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Oración , Preghiera , Priére , Prayer , Gebet , Oratio, Oração de Jesus
CATECISMO DA IGREJA CATÓLICA:
2666. Mas o nome que tudo encerra é o que o Filho de Deus recebe na sua encarnação: JESUS. O nome divino é indizível para lábios humanos mas, ao assumir a nossa humanidade, o Verbo de Deus comunica-no-lo e nós podemos invocá-lo: «Jesus», « YHWH salva» . O nome de Jesus contém tudo: Deus e o homem e toda a economia da criação e da salvação. Rezar «Jesus» é invocá-Lo, chamá-Lo a nós. O seu nome é o único que contém a presença que significa. Jesus é o Ressuscitado, e todo aquele que invocar o seu nome, acolhe o Filho de Deus que o amou e por ele Se entregou.
2667. Esta invocação de fé tão simples foi desenvolvida na tradição da oração sob as mais variadas formas, tanto no Oriente como no Ocidente. A formulação mais habitual, transmitida pelos espirituais do Sinai, da Síria e de Athos, é a invocação: «Jesus, Cristo, Filho de Deus, Senhor, tende piedade de nós, pecadores!». Ela conjuga o hino cristológico de Fl 2, 6-11 com a invocação do publicano e dos mendigos da luz (14). Por ela, o coração sintoniza com a miséria dos homens e com a misericórdia do seu Salvador.
2668. A invocação do santo Nome de Jesus é o caminho mais simples da oração contínua. Muitas vezes repetida por um coração humildemente atento, não se dispersa num «mar de palavras», mas «guarda a Palavra e produz fruto pela constância». E é possível «em todo o tempo», porque não constitui uma ocupação a par de outra, mas é a ocupação única, a de amar a Deus, que anima e transfigura toda a acção em Cristo Jesus.
sábado, 27 de julho de 2013
VER EM DIRECTO AGORA MESMO A MISSA PONTIFICAL DO PAPA FRANCISCO NA CATEDRAL DO RIO DE JANEIRO .YOU CAN SEE NOW IN DIRECT THE HOLY MASS OF HOLY FATHER FRANCIS IN THE CATHEDRAL OF RIO DE JANEIRO. VOIR EN DIRECT LA SAINTE MESSE du Pape François à la Catédral de Rio de Janeiro. VEDERE IN DIRECTO ADESSO LA MESSA DEL PAPA FRANCESCO IN CATEDRAL A RIO DE JANEIRO
VEER AHORA MISMO EN DIRECTO LA SANTA MISSA DEL PAPA EN LACATEDRAL DE RIO DE JANEIRO
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sexta-feira, 26 de julho de 2013
VEER AHORA MISMO EN DIRECTO LA LLEGADA DEL PAPA PARA LA VIA SACRA CON LOS JOVENES. VER EM DIRECTO AGORA MESMO A CHEGADA DO PAPA FRANCISCO NO RIO DE JANEIRO , PARA FAZER A VIA-SACRA COM OS JOVENS.L'Arrivée du Pape François à Rio de Janeiro . Chemin de Croix avec les Jeunes . YOU CAN SEE NOW IN DIRECT THE ARRIVAL OF HOLY FATHER FRANCIS IN RIO DE JANEIRO, TO THE VIA CRUCIS. VOIR EN DIRECT LA VIE SCRÉE AVEC LES JEUNES. VEDERE IN DIRECTO ADESSO IL ARRIVO DEL PAPA FRANCESCO IN A RIO DE JANEIRO PARA LA VIA SACRA
VEER AHORA MISMO EN DIRECTO LA LLEGADA DEL PAPA PARA LA VIA SACRA CON LOS JOVENES. VER EM DIRECTO AGORA MESMO A CHEGADA DO PAPA FRANCISCO NO RIO DE JANEIRO , PARA FAZER A VIA-SACRA COM OS JOVENS.L'Arrivée du Pape François à Rio de Janeiro . Chemin de Croix avec les Jeunes . YOU CAN SEE NOW IN DIRECT THE ARRIVAL OF HOLY FATHER FRANCIS IN RIO DE JANEIRO, TO THE VIA CRUCIS. VOIR EN DIRECT LA VIE SCRÉE AVEC LES JEUNES. VEDERE IN DIRECTO ADESSO IL ARRIVO DEL PAPA FRANCESCO IN A RIO DE JANEIRO PARA LA VIA SACRA
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domingo, 21 de julho de 2013
Perché Dio divenga reale per noi bisogna che le cose non abbiano più un dominio troppo grande su di noi. Ci vuole, cioè, un certo raccoglimento interiore.
2 Cor 3,1-6;
Fratelli, forse abbiamo bisogno, come altri, di lettere di raccomandazione per voi o da parte vostra? 2 La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. 3 E' noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori. 4 Questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio. 5 Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, 6 che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dá vita.
Mc 2,18-22
Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». 19 Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. 20 Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. 21 Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. 22 E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi».
Alleanza d'amore...
In generale, la Prima Lettura ha un accordo più profondo con il
Vangelo, mentre la Seconda può essere anche indipendente dalla Prima e dalla
Terza.
Oggi il tema fondamentale che la Liturgia della Parola ci propone, è il tema dell'alleanza, considerata e veduta nella luce delle nozze. Tale argomento, si fa presente prima di tutto nella Sacra Scrittura, proprio nel profeta che ha dato alla Liturgia di oggi la Prima Lettura.
È il testo più bello del profeta Osea. Testo di meravigliosa bellezza ed anche intuitivamente facile per l'anima che ascolti, facile per introdurci nella comprensione del mistero dell'alleanza divina.
Un Dio che, gelosamente, ti vuole tutto per sé e ti strappa a tutte le tue consuetudini, alla tua vita comune, per portarti nel deserto. Un Dio che non permette, in te nessun pensiero, nessuna preoccupazione, nessun affetto che ti sottragga a Lui. Tu devi essere tutto per Lui come Egli è tutto per te.
È in questa solitudine, Dio solo per l'anima e l'anima solo per Iddio, che Dio parla al cuore dell'uomo; e l'uomo, ora, è capace di accogliere questa dichiarazione d'amore che Dio gli fa. Dichiarazione d'amore che è prima di tutto, l'espressione di una elezione libera che Dio fa della sua creatura: Egli le dice ti amo! Ma è anche l'esigenza di una risposta; altrimenti non sarebbe vero amore, perché nessuno ama se non vuole essere amato.
...alleanza nuziale...
Questo amore è amore nuziale. Una madre può anche amare e non chiedere amore, ma uno sposo non può amare se l'altra non ama. L'amore di uno sposo, l'amore di una fanciulla che si dona a un altro, esige una risposta. L'amore nuziale è sempre un amore vicendevole che implica il dono dell'uno all'altro. Questo è anche l'amore che Dio ti offre e che Egli ti chiede.
Non vi sembra che il testo del profeta Osea ci riguardi in un modo particolarissimo? Non vi sembra che il profeta Osea, più di ogni altro profeta, ci dica in realtà quello che deve essere per noi la nostra vita di consacrazione? Una alleanza nuziale. Lo sappiamo bene: tutti sono chiamati a vivere questa alleanza, se vogliono entrare nel cielo. Ma per noi s'impone di anticipare già quell'unione di amore così esclusiva che è propria di due sposi, i quali sono l'uno per altro e non vivono più che l'uno per l'altro. Ed è Dio che vive per te e sei tu che vivi per Lui.
Il problema, però, rimane sempre quello; cioè, la realtà dello sposo. Non ci si può certo dare a chi non è realmente presente e non ci manifesta il suo amore. Perchè l'alleanza nuziale si realizzi, l'unione esige la realtà concreta, viva, presente, dell'uno e dell'altro. Ecco quello che ci dice oggi il profeta Osea. È importante per tutti noi, se vogliamo vivere la nostra vita religiosa, se vogliamo vivere la nostra vita di consacrazione.
...nel deserto del raccoglimento interiore
Che cosa ci dice il profeta Osea? Che noi possiamo incontrare Dio solo nel deserto. È Dio che ci attira a sé, ci strappa da tutte le cose, perché noi sperimentiamo più profonda e viva la sua presenza reale fra noi. Distratti da tante cose umane, portati via da preoccupazioni e pensieri, l'anima nostra non è capace di accogliere la parola di Dio e di ascoltarla, non è capace di sperimentare la sua presenza. Perché Dio divenga reale per noi bisogna che le cose non abbiano più un dominio troppo grande su di noi. Ci vuole, cioè, un certo raccoglimento interiore. Ve lo posso chiedere? Certo, ve lo debbo chiedere, anche se vivete nella famiglia, accanto al marito e ai figli.
Se volete vivere una vita religiosa intensa, se volete conoscere Dio, se volete che Dio entri nella vostra vita e la riempia di sé, se volete conoscere la dolcezza del Signore, se volete conoscere quanto Egli sia dolce e soave, dovete cercare di coltivare un certo raccoglimento interiore, dovete anche voi crearvi un certo deserto. Sarà un deserto diverso da quello delle carmelitane; più difficile certo, ma non per questo meno necessario. Voi dovete evitare tutto quello che non è conforme ai vostri doveri di stato, alla vostra funzione, alla situazione concreta nella quale Dio vi ha poste. Non dovete riempire la vostra vita di cianfrusaglie che non hanno alcuna importanza per la vostra stessa vita di donne di casa, o di madri di famiglia.
L'uomo di oggi è, di per sé, negato alla vita religiosa perché non ha più il tempo di rientrare in sé, non ha il minimo di disponibilità interiore per ascoltare un'altra parola. Quanti sono gli uomini i quali non hanno più nemmeno il tempo, e non lo cercano neppure, di riflettere su se stessi! E come potrebbero ricordarsi di Dio? Viviamo una vita troppo dissipata; cerchiamo continuamente di disperderci perchè non sopportiamo il peso della vita. E questa vita, senza senso, sembra non avere più ragione alcuna: ci mangia, ci divora, giorno per giorno. E il lavoro, il divertimento, gli spettacoli, si moltiplicano per rendere sempre più difficile all'uomo di ritornare sopra di sé.
Guardate questi giovani i quali, perfino studiando, hanno bisogno di tenere accesa la radio; non possono accettare più il silenzio, non hanno più la capacità di vivere dieci minuti da soli, con se stessi. E obbligarli alla prigione, tenerli un poco a vivere da soli, perché il silenzio e la solitudine sono per loro i peggiori castighi.
L'assenza di Dio
E come volete che, in queste condizioni, l'anima possa vivere una vita religiosa? E non la vivono. Ordinariamente Dio è assente da queste anime. Non hanno la minima possibilità che Dio possa parlare al loro cuore, possa entrare nella loro vita, possa comunicare al loro spirito.
Vedete, miei cari, non è cattiveria l'incredulità moderna; non è cattiveria il rifiuto nei confronti di Dio, ma è dovuta al fatto che gli uomini non hanno più una dimensione religiosa. Manca loro la condizione prima per poter vivere una vita religiosa. Manca persino a questi giovani il modo di essere uomini: sono strumentalizzati e non se ne accorgono; fanno delle contestazioni ma, in fondo, sono strumentalizzati o da quel partito o da quell'altro potere e non se ne rendono conto. Non vivono la loro propria vita, non hanno la possibilità di viverla, non conoscono nemmeno più l'amore. Senza conoscere l'amore, cadono nei peggiori vizi, precipitano nel peccato e basta. Tutta la vita è solo una droga; non si cerca altro che di dimenticare e di perdere se stessi. Il peso di sé è diventato impossibile da sopportare per gli uomini di oggi e si cerca soltanto di affondare nella ubriachezza che può essere data dal denaro, dal divertimento, dal peccato, a danno della propria vita, di un disegno proprio da realizzare, di un programma da vivere, di un amore da accettare.
Come volete che in queste condizioni si possa vivere una vita religiosa? Non si vive nemmeno una vita umana! Mai, forse, l'uomo si è trovato in una condizione così grave come oggi. Si parla tanto di civiltà, ma oggi l'uomo è davvero in pericolo. E lo Stato, il Partito, o qualsiasi altro potere, che cosa fanno? Ti danno tutto perché tu non abbia modo di sottrarti al loro potere, perché tu venga strumentalizzato. Il Partito ti dà quello che tu desideri. Magari ti si dà lo stipendio anche di diecimila lire al giorno: però tu non devi vivere la tua vita, non devi avere più il tempo di stare con i tuoi figli, di avere un tuo amore, di avere una tua libertà interiore, di pensare con la tua testa. Devi pensare col giornale, trovare tutte le possibilità, senza mai vivere per te. Tanto meno potrai vivere per Iddio.
Essere liberi per essere disponibili
Ecco quello che ci dice il profeta Osea. Che cosa? "Vuoi tu ascoltare la parola di Dio? Vuoi che la parola di Dio giunga al tuo spirito? Egli deve condurti nel deserto: e tu devi fare un certo silenzio nel tuo intimo, devi dare alla tua anima una certa libertà". Per andare nel deserto bisogna che tu sia libero; altrimenti sei incatenato e non puoi camminare.
Dunque, la prima cosa che s'impone per noi, se vogliamo vivere una vita religiosa, è questo raccoglimento. Un certo raccoglimento è necessario per tutti; non soltanto per le monache di clausura.
E poi, voi avete la vocazione di monache di clausura vivendo nel mondo. Monache no, ma vivere una vita contemplativa, sì. E si è sempre detto, che una vita contemplativa, implica di per sé un certo raccoglimento interiore.
Indipendentemente anche da una vocazione religiosa, quale quella propria della Comunità, un'anima religiosa non può continuare a vivere la sua vita se non si rende disponibile alla grazia. Come volete che Dio sia il vostro sposo, come volete che Dio sia la vostra vita, se voi non siete disponibili per Lui? Se non avete mai nessuna disponibilità per poter accogliere il suo amore, per poter ascoltare la sua parola, per poter vivere con Lui? Ebbene, se l'alleanza con Dio è un'alleanza di amore, anche voi dovete rimanere disponibili a Lui per poter ascoltare la sua parola, per poter vivere nella sua intimità, per poter gustare questo rapporto d'amore che deve sempre più legarvi al Signore così come il Signore si è legato a voi per sempre. Disponibilità nei confronti di Dio e un certo raccoglimento interno.
Silenzio e solitudine...
Che vuol dire raccoglimento? Qui il profeta Osea, ci parla del deserto. Che cosa vuol dire questa parola per noi? Vuol dire che il cristiano, che vuol vivere una vita cristiana, è impegnato a procurarsi un certo raccoglimento interno. Se non puoi tutto il giorno, troverai almeno dieci minuti per raccoglierti in camera tua, troverai dieci minuti anche se svolgi il tuo lavoro in cucina, per restare sola con Dio; o troverai cinque minuti per raccoglierti, almeno in chiesa, davanti al Signore. Devi cercare questi minuti di silenzio; non devi mai lasciarteli portar via. Devi difenderli, non soltanto cercarli. Non fare come i giovani di oggi che vogliono soltanto distrarsi perché non sopportano le zone di silenzio.
