativa, aiuta a sua volta quella della conoscenza intellettiva.
4. È sempre necessaria la rappresentazione ?
Gli autori carmelitani non insistono molto sulla necessità di questo elemento della meditazione, ma piuttosto ci indicano in qual modo possa essere utile. Questa, utilità è evidente quando si tratta di considerare la vita di Cristo o dei Santi. Anche nella considerazione dei misteri più astratti, come per esempio degli attributi divini, l’intelligenza può partire dalle cose sensibili rappresentate dall'immaginazione. Così possiamo, dalle bellezze della natura, innalzarci a Dio, suprema bellezza. I teologi carmelitani distinguono, riguardo a questo, i vari casi in cui si può trovare chi medita. Alcune persone hanno un’immaginazione viva, capace di rappresentare le cose con facilità; altre invece si sentono quasi incapaci di costruire una figura qualunque. Le prime faranno bene a usare questa loro facilità di rappresentazione, mentre alle ultime giova sapere che questo non è un esercizio da farsi ad ogni costo. Le rappresentazioni immaginative per essere utili, non devono essere molto perfette; una rappresentazione piuttosto vaga può bastare all'intento.
5. In che modo si deve formare la rappresentazione ?
Possiamo indicare tre regole:
1. Bisogna certamente impiegarvi la nostra attenzione, altrimenti non si fa nulla dì serio, ma non occorre, tuttavia, eccitare troppo l’immaginativa quasi per vedere “al vivo” il soggetto che vogliamo meditare. Specialmente le persone che hanno l’immaginazione troppo viva cerchino di procedere con grande semplicità, perché altrimenti l’immaginazione potrebbe trarle in inganno e far loro credere che si tratti di qualche “visione”.
2.Per quanto riguarda la “perfezione” della rappresentazione, non è consigliabile giungere a determinare i dettagli. Gli autori carmelitani hanno anzi notato che a una persona dotata di poca immaginazione può bastare una rappresentazione piuttosto schematica. Più utile è una rappresen- tazione alquanto determinata, perché fissa più facilmente il pensiero. Gli autori carmelitani non parlano mai della così detta “applicazione dei sensi”.
3.Non bisogna consacrare molto tempo a formare la rappresentazione; bastano alcuni istanti, ma, naturalmente, potremo tenerla presente per tutto il tempo della meditazione, e se possiamo farlo, ciò sarà anche utile perché gioverà ad evitare distrazioni.
Concludiamo dicendo che, senza essere propriamente necessaria, la rappresentazione è spesso utile, e l’anima che vi riesce è bene non si privi del suo aiuto. Chi invece vi trovasse piuttosto impaccio potrebbe tralasciarla e cominciare e senz’altro con la riflessione.
6. È importante la riflessione o “considerazione”?
La riflessione è il primo degli elementi direttamente costitutivi della meditazione, che indica propriamente un certo lavoro discorsivo dell'intelligenza. Resta fermo però che anche questo elemento deve essere subordinato al seguente, cioè alla conversazione affettuosa con Dio, che deve trovare nella meditazione il fondamento e stimolo.
7. Deve durare molto questo lavoro dell'intelligenza?
La sua subordinazione alla conversazione affettuosa, indica che deve durare solo quanto basta per condurre l’anima a questa conversazione, cioè fino a produrre nell'anima un'attuale convinzione di essere amata da Dio e invitata a riamarlo. Sarebbe tuttavia un errore credere che possiamo interrompere o smettere la riflessione appena sentiamo qualche pio affetto, che potrebbe subito svanire lasciandoci nel vuoto; bisogna invece insistere alquanto, finché la volontà si sia sicuramente mossa, cosi da poter rimanere almeno per qualche tempo nel suo atteggiamento affettuoso.
8. Questa riflessione deve essere fatta “metodicamente”?
Si potrà farlo. Anzi santa Teresa, seguendo in ciò altri autori contemporanei, consiglia nella meditazione della Passione di Gesù di considerare: “Chi soffre? Che cosa soffre? Perché? Con quali disposizioni?”. Non è però necessario che vi sia tanto ordine nel nostro modo dì concate- nare gli argomenti, e si può senza danno passare con libertà da un pensiero a un altro, purché conduca allo scopo di farci intendere meglio l’amore di Dio per noi che si manifesta nel mistero meditato.
