II
Ieri vi ho indicato una via per educare in voi lo spirito della preghiera. Essa consiste nell’adempimento delle nostre devozioni conformemente al loro fine. Ma si tratta solo dei primi passi dell’orazione, per cui bisogna procedere oltre. Tenete presente, ad esempio, come si studiano le lingue. Dapprima si apprendono i vocaboli ed i modi di dire sui libri. Ma non ci ferma questo risultato, poiché ci si preoccupa di andare oltre, finché si giunge al punto che da soli, senza alcun manuale, possiamo conversare a lungo nella lingua da noi appresa. Così dobbiamo procedere anche con la preghiera. Noi ci abituiamo a pregare sui libri di preghiera, recitando preghiere belle e pronte, tramandate a noi dal Signore e dai Santi Padri che ebbero una profonda esperienza della preghiera. Ma non dobbiamo limitarci a questo metodo, poiché dopo esserci abituati a rivolgerci a Dio con la mente ed il cuore sia pur grazie ad un aiuto esterno, bisogna cercare di elevarci a Lui, di modo che l’anima nostra con le sue parole inizi, per cosi dire, un dialogo con Dio, elevandosi essa stessa a Lui, aprendosi e confessandogli ciò che vi è in essa e ciò che desidera. Ed è questo che bisogna insegnare all’anima. Vi dimostrerò in breve che cosa è necessario per riuscirvi.
A questo risultato si giunge anche con la consuetudine di pregare sui libri di preghiera con pietà, attenzione e sentimento. Infatti come da un recipiente troppo pieno l’acqua si versa da sé, così dal cuore, che è pieno di santi sentimenti grazie alle preghiere, comincerà a sgorgare da sola la preghiera a Dio. Ma ci sono regole, particolari, destinate esclusivamente a questo fine, ed esse debbono essere praticate da chiunque desideri conseguire un risultato positivo nella preghiera.
Da che dipende, direte, che alle volte si prega per molti anni sui manuali di devozione e non si ha ancora la preghiera nel cuore? Tra le varie ragioni che si possono addurre, a questo proposito penso che ciò derivi in parte dal fatto che ci sforziamo alquanto di elevarci a Dio solo allorché recitiamo le nostre preghiere, mentre nel resto della giornata a Lui neppure pensiamo. Ad esempio, si terminano le preghiere del mattino e si crede di aver soddisfatto ad ogni dovere nei confronti del Signore. Durante tutta la giornata attendiamo ininterrottamente alle nostre occupazioni e neppure un pensiero rivolgiamo a Dio. Forse di sera si pensa che tra poco bisognerà di nuovo pregare. Da ciò deriva che, se anche il Signore ispira al mattino qualche buon sentimento, questo viene soffocato dalla vanità e dalle continue occupazioni della giornata. Perciò anche di sera non si desidera pregare. L’uomo non riesce a dominare se stesso al punto di rendere, sia pure un po’, meno dura la propria anima, per cui la preghiera in genere a fatica giunge a maturazione. È questo l’errore che si commette quasi tutti e che dobbiamo correggere. Insomma dobbiamo fare in modo che l’anima non si rivolga a Dio solo quando preghiamo, ma che anche nel corso di tutta la giornata ininterrottamente, nei limiti del possibile, si elevi a Lui e stia con Lui.
Perciò è necessario in primo luogo invocare spesso dal profondo del cuore il Signore, con brevi parole, a seconda dei bisogni dell’anima e della nostra attività. Cominci a fare qualcosa, ad esempio, e dì: “Benedici, Signore!”. Alla fine di un lavoro dì: “Gloria a te, Signore!”, e non solo con la lingua, ma con il cuore. Cadi in preda ad una passione, invoca: “Salvami, Signore, perisco!”. Se ti coglie la tenebra dei pensieri che ti sconvolgono, invocalo: “Libera dal carcere l’anima mia!”. Se ti trovi di fronte ad azioni ingiuste ed il peccato ti trascina verso di esse, prega: “Dirigi i miei passi nel cammino”, oppure: “Non permettere che i miei passi finiscano nell’errore”. Se poi i peccati ti opprimono e ti portano alla disperazione, invocalo con la preghiera del pubblicano: “Signore, abbi pietà di un peccatore!”. E così nelle varie circostanze della vita. Oppure limitati a ripetere spesso le invocazioni: “Signore abbi pietà di me”; “Nostra Signora, Madre di Dio, abbi pietà di me”; “Angelo di Dio, mio custode, difendimi”, o altre che ti si presentino alla mente. Ripetile spessissimo e cerca ad ogni modo che sgorghino dal cuore, come se fossero spremute da esso. Se così agiremo, spesso la nostra mente si eleverà a Dio, con tutto il cuore, spesso ci rivolgeremo al Signore, spesso pregheremo ed in tal modo la nostra mente si abituerà alla conversazione con Dio.
Ma perché l’anima si abitui a queste invocazioni, è necessario costringerla precedentemente ad attribuire a gloria di Dio, ogni nostra azione, qualsiasi ne sia l’importanza. Ed è questo il secondo modo per insegnare all’anima di rivolgersi a Dio più spesso durante il giorno. Infatti se ci proponiamo come fine il comandamento degli Apostoli di compiere tutto a gloria di Dio, anche “se mangiamo e beviamo”[2], ne conseguirà inevitabilmente che in ogni nostra azione ci ricorderemo del Signore, e il nostro non sarà un semplice ricordo, ma sarà accompagnato dal timore di non comportarci correttamente e di offendere Dio con il nostro atteggiamento. In tal modo saremo costretti a rivolgerci a Dio con timore e chiederne nelle preghiere l’aiuto ed il consiglio. Poiché la nostra attività è quasi incessante, quasi senza tregua ci rivolgeremo con la preghiera a Dio, per cui anche quasi incessantemente percorreremo il cammino che ci insegna l’elevazione dell’anima a Dio tramite l’orazione.