Le zone di silenzio sono le più belle. Ora lo sentono anche quelli che vivono in città i quali, non per nulla, cercano di farsi la villetta in campagna perché non sopportano più tutti questi rumori. Ebbene, se anche sul piano fisico, gli uomini non sopportano il rumore per non diventare nevrotici, questo s'impone anche per la vita spirituale. Cercate di coltivare, di difendere le zone di silenzio della vostra vita. E il vostro silenzio non deve essere un silenzio vuoto. Il vostro silenzio lo sapete che cos'è? E disponibilità pura ad una presenza d'amore.
Oggi il tema fondamentale che la Liturgia della Parola ci propone, è il tema dell'alleanza, considerata e veduta nella luce delle nozze. Tale argomento, si fa presente prima di tutto nella Sacra Scrittura, proprio nel profeta che ha dato alla Liturgia di oggi la Prima Lettura.
È il testo più bello del profeta Osea. Testo di meravigliosa bellezza ed anche intuitivamente facile per l'anima che ascolti, facile per introdurci nella comprensione del mistero dell'alleanza divina.
Un Dio che, gelosamente, ti vuole tutto per sé e ti strappa a tutte le tue consuetudini, alla tua vita comune, per portarti nel deserto. Un Dio che non permette, in te nessun pensiero, nessuna preoccupazione, nessun affetto che ti sottragga a Lui. Tu devi essere tutto per Lui come Egli è tutto per te.
È in questa solitudine, Dio solo per l'anima e l'anima solo per Iddio, che Dio parla al cuore dell'uomo; e l'uomo, ora, è capace di accogliere questa dichiarazione d'amore che Dio gli fa. Dichiarazione d'amore che è prima di tutto, l'espressione di una elezione libera che Dio fa della sua creatura: Egli le dice ti amo! Ma è anche l'esigenza di una risposta; altrimenti non sarebbe vero amore, perché nessuno ama se non vuole essere amato.
...alleanza nuziale...
Questo amore è amore nuziale. Una madre può anche amare e non chiedere amore, ma uno sposo non può amare se l'altra non ama. L'amore di uno sposo, l'amore di una fanciulla che si dona a un altro, esige una risposta. L'amore nuziale è sempre un amore vicendevole che implica il dono dell'uno all'altro. Questo è anche l'amore che Dio ti offre e che Egli ti chiede.
Non vi sembra che il testo del profeta Osea ci riguardi in un modo particolarissimo? Non vi sembra che il profeta Osea, più di ogni altro profeta, ci dica in realtà quello che deve essere per noi la nostra vita di consacrazione? Una alleanza nuziale. Lo sappiamo bene: tutti sono chiamati a vivere questa alleanza, se vogliono entrare nel cielo. Ma per noi s'impone di anticipare già quell'unione di amore così esclusiva che è propria di due sposi, i quali sono l'uno per altro e non vivono più che l'uno per l'altro. Ed è Dio che vive per te e sei tu che vivi per Lui.
Il problema, però, rimane sempre quello; cioè, la realtà dello sposo. Non ci si può certo dare a chi non è realmente presente e non ci manifesta il suo amore. Perchè l'alleanza nuziale si realizzi, l'unione esige la realtà concreta, viva, presente, dell'uno e dell'altro. Ecco quello che ci dice oggi il profeta Osea. È importante per tutti noi, se vogliamo vivere la nostra vita religiosa, se vogliamo vivere la nostra vita di consacrazione.
...nel deserto del raccoglimento interiore
Che cosa ci dice il profeta Osea? Che noi possiamo incontrare Dio solo nel deserto. È Dio che ci attira a sé, ci strappa da tutte le cose, perché noi sperimentiamo più profonda e viva la sua presenza reale fra noi. Distratti da tante cose umane, portati via da preoccupazioni e pensieri, l'anima nostra non è capace di accogliere la parola di Dio e di ascoltarla, non è capace di sperimentare la sua presenza. Perché Dio divenga reale per noi bisogna che le cose non abbiano più un dominio troppo grande su di noi. Ci vuole, cioè, un certo raccoglimento interiore. Ve lo posso chiedere? Certo, ve lo debbo chiedere, anche se vivete nella famiglia, accanto al marito e ai figli.
Se volete vivere una vita religiosa intensa, se volete conoscere Dio, se volete che Dio entri nella vostra vita e la riempia di sé, se volete conoscere la dolcezza del Signore, se volete conoscere quanto Egli sia dolce e soave, dovete cercare di coltivare un certo raccoglimento interiore, dovete anche voi crearvi un certo deserto. Sarà un deserto diverso da quello delle carmelitane; più difficile certo, ma non per questo meno necessario. Voi dovete evitare tutto quello che non è conforme ai vostri doveri di stato, alla vostra funzione, alla situazione concreta nella quale Dio vi ha poste. Non dovete riempire la vostra vita di cianfrusaglie che non hanno alcuna importanza per la vostra stessa vita di donne di casa, o di madri di famiglia.
L'uomo di oggi è, di per sé, negato alla vita religiosa perché non ha più il tempo di rientrare in sé, non ha il minimo di disponibilità interiore per ascoltare un'altra parola. Quanti sono gli uomini i quali non hanno più nemmeno il tempo, e non lo cercano neppure, di riflettere su se stessi! E come potrebbero ricordarsi di Dio? Viviamo una vita troppo dissipata; cerchiamo continuamente di disperderci perchè non sopportiamo il peso della vita. E questa vita, senza senso, sembra non avere più ragione alcuna: ci mangia, ci divora, giorno per giorno. E il lavoro, il divertimento, gli spettacoli, si moltiplicano per rendere sempre più difficile all'uomo di ritornare sopra di sé.
Guardate questi giovani i quali, perfino studiando, hanno bisogno di tenere accesa la radio; non possono accettare più il silenzio, non hanno più la capacità di vivere dieci minuti da soli, con se stessi. E obbligarli alla prigione, tenerli un poco a vivere da soli, perché il silenzio e la solitudine sono per loro i peggiori castighi.
L'assenza di Dio
E come volete che, in queste condizioni, l'anima possa vivere una vita religiosa? E non la vivono. Ordinariamente Dio è assente da queste anime. Non hanno la minima possibilità che Dio possa parlare al loro cuore, possa entrare nella loro vita, possa comunicare al loro spirito.
Vedete, miei cari, non è cattiveria l'incredulità moderna; non è cattiveria il rifiuto nei confronti di Dio, ma è dovuta al fatto che gli uomini non hanno più una dimensione religiosa. Manca loro la condizione prima per poter vivere una vita religiosa. Manca persino a questi giovani il modo di essere uomini: sono strumentalizzati e non se ne accorgono; fanno delle contestazioni ma, in fondo, sono strumentalizzati o da quel partito o da quell'altro potere e non se ne rendono conto. Non vivono la loro propria vita, non hanno la possibilità di viverla, non conoscono nemmeno più l'amore. Senza conoscere l'amore, cadono nei peggiori vizi, precipitano nel peccato e basta. Tutta la vita è solo una droga; non si cerca altro che di dimenticare e di perdere se stessi. Il peso di sé è diventato impossibile da sopportare per gli uomini di oggi e si cerca soltanto di affondare nella ubriachezza che può essere data dal denaro, dal divertimento, dal peccato, a danno della propria vita, di un disegno proprio da realizzare, di un programma da vivere, di un amore da accettare.
Come volete che in queste condizioni si possa vivere una vita religiosa? Non si vive nemmeno una vita umana! Mai, forse, l'uomo si è trovato in una condizione così grave come oggi. Si parla tanto di civiltà, ma oggi l'uomo è davvero in pericolo. E lo Stato, il Partito, o qualsiasi altro potere, che cosa fanno? Ti danno tutto perché tu non abbia modo di sottrarti al loro potere, perché tu venga strumentalizzato. Il Partito ti dà quello che tu desideri. Magari ti si dà lo stipendio anche di diecimila lire al giorno: però tu non devi vivere la tua vita, non devi avere più il tempo di stare con i tuoi figli, di avere un tuo amore, di avere una tua libertà interiore, di pensare con la tua testa. Devi pensare col giornale, trovare tutte le possibilità, senza mai vivere per te. Tanto meno potrai vivere per Iddio.
Essere liberi per essere disponibili
Ecco quello che ci dice il profeta Osea. Che cosa? "Vuoi tu ascoltare la parola di Dio? Vuoi che la parola di Dio giunga al tuo spirito? Egli deve condurti nel deserto: e tu devi fare un certo silenzio nel tuo intimo, devi dare alla tua anima una certa libertà". Per andare nel deserto bisogna che tu sia libero; altrimenti sei incatenato e non puoi camminare.
Dunque, la prima cosa che s'impone per noi, se vogliamo vivere una vita religiosa, è questo raccoglimento. Un certo raccoglimento è necessario per tutti; non soltanto per le monache di clausura.
E poi, voi avete la vocazione di monache di clausura vivendo nel mondo. Monache no, ma vivere una vita contemplativa, sì. E si è sempre detto, che una vita contemplativa, implica di per sé un certo raccoglimento interiore.
Indipendentemente anche da una vocazione religiosa, quale quella propria della Comunità, un'anima religiosa non può continuare a vivere la sua vita se non si rende disponibile alla grazia. Come volete che Dio sia il vostro sposo, come volete che Dio sia la vostra vita, se voi non siete disponibili per Lui? Se non avete mai nessuna disponibilità per poter accogliere il suo amore, per poter ascoltare la sua parola, per poter vivere con Lui? Ebbene, se l'alleanza con Dio è un'alleanza di amore, anche voi dovete rimanere disponibili a Lui per poter ascoltare la sua parola, per poter vivere nella sua intimità, per poter gustare questo rapporto d'amore che deve sempre più legarvi al Signore così come il Signore si è legato a voi per sempre. Disponibilità nei confronti di Dio e un certo raccoglimento interno.
Silenzio e solitudine...
Che vuol dire raccoglimento? Qui il profeta Osea, ci parla del deserto. Che cosa vuol dire questa parola per noi? Vuol dire che il cristiano, che vuol vivere una vita cristiana, è impegnato a procurarsi un certo raccoglimento interno. Se non puoi tutto il giorno, troverai almeno dieci minuti per raccoglierti in camera tua, troverai dieci minuti anche se svolgi il tuo lavoro in cucina, per restare sola con Dio; o troverai cinque minuti per raccoglierti, almeno in chiesa, davanti al Signore. Devi cercare questi minuti di silenzio; non devi mai lasciarteli portar via. Devi difenderli, non soltanto cercarli. Non fare come i giovani di oggi che vogliono soltanto distrarsi perché non sopportano le zone di silenzio.
Le zone di silenzio sono le più belle. Ora lo sentono anche quelli che vivono in città i quali, non per nulla, cercano di farsi la villetta in campagna perché non sopportano più tutti questi rumori. Ebbene, se anche sul piano fisico, gli uomini non sopportano il rumore per non diventare nevrotici, questo s'impone anche per la vita spirituale. Cercate di coltivare, di difendere le zone di silenzio della vostra vita. E il vostro silenzio non deve essere un silenzio vuoto. Il vostro silenzio lo sapete che cos'è? E disponibilità pura ad una presenza d'amore.
Dio, che è eterno, è
sempre amore. Amore per me, amore per voi. Se noi facciamo silenzio, ecco,
ascoltiamo la sua parola, che è parola d'amore; viviamo l'esperienza di una
intimità dolcissima. Dio si comunica a noi proprio quando siamo soli: allora
conosciamo la comunione vera dell'amore. Quando, invece, noi fuggiamo la
solitudine, è proprio allora che non conosciamo l'amore. L'amore esige una certa
solitudine. Non puoi vivere una tua intimità, così dolce e segreta, se non
cerchi di sottrarti a tutti gli altri rumori.
...per accogliere l'amore...
E così anche nella tua unione con Dio. Se ci si sottrae ai rumori, se si cerca il silenzio, non è per vivere nel silenzio, ma perché il silenzio rende più facile e più dolce l'esperienza di questa comunione con Dio. Basta che tu faccia il vuoto e il vuoto è ripieno di amore. È perché non facciamo il vuoto, che Dio è un estraneo e non può entrare nella nostra vita. È perché non andiamo in solitudine, che questa solitudine non è piena di una misteriosa presenza. È perché non facciamo silenzio che non riusciamo ad udire la parola di Dio. Dio ci conduce nella solitudine, ci conduce nel deserto; vuole da noi questa raccoglimento e allora ci parla. Quale parola ci dice? Una parola che giunge direttamente al cuore ed è parola di amore. Per ciascuno, Dio non è tanto il giudice, Dio non è tanto il Santo: è l'amore che si dona, è l'amore che ci vuole per sé e tutto si vuole offrire a noi. È la presenza di amore.
Nell'unione coi nostri cari, la cosa più grande è il vivere questa comunione con Dio che, sola, dà poi il contenuto ultimo di gioia ad ogni nostro affetto: la nostra comunione d'amore è tutta penetrata, è tutta trasfigurata da una presenza divina.
L'amore umano può stancare, affaticare, divenire oppressivo qualche volta e chiedere, qualche volta, più pazienza che dare gioia. Credo sia questa la vostra esperienza. Nella misura che l'amore di Dio non trasfigura e trasforma anche i nostri rapporti familiari e di amicizia, l'amore umano può divenire soltanto esercizio di virtù, di pazienza, privo di gioia e di dolcezza.
...e dare l'amore...
Miei cari, vivete questa comunione con Dio e cercate che sia l'alimento primo della vostra vita. È una vita d'amore quella che il cristianesimo vi offre e vi invita a godere. Ed è l'amore più alto, l'amore più puro, l'amore che santifica ogni altro amore, l'amore che rende fedeli ad ogni altro amore: l'amore stabile, vero, santo, dolcissimo. Fate sì che la comunione con Dio sia l'atto supremo della vostra vita; il contenuto più vero, più profondo, continuo della vostra esistenza cristiana: così anche tutta la vostra vita umana sarà trasfigurata, diverrà nuova, più piena, p
...per accogliere l'amore...
E così anche nella tua unione con Dio. Se ci si sottrae ai rumori, se si cerca il silenzio, non è per vivere nel silenzio, ma perché il silenzio rende più facile e più dolce l'esperienza di questa comunione con Dio. Basta che tu faccia il vuoto e il vuoto è ripieno di amore. È perché non facciamo il vuoto, che Dio è un estraneo e non può entrare nella nostra vita. È perché non andiamo in solitudine, che questa solitudine non è piena di una misteriosa presenza. È perché non facciamo silenzio che non riusciamo ad udire la parola di Dio. Dio ci conduce nella solitudine, ci conduce nel deserto; vuole da noi questa raccoglimento e allora ci parla. Quale parola ci dice? Una parola che giunge direttamente al cuore ed è parola di amore. Per ciascuno, Dio non è tanto il giudice, Dio non è tanto il Santo: è l'amore che si dona, è l'amore che ci vuole per sé e tutto si vuole offrire a noi. È la presenza di amore.