9. Come faranno le anime che “non possono meditare ”?
A queste anime che, per una certa mobilità dell'immaginazione e dei pensiero hanno grandis- sima difficoltà a fermarsi su un' idea determinata per approfondirla con riflessioni alquanto ordinate, santa Teresa insegna un altro modo per concatenare alcuni pensieri che eccitano l'amore. Consiste nel recitare molto lentamente una preghiera vocale sostanziosa, fermandosi a considerare con attenzione il senso delle parole e prendendone occasione per formare alcune riflessioni ed esprimere affetti.
10. Quando si inizia il colloquio affettivo?
Può iniziarsi appena l’anima ha potuto accendere in se stessa la viva convinzione di dover rispondere con l'amore all'amore di Dio per lei. Tutto dipende quindi dalla facilità con cui un'anima si mette in questa necessaria disposizione. Questa facilità poi si può acquistare con la pratica.
11. Che cosa si dice in questo colloquio?
L'anima, principalmente, esprime a Dio la sua volontà di amarlo e di dimostrargli il suo amore; prendendo lo spunto da un mistero particolare, vi si riferirà in mille maniere e il colloquio assumerà così le forme più varie. Si noti che l’anima può esprimere il suo amore non solo alla santissima Trinità, ma anche direttamente a Gesù; e può anche parlare affettuosamente con i Santi.
12. In che modo si fa questo colloquio?
Si può fare nel modo più vario. Possiamo esprimere il nostro affetto con parole pronunciate vocalmente; ma si può fare anche in un modo puramente “interiore”, cioè con espressioni del cuore e della volontà. Queste espressioni possono essere brevi e succedersi con una certa frequenza, oppure prolungarsi alquanto, non ripetendosi che a intervalli abbastanza lunghi; anzi l’anima può anche contentarsi di fare amorosamente compagnia a Dio.
13.La conversazione deve essere continua?
Possiamo rispondere di sì intendendo che l'anima debba rimanere in conversazione col Signore, ma non nel senso che debba continuamente “parlare”. Anzi gli autori carmelitani inse- gnano espressamente che da parte dell'anima, questa conversazione non deve essere troppo verbosa o agitata, ma piuttosto pacifica e spesse volte interrotta, quasi a permettere all’anima di ascoltare la risposta di Dio.
14. Iddio parla in questo colloquio?
Se noi fossimo soli a parlare, il nostro non sarebbe un “colloquio”; d'altronde santa Teresa ha insegnato che Iddio parla all'anima quando essa Lo prega di cuore. Non si deve credere però che Dio faccia sentire la sua voce in modo materiale. Egli risponde all'anima mandandole grazie di luce e di amore con cui l'anima stessa intende meglio le vie di Dio e si sente maggiormente accesa ad entrarvi con generosità. L'ascoltare dell'anima consiste quindi nell'accettare queste grazie e nel fermarvisi cercando di approfittarne.
15. Perché questo colloquio viene chiamato “contemplazione”?
Perché nel momento in cui parla con Dio e Lo sta ascoltando, l'anima non continua a ragionare come faceva durante la meditazione, ma si accontenta di attendere in modo generale il mistero che, con la meditazione, è arrivata a intendere meglio, oppure guarda semplicemente Gesù o il Padre celeste con cui parla. In questo semplice, sguardo si verifica la nozione tradizionale della “contemplazione” (semplice sguardo che penetra nella verità). E siccome nel colloquio Iddio suole comunicare all’anima la sua luce, anche sotto questo aspetto si verifica in esso, in qualche modo, ciò che in un senso più pieno è proprio della vera contemplazione, cioè un'infusione di luce celeste.
16. Quanto può prolungarsi questo colloquio?
Non vi sono limiti; può occupare anche interamente il tempo dell'orazione. Anzi, la semplifica- zione dell’orazione consiste proprio nel farsi più rare le riflessioni per dare maggior posto agli affetti e nel prendere anche questi a poco a poco una forma più quieta, con atti prolungati. Negli inizi però, non è facile per l'anima fermarsi tanto tempo nella sola espressione del suo amore; perciò allora può ricorrere agli ultimi atti dell'orazione, ossia al ringraziamento, all'offerta e alla domanda.
