APPROFONDIMENTI SULLA PREGHIERA DI GESU'
Leonardo Pinnelli
Preghiera di Gesù e Preghiera del Cuore
STARETS AMVROSIJ
CAPITOLO I (prima parte)
Piano dell'opera vai a: Capitolo secondo Capitolo terzo 3.1 - La tradizione dei Padri del Deserto 3.1.1 - Ammone 3.1.2 - Abba Arsenio 3.2 - L’esicasmo del Sinai3.2.1 - Giovanni Climaco3.2.2 - Esichio di Batos3.3 - La preghiera di Gesù sul Monte Athos3.3.1 - Niceforo3.3.2 - Gregorio Sinaita3.3.3 - La controversia Palamita3.4 - La Filocalia Capitolo quarto 4.1 - La figura di San Francesco 4.2 - San Francesco: santo ecumenico4.2.1 - San Francesco: un “Pazzo per Cristo”4.2.2 - San Francesco contempla la bellezza del creato: theôria physikê4.2.3 - Lo Spirito Santo nella vita di san Francesco: la théosis4.3 - San Francesco preghiera vivente: la preghiera del cuoreCapitolo quinto La preghiera del cuore: un messaggio per l’oggi dell’umanità credente 5.1 - Le espressioni odierne della Preghiera di Gesù 5.2 - Dibattito intorno al metodo esicasta 5.3 - Interpretazioni simboliche della preghiera del Cuore 5.4 - La preghiera e la vita |
1.1 - Preghiera a Gesù
Siamo spesso abituati a sentire parlare della pratica della preghiera di Gesù o preghiera del cuore[1], la quale ha avuto grossa eco anche in Occidente grazie ai “Sinceri racconti di un pellegrino (russo)”.
In questo scritto viene presentata la preghiera di Gesù come accessibile via per arrivare alla preghiera incessante, allo stato unitivo con Dio. Il “pellegrino russo” si fa continuatore dell’antichissima tradizione spirituale esicasta, la quale ricerca l’unione intima con Dio e la preghiera incessante attraverso la quiete del cuore.[2]
I monaci d’oriente si sono sforzati di raggiungere questa meta, cercando di unificare la propria vita e di “semplificare” la loro preghiera seguendo il comando dell’Apostolo Paolo: «pregate incessantemente» (1Ts 5,17).
Afferma padre Čemus :
«Un modo semplificato di vivere esigeva un modo semplificato di pregare – ecco l’origine della preghiera monologista (di una sola parola). All’inizio essa si modellava su brani della Sacra Scrittura, su versetti dei salmi, scelti e suggeriti individualmente al novizio dal suo abba (padre spirituale) come una “regola di preghiera”»[3].
Nel corso dei secoli differenti sono state le risposte a questo comando dell’Apostolo, talvolta erano risposte un po’ stravaganti che andavano anche al di là delle reali possibilità dell’uomo.
I messaliani[4], per esempio, assunsero questo comando in maniera letterale, per cui per loro pregare incessantemente significava in definitiva recitare continuamente delle preghiera nell’arco della giornata; ciò li portava a rifiutare ogni lavoro manuale come pure ogni opera di carattere profano.
Diversa fu l’interpretazione del comando dell’Apostolo da parte degli acemeti[5], i quali nelle loro comunità erano divisi in gruppi, che si alternavano nella preghiera in chiesa e nelle attività di carattere “materiale”. Questa soluzione, che apparentemente sembrava rispondere all’esigenza della preghiera continua, certamente non faceva giustizia a tutti, perché chi era occupato nelle attività manuali non pregava; il comando dell’apostolo inoltre non era stato dato ad un solo gruppo di persone ma era rivolto a tutti.[6]
Di fronte alla quasi totale impossibilità di realizzare la preghiera continua la soluzione più equilibrata sembrò essere quella proposta da Origene, e che sarà assunta da tutta la tradizione successiva. Egli intese unire la vita e le opere alla preghiera e viceversa, perché solo così la vita del cristiano viene unificata negli atti e nei pensieri.[7] Il punto di contatto tra la vita attiva e quella contemplativa era dato da una buona disposizione interiore che san Basilio chiamava διάθεσις άγαθή, disposizione che va nutrita con le preghiere esplicite e con la memoria Dei[8].
La ripetizione continua di un o più versetti della Scrittura serviva al monaco per poter affrontare la sua lotta spirituale contro i pensieri cattivi o logismoí (affronteremo questo argomento in profondità nei paragrafi successivi)[9]. «Il monaco», afferma infatti padre Čemus, «bersagliato nel deserto dai “demoni” – pensieri malvagi (logismoí) - si esercitava nella “contraddizione” (antírresis), combattendola con la parola di Dio»[10]. Col tempo e con l’esperienza si sviluppò la prassi di organizzare e classificare in elenchi i brani biblici utili a contraddire tentazioni specifiche. Furono così distinti otto pensieri principali, matrici di molteplici altri peccati. Ma questa maniera di affrontare la lotta obbligava i monaci a imparare a memoria un numero notevole di brani biblici. [11]
Non sorprende perciò che, a partire dal V secolo, a questa prassi complicata ne sia subentrata una più semplice: la preghiera di Gesù. Teologicamente densa, breve e perciò facile da memorizzare, la preghiera di Gesù risultò efficace anche perché invocava il nome del Salvatore che “scaccia tutti i demoni” (cfr. Mc 16, 17). Divenne perciò presto una preghiera antirretica universale.
La venerazione del nome di Dio ha antiche radici bibliche[12]. Per la mentalità semitica il nome rappresenta le persona in tutta la sua totalità e ciò vale anche per il nome di Dio. Questa comprensione ebraica del Nome passa dall’Antico Testamento al Nuovo [13] che applica anche al nome di Gesù la Teologia riguardante lo stesso nome di Dio: la salvezza era nel nome di Dio ed ora è in quello di Gesù[14]. Tuttavia «l’enfasi posta nella preghiera di Gesù sulla pressoché sacramentale presenza del Salvatore nel suo nome umano – divino è uno sviluppo tardivo, caratteristico dell’ambiente slavo»[15].
L’origine propria della preghiera di Gesù va collegata non, come afferma Lev Gillet[16], alla venerazione Veterotestamentaria del nome di Dio, ma al carattere catanittico del monachesimo antico, che nella coltivazione della contrizione (katányxis)[17] per i peccati vedeva la sua ragion d’essere[18]. Di questo parere è il padre Hausherr:
La Prière à Jésus n’a pas commencé par le nom de Jésus. Elle a commencé par le phentos, le luctus, la douler sur le péché. Il n’est pas juste d’écrire : « Celui qui voudrait revenir à la liberté primitive et se concentrer sur le Nom seul, en abandonnant la formule développée, […] reprendrait le plus ancien usage historique de la Prière de Jésus » Pour le contenu de la formule développée nous avons les in – folio de documents, pour le nom seul, matériallement presque rien, formellement rien du tout. La vérité est che la Prière à Jésus, lion de résulter d’un développement, représent un raccourci ; elle condense en une formule courte, adaptée aux besoins de la « méditation », la spiritualitée monacale du penthos. Et cette formule a été inventée et s’est propagée, comme celle que rapporte Cassien, dans le but d’arriver à l’oraison perpétuelle[19].
http://digilander.libero.it/benparker/Pinnelli.htm