Nell'unione coi nostri cari, la cosa più grande è il vivere questa comunione con Dio che, sola, dà poi il contenuto ultimo di gioia ad ogni nostro affetto: la nostra comunione d'amore è tutta penetrata, è tutta trasfigurata da una presenza divina.
L'amore umano può stancare, affaticare, divenire oppressivo qualche volta e chiedere, qualche volta, più pazienza che dare gioia. Credo sia questa la vostra esperienza. Nella misura che l'amore di Dio non trasfigura e trasforma anche i nostri rapporti familiari e di amicizia, l'amore umano può divenire soltanto esercizio di virtù, di pazienza, privo di gioia e di dolcezza.
...e dare l'amore...
Miei cari, vivete questa comunione con Dio e cercate che sia l'alimento primo della vostra vita. È una vita d'amore quella che il cristianesimo vi offre e vi invita a godere. Ed è l'amore più alto, l'amore più puro, l'amore che santifica ogni altro amore, l'amore che rende fedeli ad ogni altro amore: l'amore stabile, vero, santo, dolcissimo. Fate sì che la comunione con Dio sia l'atto supremo della vostra vita; il contenuto più vero, più profondo, continuo della vostra esistenza cristiana: così anche tutta la vostra vita umana sarà trasfigurata, diverrà nuova, più piena, p
iù pura, più grande, più luminosa, più viva.
Oh, Dio non è geloso dei nostri amori perché, in fondo, in ogni nostro amore noi possiamo amare Lui, se è vero amore. Fate in modo, allora, che ogni vostro amore sia l'espressione stessa della vostra comunione con Dio, comunione che rimane vera: è questa la garanzia anche della vostra felicità familiare. Dio non rinuncia a nulla di voi: Egli vi ha donato amore e pretende amore, amore totale. Ne viene che l'amore per i vostri cari è incluso in questo medesimo amore per Iddio. Non vi è lotta, non vi è alterità fra questo amore di Dio ed ogni altro amore, anzi: ogni amore è fecondato, è alimentato, giorno per giorno e voi ben lo sapete, dall'amore di Dio.
Oh, Dio non è geloso dei nostri amori perché, in fondo, in ogni nostro amore noi possiamo amare Lui, se è vero amore. Fate in modo, allora, che ogni vostro amore sia l'espressione stessa della vostra comunione con Dio, comunione che rimane vera: è questa la garanzia anche della vostra felicità familiare. Dio non rinuncia a nulla di voi: Egli vi ha donato amore e pretende amore, amore totale. Ne viene che l'amore per i vostri cari è incluso in questo medesimo amore per Iddio. Non vi è lotta, non vi è alterità fra questo amore di Dio ed ogni altro amore, anzi: ogni amore è fecondato, è alimentato, giorno per giorno e voi ben lo sapete, dall'amore di Dio.
...in una vita ricolma di pace e di
gioia
Perché siete così pazienti, così dolci, così pronte al sacrificio e
ad accettare il dolore? Perché l'amore di Dio alimenta in voi ogni virtù e vi
rende possibile una pazienza, una fedeltà che, qualche volta, non sarebbe tanto
facile possedere. Così una madre impara, dall'amore di Dio, come si deve amare
nel sacrificio, nella dedizione continua, tante volte senza ricevere nulla,
almeno apparentemente; impara ad amare di un amore di speranza, che continua
fino alla fine perché è riposta soltanto in Dio che non inganna, anche se i
figli sembra abbiano sempre a deludere. La madre impara a riposare in Dio,
tranquilla, perché l'amore per i figli non è altro che l'espressione di amore
verso Dio. Se la speranza riposa in Dio, darà un giorno il suo frutto.
Miei cari, bisogna amare così. Tutta la vita è amore, amore di Dio che penetra e trasforma, dando una serenità, una pace, una gioia profonda che nessuno può rapirci: nemmeno la morte ha la capacità di strapparci questo amore, dal momento che l'amore è Dio, Dio che vive nel cuore dell'uomo, Dio che è l'Eterno.
"Io ti sposerò nella fedeltà dice il Signore nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore". Nella fedeltà, e tu la conoscerai; non temere!
L'amore di Dio trasforma
Voi siete consacrate al Signore o siete nell'attesa di questa consacrazione che non fa che ripetere la vostra consacrazione battesimale. Ebbene, rendetevi conto che quella consacrazione che voi avete fatto, o state per fare, è il vostro matrimonio con Dio, la vostra unione, cioè, che rimane indissolubile, che vince anche la morte. E in questo amore, e in ogni altro amore, voi siete sicure, non solo di salvare voi stesse, ma di salvare tutti coloro che amate. Perché Dio non può separarvi: Lui, che santifica l'amore, non può separarvi da coloro ai quali l'amore vi unisce. Egli vi sposa nella fedeltà: la fedeltà di Dio! Vi sposa nella benevolenza e nella misericordia di un amore che dimentica tutto, che vi rinnova completamente fin nell'intimo, un amore che vi dà, ogni giorno, una nuova giovinezza.
Miei cari, questa è la differenza fra l'amore umano e l'amore divino: l'amore degli uomini vi trova quello che siete e vi lascia quello che siete; invece l'amore di Dio vi fa oggetto del suo amore. L'amore dell'uomo riconosce quello che l'altro è e non ha la capacità di rinnovare l'oggetto del suo amore, non ha la capacità di rendere sempre giovane e fresco colui che ama: ma l'amore di Dio può tutto questo e lo fa.
Ecco, quello che vorrei dirvi: amate il Signore; cercate Dio, e l'amore di Dio vi farà come Egli vi vuole. Gli uomini possono soltanto amare quello che hanno scelto e che è soggetto all'usura del tempo e della malattia, coi limiti di un carattere, di un temperamento, di tanti difetti. Dio non è così. Egli, che vi ama, vi trasforma secondo il suo amore, e se voi corrispondete all'amore divino, diverrete sempre più degne di questo stesso amore: e vi rinnoverà nella vostra giovinezza, vi farà sempre più partecipi della sua medesima gioia, vi farà simili a sé. Quello che l'amore umano non può fare, l'amore divino può farlo. E Lui che vince la morte, la fa vincere a voi perché Egli non la conosce, vi trasforma sempre più secondo l'immagine sua. Amate il Signore!
Mi sembra ci dica questo la prima Lettura ed è sufficiente. È sufficiente anche per celebrare, oggi, la consacrazione di due nuove sorelle nostre, chiamate ad ascoltare, in modo anche più profondo, la parola di Dio: "Ti condurrò nella solitudine, nel silenzio; là parlerò al tuo cuore". Voglio essere tutto per te e voglio che tu sia tutta per me: in questo scambio di amore tu vivi, già ora, una vita di gioia, di purezza, di pace.
Da oggi, non conoscerai più che l'amore, l'amore che si dona a tutti i fratelli. Che tu viva, in questo amore, un servizio umile e sereno e che gli altri riconoscano in te la presenza divina.
Prima meditazione
Il dono di Dio
Ricordate le parole che chiudevano la prima Lettura che abbiamo ascoltato stamani?
"Io ti sposerò nella giustizia e nel diritto, ti sposerò nella benevolenza e nell'amore, ti sposerò nella fedeltà e tu conoscerai il Signore". È una promessa. La prima cosa che dobbiamo, dunque, meditare è questa: Dio parla; ogni sua parola apre all'anima sempre nuovi orizzonti di bellezza e di luce. Quanto più Dio si dona, tanto più Egli promette.
Nella vita presente, il dono di Dio non è mai definitivo, ma è sempre un anticipo di quello che Egli darà, è sempre una promessa che apre ad una speranza sempre più grande, ad un desiderio più vivo. "Io parlerò al suo cuore". "Ti sposerò". Lo dice il Signore. L'anima e Dio non sono più che l'una per l'Altro in questo raccoglimento, in questa solitudine in cui l'amore li ha condotti. E sembrerebbe che nulla potesse esserci di più grande di quella intimità che si è stabilita fra Dio e l'anima, in questa comunione d'amore che già l'anima vive col suo Dio che l'ha scelta. Tuttavia l'incontro non fa che aprire l'anima a nuove prospettive d'amore, ad un nuovo cammino di luce e di bellezza.
Il cammino dell'uomo...
"Ti sposerò". È uno dei caratteri della vita spirituale. Non si vive la vita spirituale se non in un continuo crescere e dilatarsi dell'anima nella speranza e nella gioia. Le virtù teologali hanno un inizio, ma non hanno una fine. Perché? Perché hanno per oggetto Dio che è l'Infinito, che è l'Eterno. Ma non hanno fine anche nel loro crescere, non solo perché non terminano mai, ma perché crescono indefinitivamente senza mai trovare un termine ultimo, una meta. Tanto più vivi nella fede, tanto più la fede esige da te fermezza e ti dona luce; tanto più il Signore ti dona speranza, tanto più cresce nel tuo cuore questa certezza dei beni futuri, questo aprirsi dell'anima ad accogliere Dio.
La speranza, che cos'è? È una virtù per la quale il tuo desiderio, il desiderio della natura è divinamente efficace perché si appoggia sulla parola di Dio e tu desideri Dio, e tu speri che Dio sia la tua felicità. Ora, il paradiso non è carità in quanto implica il possesso di Dio. E perché? Perché vi è un duplice amore: un amore di concupiscenza e un amore di benevolenza: l'amore di concupiscenza è l'amore cui risponde la speranza. Il possesso è la perfezione, è la tua beatitudine. L'amore, di per sé, non è negato alla beatitudine; l'amore è dono di sé.
...vivere di Dio Qual è l'amore puro? Vi ricordate quello che scrive Charles de Foucauld in uno dei suoi ritiri, quando era in Africa? "Signore, io mi trovo in una tale desolazione, in un tale vuoto e mi sembra che Tu neppure esista; però so che Tu sei beato; ed io sono beato perché Tu sei beato". Ecco l'amore. L'anima, in sé, non vive altro che desolazione ed aridità, però è beata perché il Signore è beato; non vive di sé, ma vive di Dio. Questo è l'amore di benevolenza, l'amore puro, senza riferimenti a sé, l'amore che non implica tanto il possesso, quanto il dono di sé. Però vi è anche l'amore di possesso ed io non posso farne a meno. Il paradiso è la mia beatitudine; il paradiso è il possesso di Dio e costituisce la speranza attuale. Non è l'amore, è la speranza attuale, è l'amore di concupiscenza. L'amore che è possesso, è beatitudine per te.
Così la fede: è un appoggiarsi a quello che Dio ci dice di sé: noi non vediamo coi nostri occhi, ma ci limitiamo a quello che Dio ci rivela di se stesso, o ci rivelerà domani. Domani vedremo Dio coi suoi medesimi occhi, cioè la fede ci porterà alla visione. E noi non potremmo nemmeno vivere la carità eterna, l'eternità dell'amore, se non vivessimo la visione beatifica: è dalla visione beatifica che deriva l'amore. Per questo, anche la fede ha un suo permanere eterno nel suo compimento, che è la visione.
Il termine ultimo delle virtù teologali
In un certo senso, le virtù teologali ancora sussistono, la fede e la speranza, cambiando, raggiungono la loro perfezione ultima che non è più fede ma visione, che non è più speranza, ma possesso. Nella speranza, tu ancora aspetti Dio: ma se vivi in paradiso, devi possedere non puoi aspettare. La vita eterna è l'esercizio perfetto delle virtù teologali nel loro conseguimento ultimo; però durante la vita presente esse non solo hanno modo di crescere senza limite, ma debbono crescere ogni giorno di più, se Dio vive in te. Perché quaggiù tu non puoi mai dire di possedere Dio: lo possiedi soltanto nella misura che tu lo cerchi.
E quello che diceva Pascal: "Non mi cercheresti, se tu non mi avessi trovato". E le parole di Pascal sul mistero di Gesù sono simili a quanto aveva detto già nel IV secolo san Gregorio di Nissa: "Si possiede Dio soltanto nella misura che lo si cerca quaggiù". Si possiede Dio nella misura di questo dinamismo interno che ci spinge ad una ricerca continua, perché tanto più lo possediamo quanto più ci rende desiderosi di possederlo e l'anima nostra è ardente di desiderio e di speranza nel protendersi verso Dio. Così, vivere per noi vuoi dire crescere sempre.
Ecco perché vi dicevo che non si invecchia mai nella vita spirituale: nella vita naturale si raggiunge un certo limite, poi si decade. Qui invece non c'è una decadenza, ma c'è sempre un salire, un ascendere. E, si noti bene, tanto più ascendiamo, tanto più facile è il salire.
Tu credevi che fosse il contrario? No. E così.
Verso la semplicità ...
Soltanto quando abbiamo poca virtù, il camminare nel rispondere a Dio costa fatica. Invece quanto più ci assimiliamo a Dio, tanto più diviene un volo tutta la vita, senza fatica. E quali distanze immense tu puoi percorrere in un solo atto d'amore, in un solo atto di speranza, quando tu sia santa! Questo lo si rileva particolarmente nei santi: all'inizio la loro conversione è faticosa, impegnata in tutti gli esercizi delle virtù morali, nella mortificazione, nell'obbedienza. Poi, la vita diviene sempre più semplice, sempre più pura, perché all'anima non costa più nulla il vivere soltanto di Dio anzi: Dio assume sempre più l'anima in un modo così pieno, così puro da far divenire tutto limpido, chiaro, sereno, pacifico, semplice anche nella preghiera. Tutta la nostra vita interiore ci dà come un senso di beatitudine, non solo di dolcezza, ma di pienezza, di forza spirituale. Tu vivi questo e resti senza parole. Tu hai il sentimento soltanto di questa presenza che ti riempie di sé, e in questo rimani. E poi vieni come strappata a te stessa: non vedi più che Lui. Tutta la nostra vita è Lui solo e ci dimentichiamo di noi stessi. E una vita sempre più piena di Lui, di Lui solo: non esiste più che il Signore. Qualunque cosa tu faccia, ovunque tu sia, c'è sempre Lui, il tuo Dio. La tua vita è tutta invasa, investita da questa presenza che, quanto più è reale, tanto più elimina quello che a questa presenza si oppone.
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Miei cari, bisogna amare così. Tutta la vita è amore, amore di Dio che penetra e trasforma, dando una serenità, una pace, una gioia profonda che nessuno può rapirci: nemmeno la morte ha la capacità di strapparci questo amore, dal momento che l'amore è Dio, Dio che vive nel cuore dell'uomo, Dio che è l'Eterno.
"Io ti sposerò nella fedeltà dice il Signore nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore". Nella fedeltà, e tu la conoscerai; non temere!