17. Perché ringraziare Dio?
Molti motivi spingono l’anima ad esprimere la sua gratitudine al Signore. Da Lui abbiamo rice- vuto tanto, anche personalmente, sia nell'ordine naturale che in quello soprannaturale! L'essere nati da genitori cattolici e subito battezzati, l'essere stati edu­cati nella vera religione e special- mente l'aver ricevuto la vocazione allo stato religioso, sono benefici gratuiti del Signore per i quali non potremo mai ringraziarlo abbastanza. Ma poi, di quante grazie il Signore ci circonda continua- mente! Anche lo stesso esercizio di orazione che stiamo compiendo è un suo invito a penetrare maggiormente nella nostra vocazione. Di tutto dobbiamo mostrarci riconoscenti. Aggiungete a ciò tutta la bontà del Signore verso le persone per le quali dimostriamo interesse: i nostri cari, i nostri benefattori, le persone affidate alle nostre cure! Possiamo infine ringraziare non solo il Signore, ma anche Maria Santissima e i Santi per la loro intercessione in nostro favore.
18. Che cosa possiamo “offrire a Dio”?
Avendo ricevuto tutto dal Signore, è lodevole da parte nostra offrirci interamente a Lui, prote- stando di voler impiegare tutte le nostre forze al suo servizio. Essendo poi la nostra santa profes- sione una consacrazione di tutta la nostra vita a Dio, potremo anche opportunamente rinnovarla. Non bisogna, tuttavia contentarci di queste offerte generali, che, per la loro indeterminatezza, non esercitano sempre un grande influsso sul nostro modo di agire. È bene perciò scendere a qualche proposito particolare e offrire al Signore la nostra volontà di praticare una virtù determinata, di lottare generosamente contro una tentazione, di accettare di cuore una prova o una sofferenza. Con questi propositi particolari mettiamo l’orazione in maggiore contatto con la nostra vita quoti- diana. Perciò è consigliabile per tutti terminare l'orazione con un proposito pratico, anche se l’anima non fa la così detta “offerta”.
19. Per chi bisogna pregare?
La nostra grande indigenza ci spinge a ricorrere continuamente alla preghiera. Gesù, avendo insegnato che “senza di Lui non possiamo far nulla”, ha aggiunto: “ Domandate e riceverete, bussate e vi apriranno”. Il nostro progresso spirituale dipende quindi moltissimo dalla preghiera che perciò faremo con insistenza e fiducia. Dobbiamo inoltre pregare anche per gli altri, per le loro necessità temporali e spirituali, specialmente per la loro salvezza e santità. Ci interesseremo non solo delle singole anime, ma anche della società cristiana, degli Ordini religiosi, della nostra famiglia spirituale, della santa Chiesa. Sapendo però che le anime care al Signore sono più potenti sul suo Cuore, desiderosi di ottenere molto da Lui, cercheremo di renderci grati con una vita distaccata dal mondo e diretta unicamente a cercare l'intimità con Lui. In questo modo l'anima realizzerà l'ideale proposto da santa Teresa alle sue figlie, divenire un'amica intima del Signore che si serve di questa amicizia per far scendere sul mondo le grazie divine.


CAPITOLO V
le difficoltà dell' orazione
1. Quali sono le principali difficoltà che si incontrano nell'orazione?
Siccome l'orazione consiste nell'innalzare la propria mente a Dio, ossia nell'occuparsi di Lui col pensiero e con l'affetto, le difficoltà nell'orazione sorgono da tutto ciò che impedisce o rende più difficile questa duplice applicazione della nostra mente. Riguardo alla conoscenza si incontrano le “distrazioni”, riguardo all'affetto le “aridità”.