Ma perché l’anima attribuisca debitamente ogni azione a gloria di Dio, è necessario predisporla a ciò dal primo mattino, proprio dall’inizio della giornata, prima che l’uomo esca per dedicarsi alle sue attività fino a sera. Questa disposizione si realizza con il pensiero di Dio. È questo il terzo modo per insegnare all’anima di rivolgersi spesso a Dio. Il pensiero di Dio consiste nella meditazione, fatta con devozione sulla qualità e sulle operazioni divine e sugli obblighi che a noi derivano dalla loro conoscenza e dal loro rapporto nei nostri confronti. Si tratta di meditare sulla bontà di Dio, sulla sua giustizia, sulla sua saggezza, sulla sua onnipotenza, onnipresenza, onniscienza, sulla creazione e sulla provvidenza, sulla redenzione compiuta da Gesù Cristo, sulla Grazia e la parola di Dio, sui sacramenti e sul Regno dei Cieli. Su qualsiasi di questi argomenti ti soffermerai, questa meditazione riempirà necessariamente il tuo animo di un sentimento di devozione verso Dio. Se, ad esempio, rivolgerai la mente alla bontà divina, vedrai che sei circondato dalla misericordia di Dio sia spiritualmente che fisicamente e saresti un pezzo di pietra se non cadessi davanti a lui effondendo la tua umile gratitudine. Se mediterai sulla onnipresenza divina, ti renderai conto che dappertutto sei al cospetto di Dio e che Egli è davanti a te, per cui non potrai non sentirti in preda ad un senso di devozione e di timore. Se mediterai sull’onniscienza divina, comprenderai che nulla di quanto accade in te, è nascosto a Dio e inevitabilmente deciderai di fare attenzione ai moti del cuore e della mente, per non offendere Dio onnisciente.
Se considererai le giustizia divina, ti convincerai che nessuna azione cattiva rimane impunita e non potrai fare a meno di purificarti da ogni peccato grazie alla contrizione ed alla penitenza sincera davanti a Dio. E così, qualsiasi qualità o operazione divina tu consideri, la tua anima si riempirà di sentimenti e disposizioni devote verso Dio. Così la meditazione rivolge a Dio tutta la natura dell’uomo e perciò è il mezzo più adatto per insegnare all’anima di elevarsi a Dio. Il momento della giornata più conveniente per essa è il mattino, quando l’anima non è ancora oppressa da numerose sensazioni e dalle preoccupazioni del lavoro, e precisamente subito dopo la preghiera mattutina. Al termine di questa, siediti e con la mente santificata dalla preghiera comincia a meditare oggi su una qualità o operazione divina, domani su un’altra, cosicché lo stato della tua anima corrisponda ad essa. “Và – diceva San Demetrio di Rostòv – và, santo pensiero di Dio, immergiamoci nella meditazione sulle grandi opere di Dio”, e meditava o sulla creazione o sulla provvidenza o sui miracoli del Salvatore o sulla Sue sofferenze o su altri argomenti ed in tal modo commuoveva il suo cuore e cominciava ad effondere la sua anima nella preghiera. Così può fare chiunque. Non costa molta fatica e, finché ci sia il desiderio e la decisione, i frutti ti saranno copiosi.
Ecco tre modi, all’infuori delle nostre orazioni quotidiane, per elevare l’anima a Dio pregando: dedicare al mattino un po’ di tempo al pensiero di Dio; attribuire a gloria di Dio ogni nostra azione e rivolgersi spesso a lui con brevi invocazioni. Se di mattina sarà fatta bene la meditazione essa lascerà in noi una disposizione profonda a pensare a Dio. II pensiero di Dio costringerà l’anima a compiere con attenzione ogni azione, sia esterna che interna e ad attribuirla a gloria di Dio. Entrambe queste vie porranno l’anima in condizione d’invocare spesso e spontaneamente il Signore. Questi tre mezzi, il pensiero di Dio, il compiere ogni azione a sua gloria e le soventi invocazioni sono gli strumenti più efficaci della preghiera mentale e del cuore. Ognuno di essi eleva l’anima a Dio. Chi si è proposto di esercitarsi in essi presto acquisterà l’abitudine di elevare a Dio il suo cuore. La fatica che costa questo sforzo, assomiglia a quella della salita su una montagna. Quanto più uno sale su un monte, tanto più liberamente e facilmente respira. E così nel caso nostro, quanto più uno si abitua all’esercizio che ho indicato, tanto più eleva l’anima, e quanto più questa ultima sale, tanto più liberamente opererà in essa la preghiera. L’anima nostra è fatta per vivere nel mondo superiore, divino. Là essa dovrebbe trovarsi incessantemente con il pensiero e con il cuore, ma il peso dei pensieri terreni e delle passioni la trascina in basso. I metodi indicati la strappano a poco a poco dalla terra e l’allontaneranno definitivamente. Quando sarà del tutto lontana, l’anima entrerà nel suo ambiente e vivrà con gioia lassù. Quaggiù vive la realtà celeste con il cuore e con il pensiero, ma successivamente con tutta la sua natura si renderà degna di stare davanti a Dio tra i cori degli Angeli e dei Santi.
E di ciò vi renda degni il Signore con la sua grazia. Amìn.
22 novembre 1864