L'amore di Dio trasforma
Voi siete consacrate al Signore o siete nell'attesa di questa consacrazione che non fa che ripetere la vostra consacrazione battesimale. Ebbene, rendetevi conto che quella consacrazione che voi avete fatto, o state per fare, è il vostro matrimonio con Dio, la vostra unione, cioè, che rimane indissolubile, che vince anche la morte. E in questo amore, e in ogni altro amore, voi siete sicure, non solo di salvare voi stesse, ma di salvare tutti coloro che amate. Perché Dio non può separarvi: Lui, che santifica l'amore, non può separarvi da coloro ai quali l'amore vi unisce. Egli vi sposa nella fedeltà: la fedeltà di Dio! Vi sposa nella benevolenza e nella misericordia di un amore che dimentica tutto, che vi rinnova completamente fin nell'intimo, un amore che vi dà, ogni giorno, una nuova giovinezza.
Miei cari, questa è la differenza fra l'amore umano e l'amore divino: l'amore degli uomini vi trova quello che siete e vi lascia quello che siete; invece l'amore di Dio vi fa oggetto del suo amore. L'amore dell'uomo riconosce quello che l'altro è e non ha la capacità di rinnovare l'oggetto del suo amore, non ha la capacità di rendere sempre giovane e fresco colui che ama: ma l'amore di Dio può tutto questo e lo fa.
Ecco, quello che vorrei dirvi: amate il Signore; cercate Dio, e l'amore di Dio vi farà come Egli vi vuole. Gli uomini possono soltanto amare quello che hanno scelto e che è soggetto all'usura del tempo e della malattia, coi limiti di un carattere, di un temperamento, di tanti difetti. Dio non è così. Egli, che vi ama, vi trasforma secondo il suo amore, e se voi corrispondete all'amore divino, diverrete sempre più degne di questo stesso amore: e vi rinnoverà nella vostra giovinezza, vi farà sempre più partecipi della sua medesima gioia, vi farà simili a sé. Quello che l'amore umano non può fare, l'amore divino può farlo. E Lui che vince la morte, la fa vincere a voi perché Egli non la conosce, vi trasforma sempre più secondo l'immagine sua. Amate il Signore!
Mi sembra ci dica questo la prima Lettura ed è sufficiente. È sufficiente anche per celebrare, oggi, la consacrazione di due nuove sorelle nostre, chiamate ad ascoltare, in modo anche più profondo, la parola di Dio: "Ti condurrò nella solitudine, nel silenzio; là parlerò al tuo cuore". Voglio essere tutto per te e voglio che tu sia tutta per me: in questo scambio di amore tu vivi, già ora, una vita di gioia, di purezza, di pace.
Da oggi, non conoscerai più che l'amore, l'amore che si dona a tutti i fratelli. Che tu viva, in questo amore, un servizio umile e sereno e che gli altri riconoscano in te la presenza divina.
Prima meditazione
Il dono di Dio
Ricordate le parole che chiudevano la prima Lettura che abbiamo ascoltato stamani?
"Io ti sposerò nella giustizia e nel diritto, ti sposerò nella benevolenza e nell'amore, ti sposerò nella fedeltà e tu conoscerai il Signore". È una promessa. La prima cosa che dobbiamo, dunque, meditare è questa: Dio parla; ogni sua parola apre all'anima sempre nuovi orizzonti di bellezza e di luce. Quanto più Dio si dona, tanto più Egli promette.
Nella vita presente, il dono di Dio non è mai definitivo, ma è sempre un anticipo di quello che Egli darà, è sempre una promessa che apre ad una speranza sempre più grande, ad un desiderio più vivo. "Io parlerò al suo cuore". "Ti sposerò". Lo dice il Signore. L'anima e Dio non sono più che l'una per l'Altro in questo raccoglimento, in questa solitudine in cui l'amore li ha condotti. E sembrerebbe che nulla potesse esserci di più grande di quella intimità che si è stabilita fra Dio e l'anima, in questa comunione d'amore che già l'anima vive col suo Dio che l'ha scelta. Tuttavia l'incontro non fa che aprire l'anima a nuove prospettive d'amore, ad un nuovo cammino di luce e di bellezza.
Il cammino dell'uomo...
"Ti sposerò". È uno dei caratteri della vita spirituale. Non si vive la vita spirituale se non in un continuo crescere e dilatarsi dell'anima nella speranza e nella gioia. Le virtù teologali hanno un inizio, ma non hanno una fine. Perché? Perché hanno per oggetto Dio che è l'Infinito, che è l'Eterno. Ma non hanno fine anche nel loro crescere, non solo perché non terminano mai, ma perché crescono indefinitivamente senza mai trovare un termine ultimo, una meta. Tanto più vivi nella fede, tanto più la fede esige da te fermezza e ti dona luce; tanto più il Signore ti dona speranza, tanto più cresce nel tuo cuore questa certezza dei beni futuri, questo aprirsi dell'anima ad accogliere Dio.
La speranza, che cos'è? È una virtù per la quale il tuo desiderio, il desiderio della natura è divinamente efficace perché si appoggia sulla parola di Dio e tu desideri Dio, e tu speri che Dio sia la tua felicità. Ora, il paradiso non è carità in quanto implica il possesso di Dio. E perché? Perché vi è un duplice amore: un amore di concupiscenza e un amore di benevolenza: l'amore di concupiscenza è l'amore cui risponde la speranza. Il possesso è la perfezione, è la tua beatitudine. L'amore, di per sé, non è negato alla beatitudine; l'amore è dono di sé.
...vivere di Dio Qual è l'amore puro? Vi ricordate quello che scrive Charles de Foucauld in uno dei suoi ritiri, quando era in Africa? "Signore, io mi trovo in una tale desolazione, in un tale vuoto e mi sembra che Tu neppure esista; però so che Tu sei beato; ed io sono beato perché Tu sei beato". Ecco l'amore. L'anima, in sé, non vive altro che desolazione ed aridità, però è beata perché il Signore è beato; non vive di sé, ma vive di Dio. Questo è l'amore di benevolenza, l'amore puro, senza riferimenti a sé, l'amore che non implica tanto il possesso, quanto il dono di sé. Però vi è anche l'amore di possesso ed io non posso farne a meno. Il paradiso è la mia beatitudine; il paradiso è il possesso di Dio e costituisce la speranza attuale. Non è l'amore, è la speranza attuale, è l'amore di concupiscenza. L'amore che è possesso, è beatitudine per te.
Così la fede: è un appoggiarsi a quello che Dio ci dice di sé: noi non vediamo coi nostri occhi, ma ci limitiamo a quello che Dio ci rivela di se stesso, o ci rivelerà domani. Domani vedremo Dio coi suoi medesimi occhi, cioè la fede ci porterà alla visione. E noi non potremmo nemmeno vivere la carità eterna, l'eternità dell'amore, se non vivessimo la visione beatifica: è dalla visione beatifica che deriva l'amore. Per questo, anche la fede ha un suo permanere eterno nel suo compimento, che è la visione.
Il termine ultimo delle virtù teologali
In un certo senso, le virtù teologali ancora sussistono, la fede e la speranza, cambiando, raggiungono la loro perfezione ultima che non è più fede ma visione, che non è più speranza, ma possesso. Nella speranza, tu ancora aspetti Dio: ma se vivi in paradiso, devi possedere non puoi aspettare. La vita eterna è l'esercizio perfetto delle virtù teologali nel loro conseguimento ultimo; però durante la vita presente esse non solo hanno modo di crescere senza limite, ma debbono crescere ogni giorno di più, se Dio vive in te. Perché quaggiù tu non puoi mai dire di possedere Dio: lo possiedi soltanto nella misura che tu lo cerchi.
E quello che diceva Pascal: "Non mi cercheresti, se tu non mi avessi trovato". E le parole di Pascal sul mistero di Gesù sono simili a quanto aveva detto già nel IV secolo san Gregorio di Nissa: "Si possiede Dio soltanto nella misura che lo si cerca quaggiù". Si possiede Dio nella misura di questo dinamismo interno che ci spinge ad una ricerca continua, perché tanto più lo possediamo quanto più ci rende desiderosi di possederlo e l'anima nostra è ardente di desiderio e di speranza nel protendersi verso Dio. Così, vivere per noi vuoi dire crescere sempre.
Ecco perché vi dicevo che non si invecchia mai nella vita spirituale: nella vita naturale si raggiunge un certo limite, poi si decade. Qui invece non c'è una decadenza, ma c'è sempre un salire, un ascendere. E, si noti bene, tanto più ascendiamo, tanto più facile è il salire.
Tu credevi che fosse il contrario? No. E così.
Verso la semplicità ...
Soltanto quando abbiamo poca virtù, il camminare nel rispondere a Dio costa fatica. Invece quanto più ci assimiliamo a Dio, tanto più diviene un volo tutta la vita, senza fatica. E quali distanze immense tu puoi percorrere in un solo atto d'amore, in un solo atto di speranza, quando tu sia santa! Questo lo si rileva particolarmente nei santi: all'inizio la loro conversione è faticosa, impegnata in tutti gli esercizi delle virtù morali, nella mortificazione, nell'obbedienza. Poi, la vita diviene sempre più semplice, sempre più pura, perché all'anima non costa più nulla il vivere soltanto di Dio anzi: Dio assume sempre più l'anima in un modo così pieno, così puro da far divenire tutto limpido, chiaro, sereno, pacifico, semplice anche nella preghiera. Tutta la nostra vita interiore ci dà come un senso di beatitudine, non solo di dolcezza, ma di pienezza, di forza spirituale. Tu vivi questo e resti senza parole. Tu hai il sentimento soltanto di questa presenza che ti riempie di sé, e in questo rimani. E poi vieni come strappata a te stessa: non vedi più che Lui. Tutta la nostra vita è Lui solo e ci dimentichiamo di noi stessi. E una vita sempre più piena di Lui, di Lui solo: non esiste più che il Signore. Qualunque cosa tu faccia, ovunque tu sia, c'è sempre Lui, il tuo Dio. La tua vita è tutta invasa, investita da questa presenza che, quanto più è reale, tanto più elimina quello che a questa presenza si oppone.
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..per fare la volontà di Dio...
Si noti bene: "quello
che a questa presenza di oppone", perché Dio si fa presente nel vostro dovere,
si fa presente in quello che è la sua volontà. Per questo il Signore, entrando
nella vostra vita, non può farvi dimenticare i vostri doveri: non sarebbe Dio.
Non dovete illudervi in questo: la vita divina non ci separa mai da quello che è
il nostro dovere, da quello che ci chiede il nostro stato, da quello che è la
nostra situazione, perché lì è la sua volontà. E la volontà di Dio è Dio. Perciò
la presenza divina implica, per voi, un adempimento più perfetto dei vostri
doveri, il compimento ancora più pieno di quelle che sono le vostre incombenze,
i vostri lavori di ogni giorno. Non vi è un urto, una tensione fra le due cose:
Dio è la sua volontà.
Comunque, però, è Dio solo che riempie. Anche la presenza dei vostri cari, l'attuazione dei vostri doveri, altro non sono che il segno della presenza di Dio per voi. E in questa presenza voi vi dimenticate di voi stessi, sempre di più, e non vi rimane che Lui: "Ti sposerò".
Ritornerò, dunque, alle parole del profeta Osea. Si diceva che Dio vive in noi nella misura che cresce in noi la speranza, questo desiderio di Lui sempre più vivo. Proprio come dice san Pietro nella Prima Lettera: una "speranza viva" perché è nella speranza che noi viviamo quaggiù sulla terra. Di qui deriva che, invece di invecchiare, si ringiovanisce sempre. E vivendo che cresce in noi la speranza.
...nella continua novità dello Spirito Altra cosa è un desiderio che risponde ad una natura sensibile, che può essere soltanto nel giovane; altra cosa è questo desiderio, questa speranza di Dio che cresce sempre più nell'anima, anche quando il corpo decade. La speranza cresce perché non vai verso la morte; vai verso la vita; non vai verso la fine, vai verso l'amore; non vai verso il buio della tomba, vai verso la luce incommutabile di Dio. L'anima nostra si apre in un senso di sorpresa sempre nuovo. Non lo provate anche voi quando pregate? Un certo senso di stupore si rinnova sempre in noi nel contatto con Dio. Se lo abbiamo conosciuto una volta, la nostra vita spirituale diviene una continua sorpresa. Ed è proprio questa sorpresa che denota la giovinezza. Chi è capace di meraviglia e di stupore? Il bambino e il poeta. Chi vive la vita religiosa, vive in questo continuo stupore di essere amato, amato per nulla.
Ecco il crescere della speranza, ecco il crescere di questa sorpresa dell'anima nel sentirsi sempre nuova nel contatto di Dio. Nella misura che cresce in te la speranza, cresce il dono di Dio; ed Egli, l'Infinito, si dona totalmente e non si può dividere: scava in te abissi sempre più profondi perché tu possa sempre più riceverlo. E come può scavare in te questi abissi? Come può donarti questa capacità sempre nuova e sempre più grande, del possesso divino? Attraverso la speranza che cresce e che diviene la vera bellezza della vita presente.
Ecco perché, più che chiedere il possesso, chiedete la speranza che rende più grande la fame. Tanto mangi, tanto più ti viene fame; tanto più bevi, tanto più cresce la tua sete di ricevere il tuo Dio. Questo fa la speranza cristiana, questo fa il dono di Dio nella vita presente. Cresce in noi il desiderio di Dio nella misura che Egli si dona: tutta la vita non è che un dilatarsi dell'anima ad accogliere sempre più il dono dell'amore infinito.
E così la vita spirituale: un crescere continuo nel desiderio, nella speranza, nell'amore. Possiamo giudicare da questo se viviamo o non viviamo. Nella vita umana si può rimanere fermi, nella vita spirituale no: si vive soltanto nella misura che si cresce. È un indice preciso, perciò, per capire se viviamo veramente in Dio. Non è il crescere nelle pratiche di pietà, nell'aumentare le opere buone, nel prolungare le preghiere, nel moltiplicare i sacrifici: si tratta di crescere nell'amore, nel desiderio, nella volontà di donarsi a Dio, di accogliere Dio, senza più riposo. Questo dobbiamo vivere.
Solamente Dio è...
Come è meravigliosa la vita se cresce in noi continuamente questo desiderio e questa speranza di Dio! E che giovinezza fiorisce in questo crescere continuo delle nostre capacità di accogliere in noi il Signore! In questo cammino sono giovani soltanto quelli che da tanti anni camminano. Tanto più vanno avanti, tanto più l'anima, liberata da ogni vita parassitaria, liberata da tutto quello che nel giovane è motivo di dissipazione, si ferma in un solo amore e in questo soltanto si dilata e respira, nella luce di Dio, nel tendere a Lui solo. Quante sono le persone anziane che vivono soltanto di Dio, di semplicità, di amore, di pace! Non hanno più dispersioni, neanche, forse, nel lavoro; le compiono altri, e sono messe da parte per far posto ai giovani, anche se sono amate. Quale sarebbe la vita di queste anime se non avessero Dio? Sarebbe la desolazione, il vuoto, l'amarezza, la tristezza della vita che si spegne, la paura della morte. Invece, se un'anima è religiosa, aperta alla grazia divina, in una vita pura, semplice, serena, piena di Dio, è veramente il sacramento di una presenza divina.