2. Che cosa si intende per “distrazione”?
Intendiamo per distrazione l’inframmettenza, nell'orazione, di pensieri incompatibili con l'esercizio che stiamo compiendo, i quali ci spingono adoccuparci di altra cosa. Questa comparsa di pensieri estranei e anche contrari al raccoglimento dell'intelligenza in Dio può avvenire in duplice modo: volontariamente e involontariamente. Vi è grande differenza tra un modo e l’altro.
3. In che cosa consiste la distrazione volontaria?
La distrazione volontaria consiste nell'introduzione voluta, o nella ammissione consentita, di pensieri che fanno deviare la nostra intelligenza dall'oggetto divino in cui stava occupata. Distraendosi volontariamente, l’anima sospende o almeno interrompe l'orazione. Facendolo senza un sufficiente motivo, si rende anche colpevole di irriverenza verso il Signore. Piuttosto che una difficoltà, la distrazione volontaria nell'orazione è quindi una infedeltà. Se invece il pensiero inopportuno che si presenta alla mente non viene accettato, la distrazione si dice involontaria.
4. Quali sono le cause delle distrazioni involontarie?
Dobbiamo riconoscere una duplice causa: la prima “occasionale”, la seconda “naturale”. La prima è costituita dalle impressioni dei nostri sensi; la seconda dalle tendenze intime della nostra natura, che generano in noi spontaneamente immagini e pensieri. Secondo la loro origine, possiamo quindi distinguere le distrazioni in “esterne” e “interne”.
5. Si possono evitare le distrazioni nell'orazione?
Le distrazioni esterne si possono in gran parte evitare con l'attenta custodia dei nostri sensi e, specialmente, scegliendo per pregare un luogo ritirato, come consiglia N. S. Gesù Cristo nel santo Vangelo. Possiamo specialmente evitare molte distrazioni causate dagli occhi, tenendoli chiusi, oppure fissandoli su di un oggetto religioso o sullo stesso libro di meditazione. È molto più difficile evitare le distrazioni interne.
6. Donde viene questa speciale difficoltà?
La particolare difficoltà di evitare le distrazioni interne deriva dalla spontaneità delle tendenze naturali che sono come il fondo intimo del nostro essere. Si manifestano con la facile comparsa di immagini e di pensieri riguardanti le cose che amiamo, oppure temiamo. Quando la nostra attenzione è fissa sull'oggetto della nostra considerazione, questo mondo interno di tendenze spontanee rimane più o meno nell'oscurità, ma appena diminuisce la forza dell'attenzione esso tende a farsi vivo. Allora appaiono nella nostra coscienza pensieri e ricordi che possono anche contrastare molto con l'atto dell’orazione che stiamo compiendo.
7. Si può ovviare alle distrazioni interne?
Sì, è possibile, almeno in certo modo, porvi rimedio, sia direttamente che indirettamente. La maniera di resistere direttamente a queste distrazioni è di riportare deliberatamente la nostra attenzione sull'oggetto religioso che stavamo considerando, o semplicemente su Dio, facendo un atto di fede e di amore. Il modo indiretto è di intensificare la nostra vita spirituale, la quale, facendosi più profonda, acquista una nuova energia soprannaturale che solleciterà la tendenza attuale della nostra mente verso Dio, contrastando le tendenze naturali distraenti. Si intende che tale risultato non si raggiungerà molto presto, ma sarà il frutto di una lunga applicazione alla vita spirituale.
8. Le distrazioni interne sono forse, a volte, “ inevitabili”?
Possono esserlo, appunto per la loro spontaneità. Specialmente quando un'anima prova diffi- coltà nel fissare la sua attenzione, le distrazioni interne possono essere molto irruenti, insistenti e noiose. Questa difficoltà di fissare l’attenzione può derivare da una causa accidentale, oppure da una disposizione abituale, come nel caso dì certi temperamenti molto mobili. Se però l'anima con- tinua a provare dispiacere nel vedersi distratta e fa quanto può per rimanere attenta a Dio, queste distrazioni penose, lungi dall'essere nocive all'anima, si trasformano per essa in uno strumento di purificazione morale e sono un' occasione di merito soprannaturale.
