LANFRANCO ROSSI
Formule e modi
della preghiera continua nell'esicasmo
(nel Manuale di Nikodemo Aghiorita
e nella Filocalia)
A) La ripetizione del Nome nel Manuale di Nikodemo Aghiorita
La preghiera del cuore è caratterizzata dalla
ripetizione ritmata di una formula fissa, contenente il
nome di Gesù. Nikodemo però menziona anche altre formule utilizzate
ripetitivamente.
a)
L'atteggiamento interiore
Un elemento essenziale nel subire le circostanze
difficili è l'atteggiamento interiore con cui le si vive. Infatti si fa la
volontà di Dio fondamentalmente in due modi: osservandone i comandamenti e
accettando ciò che ci manda.
Si adempiono davvero i comandamenti quando li si compie
con amore; si accetta la Sua volontà quando si sopportano anche le cose pesanti
con gratitudine (eycharistos)
La riconoscenza è dunque lo stato d'animo di fondo da
aversi in ogni circostanza. Se lamentarsi nelle avversità ne accresce il peso,
al contrario ringraziare Dio qualunque cosa accada le rende più leggere, e
attira la grazia divina. Talvolta le malattie e le tribolazioni possono
costituire un vera croce, ma continuare a rendere grazie anche in tali
situazioni fa ricevere la corona del martirio.
La ripetizione di
una giaculatoria appropriata ha dunque il fine di porre in un atteggiamento
costante di accettazione riconoscente di tutto ciò che la Provvidenza
dispone.
Questo adempiere alla volontà di Dio non come uno
schiavo o un salariato, ma con la piena partecipazione di un figlio, è la vera
preghiera che rende gloria (doxa) al Padre. Ne consegue una
quantità smisurata di piacere (edone) per il nous e
di gioia (chara) per il cuore.
b)
Le formule giaculatorie
San Giovanni Crisostomo, ad esempio, soleva
ripetere (synethize na lege): "Gloria a Dio per ogni
cosa" (Doxa to Theo panton eneken); questo a
incitamento alla sopportazione di tutte le tribolazioni del corpo e dello
spirito.
Lo stesso Ulisse si rincuorava dicendo: "sopporta
cuore che hai sofferto di peggio".
A tal fine, meglio ripetere in ogni circostanza la frase
del salmo: "Sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e
attendi il Signore". Ciò sostiene nelle avversità e consente di
assecondare la volontà di Dio in ogni momento, con il giusto stato
d'animo.
c)
L'invocazione del Nome
Un'importanza tutta particolare riveste l'invocazione
del nome di Gesù.
- La
formula:
La formula della preghiera suggerita da Nikodemo è breve
(syntomos) e monologica (monologistos):
"Signore Gesù Cristo Figlio di Dio,
pietà di me (Kyrie Iesou Christe Yie tou Theou,
eleeson me)"
- Il
modo:
L'energia del nous unendosi alla ragione
(logistikon) che ha sede nel cuore, cioè al verbo interiore
(logos endiathetos), è incapace di starsene inattiva
(monon na theore), perciò bisogna farle ripetere
incessantemente l'invocazione, senza lasciarla divagare (na
lege allo ti). È necessario inoltre associare in questa
operazione la potenza volitiva (theletiken dynamin)
dell'anima, in modo che la preghiera venga ripetuta con tutta la volontà
(thelesis), la forza (dynamis) e l'amore
(agape).
d) Il
Nome
Il nome (onoma) di Gesù racchiude in se
stesso una forza particolare essendo il nome a cui tutto l'universo tende e
aspira (kosmopotheton kai pantopotheton onoma). Non si può gustare
la consolazione della presenza di Gesù se non con la
continua ripetizione del suo nome. "Non c'è altro modo" che questo
per ricevere risposta alla tensione amorosa che aspira alla presenza dell'amato.
Il Nome viene inteso come la
presenza stessa di Gesù, perciò è in questo
nome che ci è data la salvezza.
E' il veicolo e lo strumento per
l'ingresso nel regno dei cieli, quando è unito al respiro,
nell'esichia.
Esso stesso diviene oggetto di contemplazione
(theoria) e meditazione (melete),
essendo esso stesso desiderabilissimo e fonte di ogni felicità.
La sua invocazione
consente alla preghiera di ottenere qualunque cosa.
Nella formula della preghiera monologica è quindi il
nome "Gesù" l'elemento essenziale che ne fa la forza. Infatti Nikodemo indica
anche altre invocazioni che il nous, raccolto nel cuore, può
ripetere spontaneamente, come: "Gesù mio"
(Iesou mou), "Gesù mio amato" (Iesou mou agapimene). Oppure quando si sente oppresso o in pericolo:
"Gesù mio aiutami", "Gesù mio
salvami".
La formula dell'invocazione è quindi variabile, ciò che rimane invariato è la presenza del nome
"Gesù".
A sua volta ciò che fa la forza del nome è la sua
capacità di evocare, tramite la memoria, la presenza di colui che
significa.
d)
La memoria continua
Quando si desidera una persona assente, basta sentire
pronunciare il suo nome perché alla memoria si affacci il volto amato. È dunque
l'amore ciò che attiva il ricordo, e la memoria (mneme) quella che
rende presente la persona. A sua volta la memoria attivata nella
dianoia muove il cuore all'amore, l'amore muove alle lacrime.
È quindi la memoria che va unita al respiro, nel ricordo
di Gesù.
Deve essere però una memoria purificata, priva di
fantasie vane. Allora, divenuta continua (syneches), la memoria di
Gesù genera e fa crescere nel cuore le virtù teologali: la fede, la speranza, la
carità. Così è la memoria stessa a divenire divina e
divinizzatrice.
B) Nella Filocalia
a) L'invocazione del
nome
Il metodo del trattenimento del
respiro serve a facilitare l'ingresso nel cuore, luogo in cui va pronunciata
l'invocazione. Nel petto infatti risiede la potenza razionale che
articola la parola prima che essa venga espressa dalla bocca; è questa potenza
razionale che, tolto ogni altro pensiero, deve pronunciare la preghiera di Gesù.
Questa preghiera va unita al respiro. La
formula di invocazione non deve essere cambiata facilmente, per
noncuranza.
La sua forma classica è: "Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di
me".
Pronunciando la prima parte il nous si
protende verso il Signore, nella seconda parte dell'invocazione si volge a se
stesso, non essendo ancora in grado di non pregare per se stesso. Una volta
progredito nell'amore, non avendo più bisogno della rassicurazione sulla seconda
parte, il nous ripete solo la prima parte
dell'invocazione.
L'invocazione di Gesù va
accompagnata dal guardare sempre alla profondità del cuore, come si
guarda in uno specchio, mantenendo il nous
nell'esichia. Allora essa diviene come una spada ardente,
e i nemici ne vengono sciolti come fumo che si dissolve nell'aria.
(Tratto da Lanfranco Rossi, I FILOSOFI GRECI PADRI
DELL'ESICASMO - ed. Il Leone Verde a cui si rimanda per
l'approfondimento)