Io credo siano queste le anime più grandi davanti al Signore, quelle che salvano la Chiesa. Non sono i cardinali che possono dare il voto al Papa ma se mai i cardinali che hanno 90 anni e che vivono nascosti in un pensionato, nel silenzio, messi fuori ormai da tutto. E questo può essere vero anche per noi. Ma allora Dio riempie tutta la vita. Queste anime non si preoccupano di quello che è umano, non posseggono nulla tranne il Signore.
...e sarà il contenuto della nostra vita
È proprio questo che chiede il Signore quando, chiamandoci alla sua intimità, ci dice questa parola che è, semplicemente, un futuro: "Ti sposerò". Tutta la vita è tesa verso il futuro, verso un futuro che trova poi il suo adempimento nella presenza pura dell'eternità. Questo futuro rimane per te aperto; è un futuro che è un invito, è una forza che ti porta sempre più verso Dio; nella fedeltà, nella benevolenza, nell'amore.
Che cosa possiamo dare a Dio? E Lui che è fedele, benevolo verso di noi; è Lui che dimentica tutto il nostro passato e non ha per noi altro che amore; è Lui che si dona tutto a noi e riempie il nostro vuoto. E noi non abbiamo altro da offrirgli che una pura capacità, affinché Egli la riempia. Egli non può davvero ottenere nulla da noi; Egli non ci chiede nulla. Soltanto il nostro nulla è proporzionato al tutto di Dio. Ed è proprio nell'affondare nel proprio nulla che l'anima deve aprirsi ad una speranza vitale. Apriamoci tutti a questa promessa di gioia, e questa promessa di amore che il Signore ci fa.
Dobbiamo vivere questo.
Il profeta Osea ci dice: "Ti sposerò". Sul piano umano il rimandare le cose dà fastidio, ma sul piano divino il rimandare conviene ed è bello perché ti rende sempre più creditore di Dio. Egli ti deve dare ancora di più; tanto ti darà quanto più lunga sarà stata l'attesa, quanto più ansioso sarà stato il desiderio, quanto più vasta sarà stata la tua speranza nell'accogliere il suo dono. Quello che Egli ci dà, ce lo dà soltanto perché cresca in noi il desiderio e la speranza di riceverlo ancora. Viviamo in questo continuo processo di una speranza che cresce, di un desiderio che sempre più ci dilata per ricevere Dio.
"Ti sposerò". Ecco quello che ci dice oggi il profeta Osea.
Seconda meditazione
Essere con lo sposo...
Ricordate il Vangelo di stamani? Praticamente abbiamo fatto due meditazioni sulla Prima Lettura presa dal profeta Osea: il Signore guarda al suo popolo come lo sposo alla sposa: "Ecco, la attirerò a me, e la condurrò nel deserto, e parlerò al suo cuore... Ti farò mia sposa per sempre nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore."
Ma ho detto anche che il Vangelo di stamani ha un rapporto stretto con la Prima Lettura. Infatti il tema fondamentale delle due letture è l'alleanza dell'uomo con Dio, veduta come un'alleanza di nozze, come un mistero nuziale, e inoltre perché in queste nozze quello che l'anima vive è, prima, una grande speranza che dilata l'anima stessa, la certezza dell'amore divino, e poi, come si diceva durante la Messa, questa intimità col Signore che noi dobbiamo conservare gelosamente: un raccoglimento, un'attenzione, una disponibilità a Lui che ci ama, che dona alla nostra vita un'atmosfera di serenità, di pace e di gioia. In fondo, è proprio questa gioia l'argomento fondamentale del Vangelo.
Che cosa dice il Vangelo? Descrive i farisei che rimproverano Gesù perché i suoi discepoli non fanno i digiuni che la tradizione aveva stabilito: proprio i discepoli, che vivevano più vicini al Signore, non facevano i digiuni! E Gesù, rimprovera forse i discepoli? Oh. no! Che cosa Egli dice? "Non si digiuna fintanto che lo sposo è presente".
...come lo erano i discepoli...
E allora, se noi viviamo in questo raccoglimento, se noi viviamo in questa disponibilità onde ci apriamo ad accogliere continuamente Dio che ci ama: siamo davvero con i discepoli. Non solo san Marco ci conferma questo, ma anche san Giovanni nel Quarto Vangelo: alle Nozze di Cana quelli che non sono discepoli di Gesù si scandalizzano. Come è possibile pensare ad un Messia, ad un salvatore il quale, invece di far sì che queste anime religiose abbiano il viso lungo tre palmi, nella penitenza e nel digiuno, abbiano ad avviarsi alle nozze con tanta gioia? Abbiano a bere il vino buono alla fine del banchetto, il vino preparato proprio da Gesù? Lo scandalo è davvero grande!
Gesù vuole le gioia. L'Evangelista san Giovanni ci vuole persuadere di questo, perché questa è l'intenzione del Signore: portare la gioia.
Il Nuovo Testamento si differenzia dal Vecchio Testamento e lo mostra sempre di più nel corso dello svolgimento dei fatti. Lo vediamo già nell'intimità che i discepoli hanno col Maestro. col Figlio di Dio. Dio, finalmente, si è unito a noi per sempre. E non sarà mai infedele. Se Egli si è donato, se Egli ci ha scelti, se è venuto a noi e noi ci siamo consacrati a Lui, non possiamo avere più alcun timore. Egli rimane con noi ed è la nostra gioia, la nostra vita.
...nella gioia...
Uno dei doveri fondamentali del cristiano è quello di essere, sempre, nella gioia. Ricordate quello che diceva san Francesco d'Assisi e che ripeteva san Francesco di Sales: "Un santo triste è un triste santo". La santità è sempre unita a questa esperienza di una presenza divina la quale colma la vita, la illumina, la fa sicura. Che cosa volete di più di quello che Dio vi dona, se Dio è con voi? C'è qualche cosa che voi possiate desiderare e che non vi abbia già dato? Che cosa, dunque, s'impone per l'anima?
Certo, la nostra gioia, e lo dice il Vangelo di oggi, nasce dal fatto che lo Sposo è con noi. Questo dovete tenerlo presente. E non si digiuna fintanto che lo Sposo è con noi. Una volta che noi ci siamo consacrati a Lui, la nostra vita non può conoscere che la gioia, una gioia sempre più pura, sempre più grande, perché, non solo la vita non ci allontana da Lui, ma la vita è tutto un cammino che deve portare sempre più ad essere uniti al Signore. Al contrario di separarci da Dio, via via che viviamo, andiamo incontro alla festa ultima dell'amore, della comunione perfetta, della vita del cielo. Allora, non soltanto non diminuisce la gioia col passare degli anni, ma cresce perché sempre più imminente diviene il trionfo di questa comunione d'amore che è la vita del cielo. Di qui ne deriva che il cristiano non solo conosce la gioia, ma la vede crescere giorno per giorno perché non vi è mai nessun motivo per perderla, o anche solo vederla diminuire. Il cammino è un cammino di speranza che cresce; la speranza è in ordine al dono che Dio ci fa e in questo dono, l'anima sperimenta la presenza di Dio: e vibra, e sussulta, si apre, si dilata nell'amore.
...per donarla al mondo
Noi dobbiamo vivere questo. Sapete perché il cristianesimo, fin dalle origini, ha travolto tutte le difficoltà, e le difficoltà c'erano in un clima di persecuzioni, in un mondo pagano ancor più corrotto di quello di oggi; ed ha convertito il mondo in breve tempo? È stato come una marea che è avanzata ed ha inondato tutta la terra, sommergendo ogni cosa: la potenza di Roma, gli eserciti, il potere politico; nulla poteva arrestare l'avanzata cristiana, neppure la sapienza dei Greci. Quale era la forza che travolgeva e conquistava? I miracoli sono un nulla in confronto di quello che è stata la vittoria dei primi cristiani. Usavano forse le armi? Pietro aveva una spada, ma il Signore gli disse subito: "Mettila nel fodero". Che cosa avevano allora? Forse la cultura? No, era povera gente. Che cosa? Nulla! Nulla sul piano umano; non parlo delle virtù soprannaturali. Ma avevano la gioia.
Il mondo è assetato di gioia; il mondo vuole la gioia. E i cristiani l'avevano anche in mezzo alle persecuzioni. Uno dei testi fondamentali e più sicuri degli "Atti dei martiri", che risale al 150 circa, narra la morte di san Carpo. Di che cosa si parla in questi "Atti"? Si dice che i cristiani venivano bruciati vivi, a fuoco lento; eppure erano pieni di gioia anche morendo. È un miracolo tale questa gioia, pur nel tormento, nella privazione di tutto, nell'essere privati di ogni diritto, che ci fa pensare tristemente al cristianesimo di oggi che non riesce neppure a conquistare i nostri figliuoli. Siamo un po' troppo nervosi, abbiamo sempre un volto triste; c'è sempre nebbia in noi, anche se fuori c'è il sole, una nebbia interiore che rende opaca l'anima. Ma come è possibile tutto questo, se Dio è con noi? Come è possibile se Dio ci ama? Come è possibile se a Dio crediamo realmente e ci abbandoniamo a questo amore? Anche se fossimo in fin di vita, non dovremmo che cantare, come san Francesco. Gli disse Frate Elia: "Padre, mi permetto farle un appunto: lei canta sempre, ma la gente che ascolta ne riceve scandalo, perché sa che lei è per morire: quando si va verso la morte, ci aspetta il giudizio di Dio!". "Ma lasciami cantare in pace e vattene" gli rispose il Santo, "come posso non cantare se vado incontro al mio Signore?".
Siamo già in paradiso:
Quanto più abbiamo motivo di lamentarci, tanto più deve crescere in noi la gioia, perché possediamo una vera ricchezza, perché viviamo una vita che il mondo e le cose non possono compromettere. Dio è fedele, Dio è tutto per noi, Dio ci ama. Sì, il paradiso è tutto nostro; l'infinito è tutto nostro. Che volete che sia per noi la vita che il mondo ci può offrire, l'amore degli uomini? Anche se tutto ci mancasse, noi tutto possediamo se Dio è nostro. E Dio è nostro; è tutto per noi. Ricordate la preghiera di san Giovanni della Croce? "Miei sono i cieli, mia è la terra, mia la Madre di Dio, miei gli angeli ed i santi, perché Gesù è tutto mio, è tutto per me". Nel ricevere il Signore non riceviamo già il paradiso? Nel possesso di Dio, non possediamo già un bene immenso, infinito, eterno? Ecco la gioia cristiana. La sicurezza, la certezza, l'esperienza di questa presenza di Dio ci riempie e trabocca su tutto l'universo.
Possediamo il Signore! Dio è con noi! Lo Sposo è con noi, quindi non possiamo digiunare. Nella presenza dello Sposo, tutta la vita è una festa. Non ci sono giorni di lavoro; tutto è feria. Tutto è una festa che continua sempre. Dobbiamo vivere questa gioia tranquilla che ci riempie, ci lievita dentro, ci solleva a Dio e trabocca su quelli che ci sono vicini. Questo è il nostro messaggio.
Si dice che dobbiamo rendere una testimonianza, ma quale testimonianza potremmo rendere a Dio, se non avessimo la gioia? Dio non è forse la vita? Non è forse la beatitudine dei santi stessi? Fintanto che diamo testimonianza con la nostra tristezza, non diamo una testimonianza di Dio. Anche se diamo una testimonianza con le nostre virtù, col nostro impegno, non è ancora una testimonianza di Dio. Dio si fa presente nel cuore dell'uomo principalmente nella sua gioia.
viviamo come i santi...
I santi sono coloro che vivono nella beatitudine stessa.
Io vi chiedo questo: siate dei testimoni della gioia divina, prima nella nostra famiglia in modo che, anche coloro che voi amate e vi sono più vicini imparino da voi quanto dolce e soave sia il conoscere Dio, il vivere con Lui, e quale sia la via per giungere alla vera felicità, quale il cammino che porta alla pace ed alla gioia. Tutti gli uomini cercano la pace e la gioia. Se noi fossimo veramente testimoni della presenza divina, noi saremmo come un faro che illumina tutto, come un centro cui converge ogni anima. Voi lo vedete; basta che sorga un santo ed è un richiamo per tutti. Pensate a quello che è stato padre Pio, a quello che è stato il Santo Curato d'Ars nel secolo passato, a quello che ora è Madre Speranza: gli uomini si accorgono di una presenza divina! Gli uomini convergono a questa gioia ed hanno bisogno di questa pace che vive nel cuore dei santi.
Che meraviglia, se voi vivete con gioia nella presenza di Dio che rende colma la vostra vita interiore, pacifica tutte le vostre potenze, dona una dolcezza indicibile al vostro cuore! Tutta la vostra vita può divenire una testimonianza della presenza divina. Ecco quello che la Comunità vi chiede e vuole da voi; quello che soprattutto gli uomini pretendono da voi.
La carità, come la santità, ha un duplice volto: guarda a Dio e guarda ai fratelli. La vostra vita diviene un dono di amore, da vivere in umiltà, in fedeltà verso il Signore e in dedizione verso i fratelli, i vostri familiari, tanto che, per essi, il vostro volto sia testimonianza del paradiso di Dio che è nel vostro cuore. Ricordate quello che dice santa Elisabetta della Trinità: "Il paradiso è qui, nel vostro cuore". Noi siamo quindi, per gli uomini, il segno del sacramento del Padre. Gli uomini debbono vedere nel nostro sguardo il Signore, la presenza di un mistero, la bellezza spirituale che incanta, che attira, che crea un'atmosfera di stupore e di attenzione che rende l'anima disponibile a Dio.
...per essere rivelatori del Padre!
I santi, non soltanto posseggono il Signore, ma lo donano nella misura che inducono l'anima a questo religioso stupore, a questa attenzione al mistero presente che fa sentire la realtà di un altro mondo ben più vasto e luminoso e vivo, senza più preoccupazioni, dolori, affanni. Liberati improvvisamente da tutto, si trovano nella presenza di Dio. Ecco la testimonianza che il Signore chiede anche a voi, ecco la bellezza che vi offre: è come un fiore che si apre alla luce. Voi dovete averla questa bellezza spirituale che cresce aprendo il cuore a Dio ed accogliendolo: così Egli vive nella vostra vita. Oh, allora, nella presenza di Dio, il vostro sguardo si illumina, il vostro sorriso ha qualcosa di celeste. Tutto il vostro cammino, il vostro vivere diviene segno di un'altra presenza, di un mondo divino.
Questo voi dovete essere.
Con tale pensiero, ritorniamo alla meditazione di stamani: una vita di continua speranza che ci ringiovanisce ogni giorno di più e finisce col trasformarci in Colui che amiamo. L'amore è così: o ci trova simili o ci rende simili. Noi dobbiamo diventare sorgente di pace anche per gli altri, di dolcezza e di amore. Lasciate che il Signore abbia ogni dominio su di voi. Non mettete riserve al suo amore.