9. Che cosa si intende per aridità?
L'aridità è la soppressione del conforto che l'anima prova sovente nella vita spirituale, specialmente nei primi tempi dopo la sua conversione a una vita migliore. Infatti, l'anima che prende coscienza di possedere una vita spirituale più intensa ne prova una certa gioia, essendo legge psicologica che l'uomo goda quando sa di possedere un gran bene. La vita spirituale intensa però non consiste in questo conforto e neppure lo esige; anzi può esistere e svilupparsi fuori di ogni conforto, perché la vera devozione consiste unicamente nella prontezza della volontà nel servizio di Dio.
10. L'aridità è un male?
L'entità morale dell'aridità dipende dalla causa che la, produce. Se nell'anima sparisce il con- forto, ma sussiste nella volontà la decisione di darsi tutta al Signore, lungi dall'essere un male, l'aridità potrà essere occasione di bene. Se invece l'aridità deriva dall'indebolimento della volontà, essa segna un regresso nella vita spirituale.
11. Vi sono quindi aridità colpevoli?
Sì certamente, e seno quelle che hanno origine dalla nostra infedeltà. Questa può essere maggiore o minore. L'anima chiamata da Dio a una vita generosa e mortificata, che, dopo aver corrisposto per qualche tempo, diventa gretta e si dà alla ricerca delle piccole soddisfazioni umane, non è più fedele all'invito del Signore, ma perde il suo fervore primitivo e rimane con la volontà indebolita. Molto più infedele però è l’anima che cade nella tiepidezza commettendo a occhi aperti dei peccati veniali. Naturalmente una tale anima non può esprimere con forza il suo amore al Signore, appunto perché non è rimasta forte, e cade quindi nell'aridità. L'unica via per rimediarvi è di correggersi, ritornando alla generosità primitiva.
12. Vi sono aridità, che hanno cause indipendenti dalla propria volontà?
Senza dubbio ve ne sono; difatti le circostanze stesse in cui si svolge la vita umana sono occa- sioni di aridità. Esse possono causare in noi un senso di disagio che ci priva di ogni conforto ne- gli esercizi spirituali; stanchezza fisica e sonnolenza, indisposizioni fisiche, preoccupazioni penose e assorbenti, piccoli urti e incomprensioni sono in noi tante occasioni di pesantezza, di snerva- mento, di oppressione che mettono lo spirito in uno stato penoso il quale toglie ogni gaudio pacifico e tranquillo. In questa forma di aridità l’anima deve pazientare, sapendo che sopportan- dola per amor di Dio offre a Lui un gratissimo sacrificio il quale prova la realtà del suo amore.
13. L'aridità può provenire anche da Dio?
Certamente sì, e anche nel caso precedente dobbiamo dire che l'aridità proviene da Dio poiché tutte le circostanze della vita sono regolate dalla Divina Provvidenza. Ma talvolta la soppressione del conforto che l'anima sente nell'orazione è più direttamente opera di Dio, e precisamente quan- do Egli mette l'anima nell’impossibilità di meditare con l'aiuto dell'immaginazione e di esercitarsi come prima in atti sentiti di amore. Questo è un fenomeno molto comune nelle anime interiori dopo qualche tempo di fervorosa applicazione alla vita di orazione. San Giovanni della Croce insegna che con questa specie di aridità il Signore invita le anime a una forma più semplice di orazione che egli chiama una “contemplazione iniziale”.
14. Come deve comportarsi l’anima in questa aridità?
L'anima non deve insistere nel voler continuare la meditazione come spesso si crede obbligata di fare; deve invece tralasciarla semplicemente e applicarsi a rimanere tranquilla alla presenza di Dio, attendendo a Lui con un semplice sguardo di fede e desiderando a ogni costo di fargli piacere. A poco a poco questo sguardo di fede si farà più facile e più amoroso e da uno stato di penosa aridità, l'anima passerà gradualmente a un pacifico riposo in Dio.
15. Come può l’anima sapere che la sua aridità proviene da Dio?
Segno che l’aridità proviene da Dio è che in essa l'anima persevera ad applicarsi alle virtù e agli esercizi di devozione, pur non provandovi altro che disgusto. Naturalmente, essendo in questo tempo l'esercizio delle virtù molto più difficile, l'anima vi riesce meno; ma gli sforzi ripetuti dimo- strano che la sua volontà è rimasta decisa. Simile aridità non procede quindi da una colpevole debolezza di volontà, ma è opera del Signore.