"Possiedimi, o Dio, nel tuo amore, nella tua gloria, nella tua volontà, così perfettamente come possiedi te stesso". Se così pregherete e così diverrete, sarete davvero sacramento di Dio.
Comunque, però, è Dio solo che riempie. Anche la presenza dei vostri cari, l'attuazione dei vostri doveri, altro non sono che il segno della presenza di Dio per voi. E in questa presenza voi vi dimenticate di voi stessi, sempre di più, e non vi rimane che Lui: "Ti sposerò".
Ritornerò, dunque, alle parole del profeta Osea. Si diceva che Dio vive in noi nella misura che cresce in noi la speranza, questo desiderio di Lui sempre più vivo. Proprio come dice san Pietro nella Prima Lettera: una "speranza viva" perché è nella speranza che noi viviamo quaggiù sulla terra. Di qui deriva che, invece di invecchiare, si ringiovanisce sempre. E vivendo che cresce in noi la speranza.
...nella continua novità dello Spirito Altra cosa è un desiderio che risponde ad una natura sensibile, che può essere soltanto nel giovane; altra cosa è questo desiderio, questa speranza di Dio che cresce sempre più nell'anima, anche quando il corpo decade. La speranza cresce perché non vai verso la morte; vai verso la vita; non vai verso la fine, vai verso l'amore; non vai verso il buio della tomba, vai verso la luce incommutabile di Dio. L'anima nostra si apre in un senso di sorpresa sempre nuovo. Non lo provate anche voi quando pregate? Un certo senso di stupore si rinnova sempre in noi nel contatto con Dio. Se lo abbiamo conosciuto una volta, la nostra vita spirituale diviene una continua sorpresa. Ed è proprio questa sorpresa che denota la giovinezza. Chi è capace di meraviglia e di stupore? Il bambino e il poeta. Chi vive la vita religiosa, vive in questo continuo stupore di essere amato, amato per nulla.
Ecco il crescere della speranza, ecco il crescere di questa sorpresa dell'anima nel sentirsi sempre nuova nel contatto di Dio. Nella misura che cresce in te la speranza, cresce il dono di Dio; ed Egli, l'Infinito, si dona totalmente e non si può dividere: scava in te abissi sempre più profondi perché tu possa sempre più riceverlo. E come può scavare in te questi abissi? Come può donarti questa capacità sempre nuova e sempre più grande, del possesso divino? Attraverso la speranza che cresce e che diviene la vera bellezza della vita presente.
Ecco perché, più che chiedere il possesso, chiedete la speranza che rende più grande la fame. Tanto mangi, tanto più ti viene fame; tanto più bevi, tanto più cresce la tua sete di ricevere il tuo Dio. Questo fa la speranza cristiana, questo fa il dono di Dio nella vita presente. Cresce in noi il desiderio di Dio nella misura che Egli si dona: tutta la vita non è che un dilatarsi dell'anima ad accogliere sempre più il dono dell'amore infinito.
E così la vita spirituale: un crescere continuo nel desiderio, nella speranza, nell'amore. Possiamo giudicare da questo se viviamo o non viviamo. Nella vita umana si può rimanere fermi, nella vita spirituale no: si vive soltanto nella misura che si cresce. È un indice preciso, perciò, per capire se viviamo veramente in Dio. Non è il crescere nelle pratiche di pietà, nell'aumentare le opere buone, nel prolungare le preghiere, nel moltiplicare i sacrifici: si tratta di crescere nell'amore, nel desiderio, nella volontà di donarsi a Dio, di accogliere Dio, senza più riposo. Questo dobbiamo vivere.
Solamente Dio è...
Come è meravigliosa la vita se cresce in noi continuamente questo desiderio e questa speranza di Dio! E che giovinezza fiorisce in questo crescere continuo delle nostre capacità di accogliere in noi il Signore! In questo cammino sono giovani soltanto quelli che da tanti anni camminano. Tanto più vanno avanti, tanto più l'anima, liberata da ogni vita parassitaria, liberata da tutto quello che nel giovane è motivo di dissipazione, si ferma in un solo amore e in questo soltanto si dilata e respira, nella luce di Dio, nel tendere a Lui solo. Quante sono le persone anziane che vivono soltanto di Dio, di semplicità, di amore, di pace! Non hanno più dispersioni, neanche, forse, nel lavoro; le compiono altri, e sono messe da parte per far posto ai giovani, anche se sono amate. Quale sarebbe la vita di queste anime se non avessero Dio? Sarebbe la desolazione, il vuoto, l'amarezza, la tristezza della vita che si spegne, la paura della morte. Invece, se un'anima è religiosa, aperta alla grazia divina, in una vita pura, semplice, serena, piena di Dio, è veramente il sacramento di una presenza divina.
Io credo siano queste le anime più grandi davanti al Signore, quelle che salvano la Chiesa. Non sono i cardinali che possono dare il voto al Papa ma se mai i cardinali che hanno 90 anni e che vivono nascosti in un pensionato, nel silenzio, messi fuori ormai da tutto. E questo può essere vero anche per noi. Ma allora Dio riempie tutta la vita. Queste anime non si preoccupano di quello che è umano, non posseggono nulla tranne il Signore.
...e sarà il contenuto della nostra vita
È proprio questo che chiede il Signore quando, chiamandoci alla sua intimità, ci dice questa parola che è, semplicemente, un futuro: "Ti sposerò". Tutta la vita è tesa verso il futuro, verso un futuro che trova poi il suo adempimento nella presenza pura dell'eternità. Questo futuro rimane per te aperto; è un futuro che è un invito, è una forza che ti porta sempre più verso Dio; nella fedeltà, nella benevolenza, nell'amore.
Che cosa possiamo dare a Dio? E Lui che è fedele, benevolo verso di noi; è Lui che dimentica tutto il nostro passato e non ha per noi altro che amore; è Lui che si dona tutto a noi e riempie il nostro vuoto. E noi non abbiamo altro da offrirgli che una pura capacità, affinché Egli la riempia. Egli non può davvero ottenere nulla da noi; Egli non ci chiede nulla. Soltanto il nostro nulla è proporzionato al tutto di Dio. Ed è proprio nell'affondare nel proprio nulla che l'anima deve aprirsi ad una speranza vitale. Apriamoci tutti a questa promessa di gioia, e questa promessa di amore che il Signore ci fa.
Dobbiamo vivere questo.
Il profeta Osea ci dice: "Ti sposerò". Sul piano umano il rimandare le cose dà fastidio, ma sul piano divino il rimandare conviene ed è bello perché ti rende sempre più creditore di Dio. Egli ti deve dare ancora di più; tanto ti darà quanto più lunga sarà stata l'attesa, quanto più ansioso sarà stato il desiderio, quanto più vasta sarà stata la tua speranza nell'accogliere il suo dono. Quello che Egli ci dà, ce lo dà soltanto perché cresca in noi il desiderio e la speranza di riceverlo ancora. Viviamo in questo continuo processo di una speranza che cresce, di un desiderio che sempre più ci dilata per ricevere Dio.
"Ti sposerò". Ecco quello che ci dice oggi il profeta Osea.
Seconda meditazione
Essere con lo sposo...
Ricordate il Vangelo di stamani? Praticamente abbiamo fatto due meditazioni sulla Prima Lettura presa dal profeta Osea: il Signore guarda al suo popolo come lo sposo alla sposa: "Ecco, la attirerò a me, e la condurrò nel deserto, e parlerò al suo cuore... Ti farò mia sposa per sempre nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore."
Ma ho detto anche che il Vangelo di stamani ha un rapporto stretto con la Prima Lettura. Infatti il tema fondamentale delle due letture è l'alleanza dell'uomo con Dio, veduta come un'alleanza di nozze, come un mistero nuziale, e inoltre perché in queste nozze quello che l'anima vive è, prima, una grande speranza che dilata l'anima stessa, la certezza dell'amore divino, e poi, come si diceva durante la Messa, questa intimità col Signore che noi dobbiamo conservare gelosamente: un raccoglimento, un'attenzione, una disponibilità a Lui che ci ama, che dona alla nostra vita un'atmosfera di serenità, di pace e di gioia. In fondo, è proprio questa gioia l'argomento fondamentale del Vangelo.
Che cosa dice il Vangelo? Descrive i farisei che rimproverano Gesù perché i suoi discepoli non fanno i digiuni che la tradizione aveva stabilito: proprio i discepoli, che vivevano più vicini al Signore, non facevano i digiuni! E Gesù, rimprovera forse i discepoli? Oh. no! Che cosa Egli dice? "Non si digiuna fintanto che lo sposo è presente".
...come lo erano i discepoli...
E allora, se noi viviamo in questo raccoglimento, se noi viviamo in questa disponibilità onde ci apriamo ad accogliere continuamente Dio che ci ama: siamo davvero con i discepoli. Non solo san Marco ci conferma questo, ma anche san Giovanni nel Quarto Vangelo: alle Nozze di Cana quelli che non sono discepoli di Gesù si scandalizzano. Come è possibile pensare ad un Messia, ad un salvatore il quale, invece di far sì che queste anime religiose abbiano il viso lungo tre palmi, nella penitenza e nel digiuno, abbiano ad avviarsi alle nozze con tanta gioia? Abbiano a bere il vino buono alla fine del banchetto, il vino preparato proprio da Gesù? Lo scandalo è davvero grande!
Gesù vuole le gioia. L'Evangelista san Giovanni ci vuole persuadere di questo, perché questa è l'intenzione del Signore: portare la gioia.
Il Nuovo Testamento si differenzia dal Vecchio Testamento e lo mostra sempre di più nel corso dello svolgimento dei fatti. Lo vediamo già nell'intimità che i discepoli hanno col Maestro. col Figlio di Dio. Dio, finalmente, si è unito a noi per sempre. E non sarà mai infedele. Se Egli si è donato, se Egli ci ha scelti, se è venuto a noi e noi ci siamo consacrati a Lui, non possiamo avere più alcun timore. Egli rimane con noi ed è la nostra gioia, la nostra vita.
...nella gioia...
Uno dei doveri fondamentali del cristiano è quello di essere, sempre, nella gioia. Ricordate quello che diceva san Francesco d'Assisi e che ripeteva san Francesco di Sales: "Un santo triste è un triste santo". La santità è sempre unita a questa esperienza di una presenza divina la quale colma la vita, la illumina, la fa sicura. Che cosa volete di più di quello che Dio vi dona, se Dio è con voi? C'è qualche cosa che voi possiate desiderare e che non vi abbia già dato? Che cosa, dunque, s'impone per l'anima?
Certo, la nostra gioia, e lo dice il Vangelo di oggi, nasce dal fatto che lo Sposo è con noi. Questo dovete tenerlo presente. E non si digiuna fintanto che lo Sposo è con noi. Una volta che noi ci siamo consacrati a Lui, la nostra vita non può conoscere che la gioia, una gioia sempre più pura, sempre più grande, perché, non solo la vita non ci allontana da Lui, ma la vita è tutto un cammino che deve portare sempre più ad essere uniti al Signore. Al contrario di separarci da Dio, via via che viviamo, andiamo incontro alla festa ultima dell'amore, della comunione perfetta, della vita del cielo. Allora, non soltanto non diminuisce la gioia col passare degli anni, ma cresce perché sempre più imminente diviene il trionfo di questa comunione d'amore che è la vita del cielo. Di qui ne deriva che il cristiano non solo conosce la gioia, ma la vede crescere giorno per giorno perché non vi è mai nessun motivo per perderla, o anche solo vederla diminuire. Il cammino è un cammino di speranza che cresce; la speranza è in ordine al dono che Dio ci fa e in questo dono, l'anima sperimenta la presenza di Dio: e vibra, e sussulta, si apre, si dilata nell'amore.
...per donarla al mondo
Noi dobbiamo vivere questo. Sapete perché il cristianesimo, fin dalle origini, ha travolto tutte le difficoltà, e le difficoltà c'erano in un clima di persecuzioni, in un mondo pagano ancor più corrotto di quello di oggi; ed ha convertito il mondo in breve tempo? È stato come una marea che è avanzata ed ha inondato tutta la terra, sommergendo ogni cosa: la potenza di Roma, gli eserciti, il potere politico; nulla poteva arrestare l'avanzata cristiana, neppure la sapienza dei Greci. Quale era la forza che travolgeva e conquistava? I miracoli sono un nulla in confronto di quello che è stata la vittoria dei primi cristiani. Usavano forse le armi? Pietro aveva una spada, ma il Signore gli disse subito: "Mettila nel fodero". Che cosa avevano allora? Forse la cultura? No, era povera gente. Che cosa? Nulla! Nulla sul piano umano; non parlo delle virtù soprannaturali. Ma avevano la gioia.
Il mondo è assetato di gioia; il mondo vuole la gioia. E i cristiani l'avevano anche in mezzo alle persecuzioni. Uno dei testi fondamentali e più sicuri degli "Atti dei martiri", che risale al 150 circa, narra la morte di san Carpo. Di che cosa si parla in questi "Atti"? Si dice che i cristiani venivano bruciati vivi, a fuoco lento; eppure erano pieni di gioia anche morendo. È un miracolo tale questa gioia, pur nel tormento, nella privazione di tutto, nell'essere privati di ogni diritto, che ci fa pensare tristemente al cristianesimo di oggi che non riesce neppure a conquistare i nostri figliuoli. Siamo un po' troppo nervosi, abbiamo sempre un volto triste; c'è sempre nebbia in noi, anche se fuori c'è il sole, una nebbia interiore che rende opaca l'anima. Ma come è possibile tutto questo, se Dio è con noi? Come è possibile se Dio ci ama? Come è possibile se a Dio crediamo realmente e ci abbandoniamo a questo amore? Anche se fossimo in fin di vita, non dovremmo che cantare, come san Francesco. Gli disse Frate Elia: "Padre, mi permetto farle un appunto: lei canta sempre, ma la gente che ascolta ne riceve scandalo, perché sa che lei è per morire: quando si va verso la morte, ci aspetta il giudizio di Dio!". "Ma lasciami cantare in pace e vattene" gli rispose il Santo, "come posso non cantare se vado incontro al mio Signore?".
Siamo già in paradiso:
Quanto più abbiamo motivo di lamentarci, tanto più deve crescere in noi la gioia, perché possediamo una vera ricchezza, perché viviamo una vita che il mondo e le cose non possono compromettere. Dio è fedele, Dio è tutto per noi, Dio ci ama. Sì, il paradiso è tutto nostro; l'infinito è tutto nostro. Che volete che sia per noi la vita che il mondo ci può offrire, l'amore degli uomini? Anche se tutto ci mancasse, noi tutto possediamo se Dio è nostro. E Dio è nostro; è tutto per noi. Ricordate la preghiera di san Giovanni della Croce? "Miei sono i cieli, mia è la terra, mia la Madre di Dio, miei gli angeli ed i santi, perché Gesù è tutto mio, è tutto per me". Nel ricevere il Signore non riceviamo già il paradiso? Nel possesso di Dio, non possediamo già un bene immenso, infinito, eterno? Ecco la gioia cristiana. La sicurezza, la certezza, l'esperienza di questa presenza di Dio ci riempie e trabocca su tutto l'universo.
Possediamo il Signore! Dio è con noi! Lo Sposo è con noi, quindi non possiamo digiunare. Nella presenza dello Sposo, tutta la vita è una festa. Non ci sono giorni di lavoro; tutto è feria. Tutto è una festa che continua sempre. Dobbiamo vivere questa gioia tranquilla che ci riempie, ci lievita dentro, ci solleva a Dio e trabocca su quelli che ci sono vicini. Questo è il nostro messaggio.
Si dice che dobbiamo rendere una testimonianza, ma quale testimonianza potremmo rendere a Dio, se non avessimo la gioia? Dio non è forse la vita? Non è forse la beatitudine dei santi stessi? Fintanto che diamo testimonianza con la nostra tristezza, non diamo una testimonianza di Dio. Anche se diamo una testimonianza con le nostre virtù, col nostro impegno, non è ancora una testimonianza di Dio. Dio si fa presente nel cuore dell'uomo principalmente nella sua gioia.
viviamo come i santi...
I santi sono coloro che vivono nella beatitudine stessa.
Io vi chiedo questo: siate dei testimoni della gioia divina, prima nella nostra famiglia in modo che, anche coloro che voi amate e vi sono più vicini imparino da voi quanto dolce e soave sia il conoscere Dio, il vivere con Lui, e quale sia la via per giungere alla vera felicità, quale il cammino che porta alla pace ed alla gioia. Tutti gli uomini cercano la pace e la gioia. Se noi fossimo veramente testimoni della presenza divina, noi saremmo come un faro che illumina tutto, come un centro cui converge ogni anima. Voi lo vedete; basta che sorga un santo ed è un richiamo per tutti. Pensate a quello che è stato padre Pio, a quello che è stato il Santo Curato d'Ars nel secolo passato, a quello che ora è Madre Speranza: gli uomini si accorgono di una presenza divina! Gli uomini convergono a questa gioia ed hanno bisogno di questa pace che vive nel cuore dei santi.
Che meraviglia, se voi vivete con gioia nella presenza di Dio che rende colma la vostra vita interiore, pacifica tutte le vostre potenze, dona una dolcezza indicibile al vostro cuore! Tutta la vostra vita può divenire una testimonianza della presenza divina. Ecco quello che la Comunità vi chiede e vuole da voi; quello che soprattutto gli uomini pretendono da voi.
La carità, come la santità, ha un duplice volto: guarda a Dio e guarda ai fratelli. La vostra vita diviene un dono di amore, da vivere in umiltà, in fedeltà verso il Signore e in dedizione verso i fratelli, i vostri familiari, tanto che, per essi, il vostro volto sia testimonianza del paradiso di Dio che è nel vostro cuore. Ricordate quello che dice santa Elisabetta della Trinità: "Il paradiso è qui, nel vostro cuore". Noi siamo quindi, per gli uomini, il segno del sacramento del Padre. Gli uomini debbono vedere nel nostro sguardo il Signore, la presenza di un mistero, la bellezza spirituale che incanta, che attira, che crea un'atmosfera di stupore e di attenzione che rende l'anima disponibile a Dio.
...per essere rivelatori del Padre!
I santi, non soltanto posseggono il Signore, ma lo donano nella misura che inducono l'anima a questo religioso stupore, a questa attenzione al mistero presente che fa sentire la realtà di un altro mondo ben più vasto e luminoso e vivo, senza più preoccupazioni, dolori, affanni. Liberati improvvisamente da tutto, si trovano nella presenza di Dio. Ecco la testimonianza che il Signore chiede anche a voi, ecco la bellezza che vi offre: è come un fiore che si apre alla luce. Voi dovete averla questa bellezza spirituale che cresce aprendo il cuore a Dio ed accogliendolo: così Egli vive nella vostra vita. Oh, allora, nella presenza di Dio, il vostro sguardo si illumina, il vostro sorriso ha qualcosa di celeste. Tutto il vostro cammino, il vostro vivere diviene segno di un'altra presenza, di un mondo divino.
Questo voi dovete essere.
Con tale pensiero, ritorniamo alla meditazione di stamani: una vita di continua speranza che ci ringiovanisce ogni giorno di più e finisce col trasformarci in Colui che amiamo. L'amore è così: o ci trova simili o ci rende simili. Noi dobbiamo diventare sorgente di pace anche per gli altri, di dolcezza e di amore. Lasciate che il Signore abbia ogni dominio su di voi. Non mettete riserve al suo amore.
"Possiedimi, o Dio, nel tuo amore, nella tua gloria, nella tua volontà, così perfettamente come possiedi te stesso". Se così pregherete e così diverrete, sarete davvero sacramento di Dio.
U.S.F.P.V.
© Divo Barsotti
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cioè,
Perché Dio divenga reale per noi bisogna che le cose non abbiano più un dominio troppo grande su di noi. Ci vuole,
un certo raccoglimento interiore.
quinta-feira, 4 de julho de 2013
ENTRETIENS et LETTRES DU FRERE LAURENT SUR LA PRESENCE DE DIEU
ENTRETIENS et LETTRES
du
FRERE LAURENT
SUR
LA PRESENCE DE DIEU
PRESENTATION (*)
du
FRERE LAURENT
SUR
LA PRESENCE DE DIEU
PRESENTATION (*)
L’auteur de ces Lettres est Nicolas Hermann de Lorraine, le "Frère Laurent" des Carmes Déchaussés, à Paris.
Le premier éditeur, n’ayant pas retrouvé l’original de ces Lettres, les traduisit d’après une version anglaise. De là le texte ici reproduit.
Les Entretiens paraissent avoir été conservés par M. Beaufort, grand Vicaire de l’Evêque de Chalons, sur la recommandation duquel ils firent publiés. (C’est le Cardinal de Noailles, devenu archevêque de Paris en 1695). Les Entretiens sont réimprimés d’après une édition de 1694, qui existe à la Bibliothèque Nationale de Paris.
(*) Ces textes sont reproduits d'après une plaquette (non datée) publiée par "Les VEILLEURS" Tiers Ordre Protestant
*
* *
ENTRETIENS
Premier entretien
La première : fois que je vis le frère Laurent, il me dit que Dieu lui avait fait que, grâce singulière dans sa conversion, étant encore dans le monde âgé de dix-huit ans. Qu'un jour, en hiver regardant un arbre dépouillé de ses feuilles, et considérant que quelque temps après ces feuilles paraîtraient de nouveau, puis des fleurs et des fruits, il reçut une haute vue de la providence et de la puissance de Dieu, qui ne s'est jamais effacée de son âme : que cette vue le détacha entièrement du monde, et lui donna un tel amour pour Dieu qu'il pouvait dire s'il était augmenté, depuis plus de quarante ans qu'il avait reçu cette grâce.
Qu'il avait été laquais de. M. De Fieubert, le trésorier de l'Epargne, et était un gros lourdaud qui cassait tout. Qu'il avait demande d'entrer en religion, croyant qu'on l'écorcherait pour les lourdises et fautes qu'il y ferait, et par la sacrifier à Dieu sa vie et tout son plaisir, mais que Dieu l'avait trompé, n'y ayant rencontré que de la satisfaction.
Qu'il f allait se donner entièrement et en pur abandon à Dieu, pour le temporel et le spirituel, et prendre son contentement dans l'exécution de sa volonté, soit qu'il nous conduisit par les souffrances ou par les consolations ; que tout devait être égal a celui qui était vraiment abandonné. Qu'il fallait de la fidélité dans les aridités et dans les froideurs de l'âme, par où Dieu éprouvait notre amour pour lui.
Que c'était
là ou nous faisions les bons actes de résignation et d'abandon, dont un seul
faisait souvent faire beaucoup de chemin.
Que pour
arriver à s'abandonner à Dieu autant qu'Il le désirait de nous, il fallait
veiller attentivement sur tous les mouvements. De l'âme qui se mêlent aussi bien
aux choses spirituelles qu'aux plus grossières ; que Dieu donnait lumière pour
cela a ceux qui avaient le véritable désir d'être à lui, que si j'avais ce
dessein, je pouvais le demander quand je voudrais, sans crainte de l'importuner,
que sans cela je ne devais point Le venir voir.
***
Deuxième Entretien
Deuxième Entretien
Qu'il s'était toujours gouverné par amour, sans préoccupation personnelle. Mais qu'ayant pris pour fin de toutes ses actions de les faire toutes pour l'amour de Dieu il s'en était bien trouvé. Qu'il était content quand il pouvait lever de terre une paille pour l'amour de Dieu, le cherchant Lui seul purement et non pas autre chose, non pas même ses dons.
Qu'il avait
eu une très grande peine d 'esprit, croyant certainement qu'il était damné ; que
tous les hommes du monde ne lui auraient pu ôter cette opinion, mais qu'il avait
sur cela raisonné en cette manière : Je ne suis venu en religion que pour
l'amour de Dieu, je n'ai taché à agir que pour Lui : que je sois damné ou sauvé,
je veux toujours continuer à agir purement pour l'amour de Dieu. J'aurai au
moins cela de bon, que jusqu'à la mort je ferai ce qui sera en moi pour l'aimer.
"
Que cette
peine lui avait duré quatre ans pendant lesquels il avait beaucoup souffert.
Mais qu'enfin il avait vu que cette peine venait d'un manque de foi, et que
depuis lors il avait vécu dans une parfaite liberté et une joie continuelle ;
qu'il mettait ses péchés entre Dieu et lui, comme pour lui dire qu'il ne
méritait pas ses grâces, mais que cela n'empêchait pas Dieu de l'en combler.
Qu'il fallait dans le commencement se former l'habitude de converser continuellement avec Dieu, de lui rapporter tout ce que l'on faisait ; mais qu'après un peu de soin on se sentait réveillé par Son amour sans aucune peine.
Qu'il fallait dans le commencement se former l'habitude de converser continuellement avec Dieu, de lui rapporter tout ce que l'on faisait ; mais qu'après un peu de soin on se sentait réveillé par Son amour sans aucune peine.
Qu'il
s'attendait bien qu'après le bon temps que Dieu lui donnait, il aurait son tour
et sa part des peines et des souffrances; mais qu'il ne s'en mettait pas en
peine, sachant bien que, ne pouvant rien par lui-même, Dieu ne manquerait pas de
lui donner la force de les supporter.
Qu'il
s'adressait toujours a Dieu quand il se présentait quelque vertu à pratiquer, en
lui disant : a mon Dieu, je ne saurais faire cela si vous ne me le faites faire
et qu'il lui donnait aussitôt de la force et au delà.
Que quand il
avait manqué il ne faisait autre chose que d'avouer sa faute, et dire à Dieu: "
Je ne ferai jamais autre chose, si vous me laissez faire ; puisque je suis
absolument décidé à vous suivre c'est à Vous à m'empêcher de tomber et à
corriger ce qui n'est pas bien " Qu'après cela il ne se mettait point en peine
de sa faute, assuré qu'il était du pardon de Dieu.
Qu'il fallait
agir très simplement avec Dieu et lui parler bonnement, en lui demandant secours
dans les choses à mesure qu'elles arrivaient, que Dieu ne manquait pas de le
donner, et qu'il l'avait souvent éprouvé.
Qu'on lui
avait dit depuis peu de jours d 'aller faire la provision du vin de Bourgogne,
ce qui lui était fort pénible, parce qu'outre qu'il n'avait point d'adresse pour
les affaires, il était estropié d'une jambe et ne pouvait marcher sur le bateau
qu'en se roulant sur les tonneaux, mais qu'il s'en mettait point en peine, non
plus que de toute son emplette de vin ; qu'il disait à Dieu que c'était Son
affaire, après quoi il trouvait que tout se faisait et se faisait bien.
Qu'il avait
été envoyé en Auvergne l'année précédente pour la même chose qu'il ne peut dire
comment la chose se fit, que ce ne fut point lui qui le fit et qu'elle se trouva
fort bien faite.
De même en la
cuisine, qui était sa plus grande aversion naturelle ; s'étant accoutumé a y
tout faire pour l'amour de Dieu, et en lui demandant en toute occasion sa grâce
pour faire son ouvrage, il y avait trouvé une très grande facilité pendant
quinze ans qu'il y avait été occupé.
Qu'il était
alors à la savaterie : ou étaient ses délices, mais qu'il était prêt à quitter
cet emploi comme les autres, ne faisant que se réjouir partout en faisant de
petites choses pour l'amour de Dieu
Que le temps
de l'oraison n'était point pour lui différent d'un autre : qu'il faisait ses
retraites quand le Père prieur lui disait de les faire, mais qu'il ne les
désirait et ne les demandait pas. Son plus grand travail ne le détournant point
de Dieu. Sachant qu'il fallait aimer Dieu en toutes choses et travaillant a
s'acquitter de ce devoir; qu'il n'avait pas besoin de directeur, mais bien d'un
confesseur pour recevoir l'absolution de ses fautes qu'il faisait. Qu'il était
très sensible à ses fautes, mais ne se laissait pas décourager par elles, qu'il
les avouait à Dieu et ne plaidait point contre Lui pour les excuser, mais
qu'après, il rentrait en paix dans son exercice ordinaire d'amour et
d'adoration.
Que dans ses
peines il n'avait consulté personne ; mais qu'avec les lumières de la foi,
sachant seulement que Dieu était présent, il se contentait d'agir pour lui,
arrive ce que pourra, avec le seul désir de Lui plaire.
Que les
pensées futiles gâtaient tout : que le mal commençait par là ; mais qu'il
fallait être soigneux de les rejeter aussitôt que nous apercevons qu'elles
étaient point nécessaires à notre occupation présente ou à notre salut, pour
recommencer notre entretien avec Dieu où nous étions bien.
Qu'il avait
souvent passé toute son oraison, dans les commencements à rejeter les pensées
vaines et à y retomber : Qu'il n'avait jamais pu faire l'oraison par règle comme
les autres ; que toutes les pénitences et autres exercices n'étaient utiles que
dans la mesure ou ils servaient à amener l'union avec Dieu par amour : qu'après
y avoir bien pensé, il avait trouve qu'il était encore plus court d’y aller tout
droit par un exercice continuel d'amour, en faisant tout pour l'amour de Dieu.
Qu'il fallait
faire une grande différence entre les actions de l'entendement et celles de la
volonté, que les premières étaient : peu de chose, et les autres tant qu'il n'y
avait : qu'à aimer et à se réjouir avec Dieu que quand nous ferions toutes les
pénitences possibles, si elles étaient séparées de l'amour, elles ne serviraient
pas à effacer un seul péché. Qu'il fallait en attendre la rémission du sang de
Jésus-Christ, sans s'inquiéter, en travaillant seulement à l'aimer de tout son
cœur : que Dieu semblait choisir ceux qui avaient été les plus grands pécheurs
pour leur faire les plus grandes grâces, plutôt qu'à ceux qui étaient demeurés
dans l'innocence, parce que cela montrait davantage sa bonté.