16. Quale scopo ha Dio nel mandare l’aridità all’anima?
Con questa prova Iddio intende liberare l'anima dalle fanciullaggini della sensibilità, per trasportarla sul piano più puro e più solido della volontà. Infatti, non trovando più alcun pasto per la sua vita spirituale tra le belle rappresentazioni e le dolci emozioni di prima (quando tutto le andava bene), l'anima si vede costretta ad aggrapparsi con la volontà agli esercizi di fede e di amore. Essendo questa anche la volontà di Dio, l'opera della grazia viene incontro allo sforzo dell'anima, la quale farà indubbiamente grandi progressi nella sua vita spirituale che diverrà, molto più “sostanziosa” di prima. L'aridità mandata dal Signore oltre che una prova è quindi una grandissima grazia, alla quale l'anima, lungi dallo scoraggiarsi, deve cercare di corrispondere con generosità.


CAPITOLO VI
la presenza di Dio

l. Che cosa è la presenza di Dio?
La presenza di Dio è un esercizio di vita spirituale destinato a mantenerci in contatto con Dio nelle nostre varie occupazioni quotidiane. Esso è, si può dire, un'orazione mentale che si prolunga durante l'intera giornata. Come l’orazione mentale, essa è composta di un duplice elemento: pensiero e affetto; si tratta infatti dì pensare a Dio e di tenere l’affetto orientato verso di Lui.
2.Quale è l’elemento principale della presenza di Dio?
L'elemento principale non è il pensiero, come molti credono, bensì l'affetto, come nell'orazione mentale: il pensiero serve a orientare il cuore, ossia la volontà, verso Dio; ma con la volontà poi l'anima si unisce più intimamente al Signore e indirizza a Lui tutto il suo operare. È del resto più facile rimanere lungamente in contatto con Dio per mezzo della volontà che non con l’intelletto.
3. Onde proviene questa differenza?
La differenza nell'applicazione dell'intelletto e della volontà deriva dal fatto che praticamente non è possibile pensare a Dio in modo ininterrotto dato che, spesse volte, le nostre occupazioni richiamano tutta la nostra attenzione, e che non abbiamo la possibilità di pensare contempora- neamente a due cose diverse. Invece, anche mentre l'intelligenza è interamente occupata nel lavoro che stiamo compiendo, il cuore può rimanere orientato verso il Signore perché, anche se il lavoro per sua natura fosse distraente, potremmo sempre farlo per Lui, per compiere cioè la sua volontà e per glorificarlo.
4. Come terremo orientato più facilmente il nostro cuore verso Dio?
Possiamo farlo alimentando direttamente l'affetto con piccoli esercizi affettivi come sono le orazioni giaculatorie, le pie invocazioni, l'offerta delle nostre azioni, le domande di aiuto celeste, ossia per mezzo di brevissime conversazioni con Dio in cui Gli manifestiamo il nostro amore e la nostra fiducia. Questo però non ci sarà possibile se il pensiero del Signore non si presenterà spesse volte alla nostra mente.
5.C'è unmodo per richiamare frequentemente il pensiero di Dio alla nostra intelligenza?
Vi sono per questo vari metodi; anzi le diverse “forme” dell’ esercizio della presenza di Dio vengono abitualmente distinte secondo i mezzi usati per richiamare il pensiero di Dio alla mente. Cosi distinguiamo la pratica della presenza di Dio “esterna”, quella “immaginaria”, e quella “intellettuale”.
6. In che cosa consiste la pratica della presenza di Dio “esterna”?
Consiste nel servirci di un oggetto a noi esterno per pensare frequentemente al Signore. Un crocifisso che portiamo sempre con noi, mettendocelo dinanzi durante il lavoro, baciandolo, venerandolo, terrà vivo in noi il ricordo di N. S. Gesù Cristo e ci darà occasione di parlare affettuosamente con Lui. Così pure il ricordo della presenza eucaristica nella Cappella della casa che abitiamo, alla quale ritorniamo continuamente col pensiero, può giovare moltissimo a mantenerci in contatto col Signore e a far sì che ci tratteniamo con Lui. Lo stesso si dica di pie immagini, ecc.
7. In che cosa consiste la pratica della presenza di Dio “immaginaria”?
Questa pratica consiste nel rappresentarci con l’immaginazione che il Signore, la Madonna o qualche Santo sia molto vicino a noi e ci accompagni dappertutto; noi cerchiamo di rivolgerci ad essi con brevi parole spontanee oppure con qualcuno dei diversi esercizi affettivi cui abbiamo sopra accennato. Non tutte le persone però riescono bene in questo modo di praticare la presenza di Dio, che richiede una immaginazione vivace e un'intera padronanza di essa.
8. Una tale rappresentazione non manca forse di verità?
In nessun modo, perché se la santissima Umanità di Cristo, o la Madonna, o i Santi non ci sono fisicamente presenti, sono tuttavia presenti spiritualmente, per la ragione che i Santi e la Madonna ci vedono nell'essenza divina che contemplano e così sono in relazione con noi, e che l’Umanità di Cristo esercita su di noi un influsso anche fisico nella comunicazione della grazia. Questa relazione “spirituale” noi possiamo benissimo “rappresentarcela” immaginando di essere in compagnia del Signore o dei Santi.
9. Possiamo quindi fare 1'esercizio della presenza dì Dio anche rivolgendoci ai Santi?
Sì, evidentemente;perché anche il ricordo della Madonna e dei Santi giova a orientare il nostro cuore e le nostre azioni verso il Signore, e in questo orientamento della volontà consiste l'elemento più sostanziale della presenza di Dio.
10. Che cosa è la pratica della presenza di Dio “ intellettuale”?
La pratica della presenza di Dio “intellettuale” è quella con cui richiamiamo alla mente il ricordo dì Dio mediante un pensiero di fede. L'anima, ricorda per es. la presenza continua della santissima Trinità in lei e cerca di piacere agli Ospiti divini; oppure considera come i suoi doveri siano per lei manifestazione del volere divino e si unisce continuamente a questa divina volontà; con la luce soprannaturale “vede” che tutte le circostanze della sua vita sono disposte dalla divina Provvi- denza e ripete al suo Padre celeste: “Sono contenta di tutto”; oppure, sapendo che Dio la vede sempre, cerca di fare ogni cosa nel modo che può renderla più gradita allo sguardo divino, ecc.
11. Quale è la forma migliore dell'esercizio della presenza di Dio?
La forma migliore di questo esercizio è quella che ci va più a genio e ciò non si determina “a priori” o col ragionamento ma con l’esperienza. Si noti tuttavia, che nella pratica presenza di Dio non dobbiamo attaccarci in modo esclusivo a una forma determinata ma possiamo benissimo variare secondo le circostanze. Abitualmente, però, dobbiamo preferire una forma particolare di questo esercizio e sceglieremo quella che a noi si è dimostrata più utile. Possiamo quindi usare anche qui di una santa libertà.
12.L'esercizio della presenza di Dio sì può unire alle azioni naturali più comuni e anche a quelle che ci sono di sollievo?
Indubbiamente; troveremo anzi in questo esercizio il modo più pratico per santificare queste azioni. Anche mangiando possiamo innalzare il nostro cuore a Dio e invece di cercare soddisfa- zione, studiarci di farlo con una santa indifferenza allo scopo di restaurare le nostre forze per riprendere con maggiore decisione il servizio di Dio. E san Paolo lo insegnava: “Sia che mangiate, sia che beviate fate tutto a gloria di Dio”. Lo stesso si dica delle nostre ricreazioni che dobbiamo offrire al Signore, avendo in esse lo scopo di acquistare nuove energie che impiegheremo per la sua gloria. Anzi dobbiamo ordinare a questo fine lo stesso riposo al quale dobbiamo prepararci facendone esplicitamente l'offerta al Signore. Così l'esercizio della presenza di Dio ci permetterà indubbiamente di vivere nell'intera giornata la nostra vita di amore.