***
Troisième Entretien
Il m'a dit que le fondement de la vie spirituelle en lui, avait été une haute idée et estime de Dieu en soi, laquelle ayant une fois bien conçue, il n'avait eu d'autre soin que de rejeter fidèlement dans le commencement toute autre pensée, pour faire toutes ses actions pour l'amour de Dieu. Que, à quelque fois un long temps sans y penser, il ne s’en troublait point. Mais qu’après avoir avoué à Dieu sa misère il en revenait avec d’autant plus de confiance à Dieu, qu’il se trouvait misérable de l’oublier.
Que la
confiance que nous avions en Dieu l’honorait beaucoup, et nous attirait de
grandes grâces.
Qu’il était
impossible, non seulement que Dieu trompât, mais même qu'Il laissât longtemps
souffrir une âme tout abandonnée à Lui, et résolue de tout endurer pour Lui.
Qu'il était parvenu a n'avoir plus de pensée que de Dieu. Qu'il avait si souvent
fait l'expérience du prompt secours de Dieu en toute occasion, que lorsqu'il
avait quelque affaire extérieure, il n'y pensait point par avance, mais que dans
le temps nécessaire à l'action, il trouvait en Dieu comme dans un clair miroir
ce qu'il était nécessaire qu'il fit pour le temps présent Que depuis quelque
temps, il avait agi de la sorte sans aucun soin anticipé ; qu'avant cette
expérience du prompt secours de Dieu dans ses affaires, il y employait sa
prévoyance, Qu'il était bien plus uni à Dieu dans ses occupations ordinaires,
que quand il le quittait pour faire les exercices de la retraite.
Qu'il
s'attendait d'avoir dans la suite quelque grande peine de corps ou d'esprit et
que son pis aller était de perdre Dieu sensiblement qu'il possédait depuis si
longtemps, mais que la bonté de Dieu l'assurait qu'Il ne le quitterait point
absolument et qu'Il lui donnerait la force de supporter le mal Qu'il permettrait
de lui arriver; avec cela il ne craignait rien et n’avait besoin de communiquer
de son âme avec personne. Que quand il l'avait voulu faire, il en était toujours
sorti plus embarrassé, et que, se sachant prêt à perdre sa vie pour l'amour de
Dieu, il ne redoutait pas le danger; que l'abandon entier a Dieu était la voie
sure et dans laquelle on avait toujours lumière pour se conduire.
Qu'il fallait
être fidèle à agir et à se renoncer dans le commencement, mais qu’après cela il
n'y avait plus que contentements indicibles. Que dans les difficultés il n'y
avait qu’à recourir a Jésus Christ et lui demander Sa grâce, avec laquelle tout
devenait facile.
Que l'on
s’arrêtait aux pénitences et exercice particuliers, en laissant l'amour qui est
la fin ; que cela se reconnaissait bien aux œuvres et était la cause de ce que
l'on voyait si peu de vertu solide.
Qu'il ne
fallait ni finesse ni science pour aller à Dieu, mais seulement un cœur résolu
de ne s'appliquer qu'à Lui ou pour Lui et de n'aimer que Lui.
***
Quatrième lettre
J’ai reçu aujourd’hui deux livres et une lettre de Sœur*** qui se prépare pour sa profession et qui désire à cette occasion les prières de votre Ordre et les vôtres en particulier. Je vois qu’elle compte beaucoup sur ces prières; je vous prie qu’elle ne soit pas désappointée. Demandez à Dieu qu’elle puisse faire ce sacrifice en vue de son amour seul et avec la ferme résolution de Lui être entièrement consacrée. Je vous enverrai un de ces livres qui traitent de la présence de Dieu, un sujet qui, dans mon opinion renferme toute la vie spirituelle et il me semble que quiconque pratiquera assidûment cette présence de Dieu deviendra bientôt spirituel.
Je sais que
pour la bien pratiquer, le cœur doit être vide de toute autre chose, parce que
Dieu veut posséder notre cœur seul. De même qu’il ne peut le posséder seul que
si nous le vidons tout ce n’est pas lui, de même aussi Il ne peut agir et faire
ce qu’il voudrait que si la place est laissée vacante pour Lui.
Il n’y a pas
au monde de vie plus douce et plus délicieuse qu’une vie de conversation
continuelle avec Dieu : ceux-la seuls la comprennent, qui la pratiquent et en
font l’expérience. Néanmoins, je ne vous conseille pas de la choisir pour ce
motif.
Ce n’est pas
le plaisir que nous devons chercher, dans cet exercice; nous devons le faire par
un principe d’amour et parce que Dieu désire nous avoir.
Si j’étais
prédicateur, je prêcherais, par-dessus, tout, la pratique de la présence de
Dieu; et si j’étais directeur, je la conseillerais à tout le monde, tant je la
crois nécessaire et en même temps facile.
Ah ! si nous
savions combien nous avons besoin de la grâce et de l’assistance de Dieu, nous
ne Le perdrions jamais de vue pas même pour un instant. Croyez-moi prenez
immédiatement une sainte et ferme résolution de ne jamais oublier Dieu
volontairement, et de passer le reste de vos jours dans sa sainte présence,
dépouillé, pour l’amour de Lui, s’Il le juge bon, de toute consolation.
Mettez-vous à
l’oeuvre de tout votre coeur, et si vous le faites comme vous le devez, soyez
assuré que vous en recevrez bientôt les effets. Je vous assisterai de mes
prières, toutes misérables qu’elles soient. Je me recommande aux vôtres et à
celles de votre Ordre, restant leur et, plus particulièrement,
Votre, etc.
Votre, etc.
***
CINQUIEME LETTRE
J’ai reçu de Mme*** les objets que vous lui avez remis pour moi. Je m’étonne que vous ne me donniez pas vos pensées au sujet du petit livre que je vous ai envoyé et que vous devez avoir reçu Je vous prie, appliquez-vous à le mettre en pratique de tout votre; cœur dans vos vieux jours, il vaut mieux tard que jamais.
Je ne puis me
représenter comment des personnes religieuses peuvent vivre satisfaites, sans la
pratique de la présence de Dieu. Pour ma part, je vis retiré avec Lui dans le
fond et le centre de mon âme autant que je le peux ; et tandis que je suis ainsi
avec Lui, je ne crains rien ; mais le moindre écart loin de Lui m’est
insupportable.
Cet exercice
ne fatigue pas beaucoup le corps. Il est cependant bon de le priver quelquefois,
même souvent, de tant de petits plaisirs, innocents, et légitimes en eux-mêmes,
car Dieu ne permettra pas qu’une âme qui veut Lui être entièrement consacrée
trouve d’autres plaisirs qu’en Lui; cela est plus que raisonnable.
Je ne veux
pas dire pour cela que nous devions nous imposer une violente contrainte. Non,
nous devons servir Dieu dans une sainte liberté, nous devons faire notre travail
fidèlement, sans trouble ni inquiétude, ramenant doucement et tranquillement
notre esprit à Dieu, quand nous la surprenons errant loin de Lui.
Il est cependant nécessaire de mettre notre entière confiance en Dieu et de nous défaire de tous soucis, même de quantité de formes particulières de dévotion, bonnes en elles-mêmes, mais dont on se charge souvent mal à propos puisqu’enfin ces dévotions ne sont que des moyens pour arriver à la fin. Si donc, par cet exercice de la présence de Dieu, nous sommes avec Celui qui est notre fin, il nous est inutile de retourner aux moyens; mais nous pouvons continuer avec Lui notre commerce d’amour, demeurant en Sa sainte présence tantôt par un acte de soumission et en toutes les manières que notre esprit pourra inventer.
Il est cependant nécessaire de mettre notre entière confiance en Dieu et de nous défaire de tous soucis, même de quantité de formes particulières de dévotion, bonnes en elles-mêmes, mais dont on se charge souvent mal à propos puisqu’enfin ces dévotions ne sont que des moyens pour arriver à la fin. Si donc, par cet exercice de la présence de Dieu, nous sommes avec Celui qui est notre fin, il nous est inutile de retourner aux moyens; mais nous pouvons continuer avec Lui notre commerce d’amour, demeurant en Sa sainte présence tantôt par un acte de soumission et en toutes les manières que notre esprit pourra inventer.
Ne soyez pas
découragé par la répugnance que vous pouvez rencontrer dans la chair ; vous
devez vous faire violence à vous-même. Au premier abord on pense souvent que
c’est du temps perdu ; mais vous devez continuer et être bien résolu à
persévérer dans ces choses jusqu’à la mort, malgré toutes les difficultés qui
peuvent surgir.
Je me
recommande aux prières de votre Ordre et aux vôtres en particulier Je suis, en
notre Seigneur
Votre, etc.
Votre, etc.
***
Sixième lettre
Je vous plains beaucoup. Ce Sera une grande importance, si vous pouvez laisser le soin de vos affaires à *** et passer le reste de votre vie dans l’adoration de Dieu. Il ne demande pas de grandes choses de nous, simplement que vous vous souveniez de Lui, que vous L'adoriez, que vous Lui adressiez une prière pour obtenir sa grâce ; d’autres fois que vous Lui offriez vos souffrances, ou Lui rendiez grâces pour les faveurs qu’il vous a faites et qu’Il vous fait encore au milieu de vos troubles, que vous vous consoliez enfin auprès de Lui aussi souvent que vous le pouvez.
Elevez votre
coeur vers Lui, même pendant vos repas et quand vous êtes en compagnie. Vous
n’avez pas besoin de crier bien fort ; Il est plus près de nous que nous ne le
pensons, ce n’est pas nécessaire d’être toujours à l'église pour être avec Dieu
; Nous pouvons faire de notre cœur un oratoire dans lequel nous nous retirons
pour nous entretenir avec Lui dans la soumission, l’humilité et l'amour. Tout le
monde peut avoir ces entretiens familiers avec Dieu, les uns plus, les autres
moins ; Il sait ce dont nous sommes capables. Commençons donc. Peut-être qu'Il
n'attend qu'une bonne résolution de notre part. Prenons courage. Nous n’avons
que peu de temps à vivre encore, vous avez bientôt soixante quatre ans et j'en
ai presque quatre-vingt. Vivons et mourons avec Dieu. Les souffrances nous
seront douce et agréables si nous sommes; avec Lui, tandis que les plus grands
plaisirs sans Lui seraient pour nous un cruel châtiment. Qu'Il soit béni pour
tout ! Amen.
Habituez-vous
ainsi peu à peu à L'adorer, à Lui demander Sa grâce, à Lui offrir votre coeur de
temps en temps au milieu de vos occupations et même à tout moment, si vous le
pouvez.
Ne vous tenez
pas toujours scrupuleusement à certaines règles ou à des formes particulières de
dévotion; mais vivez dans la confiance en Dieu et agissez avec amour et
humilité. Vous pouvez compter sur mes pauvres prières, et être assuré que je
suis votre serviteur dans notre Seigneur.
***
Septième lettre
Au sujet des distractions dans la prière.
Vous ne me dites rien de nouveau; vous n'êtes pas le seul à être distrait dans vos prières par vos pensées. Notre esprit est extrêmement vagabond ; mais comme la volonté est la maîtresse de toutes nos facultés, elle doit les rappeler et les ramener à Dieu comme leur dernière fin. Quand notre esprit, faute d'avoir été suffisamment discipliné par le recueillement dans les premiers temps de notre dévotion, a contracté certaines mauvaises habitudes de distraction et de dissipation, il est très difficile de les vaincre, et ordinairement elles nous entraînent, même contre notre volonté vers les choses de la terre.
Je crois
qu'un remède à cela est de confesser nos fautes et de nous humilier devant Dieu.
Je ne vous conseille pas d'user d'une grande multiplicité de paroles dans vos
prières beaucoup de paroles et de longs discours étant souvent une occasion de
distraction. Tenez vous en prière devant Dieu, comme un mendiant muet et
paralytique devant la porte d'un riche. Que votre premier soin soit de maintenir
votre esprit en la présence du Seigneur. Si parfois il erre et s'égare loin de
Lui, ne vous en faites pas trop de soucis, le trouble et l'inquiétude ne servent
qu'à distraire l'esprit plutôt qu'à le recueillir; la volonté doit simplement le
ramener à Dieu, et si vous persévérez ainsi, Dieu aura pitié de vous.
Un sûr moyen
d'avoir, au temps de la prière, un esprit tranquille et recueilli, est de ne pas
le laisser errer à l'aventure en tout temps, vous devriez le garder toujours
strictement en la présence de Dieu ; alors, accoutumé à penser à Lui souvent,
vous trouverez facile de garder votre esprit calme au moment de la prière, ou du
moins de le rappeler, s'il se dissipe.
Je vous ai
déjà dit, au long, dans mes précédentes lettres, les avantages que nous pouvons
retirer de cette pratique de la présence de Dieu ; mettons nous à cela
sérieusement et prions l'un pour l'autre;
Votre, etc.
Votre, etc.
***
Huitième lettre
L'incluse est une réponse à la lettre que j'ai reçue de ***; ayez la bonté de la lui remettre. Elle me paraît remplie de bonne volonté, mais elle voudrait aller plus vite que la grâce. On ne devient saint en un jour. Je vous la recommande. Nous devons nous aider les uns les autres par nos conseils et notre bon exemple. Vous m'obligerez en me donnant de ses nouvelles de temps en temps et en me disant si elle est bien fervente et obéissante.
Rappelons
nous ainsi que notre seul devoir dans cette vie est de plaire à Dieu, et qu'en
dehors de cela tout n'est que folie et vanité. Vous et moi avons vécu environ
quarante ans dans la religion (de la vie monastique).
Avons-nous
employé ces années à aimer et à servir Dieu, qui nous a appelés à cet état et
pour cette fin ? Je suis rempli de honte et de confusion, quand je réfléchis
d'une part aux grandes faveurs que Dieu m'a faites et continue à me faire,
d’autre part au mauvais usage que j'en ai fait et à mon peu d’avancement, dans
la perfection.
Puisque dans
sa miséricorde Il nous donne encore un peu de temps, mettons-nous sincèrement à
l'œuvre, rachetons le temps perdu, retournons avec une pleine assurance à ce
Père des miséricordes qui est toujours prêt à nous recevoir avec affection.
Renonçons, renonçons généreusement, par amour pour Lui, à tout ce qui n'est pas
Lui ; Il est digne d'infiniment plus. Pensons à Lui constamment. Mettons toute
notre confiance en lui. Je ne doute pas que nous n'en ayons bientôt les effets
en recevant l'abondance de sa grâce, par laquelle nous ne pouvons tout et sans
laquelle nous ne pouvons rien que pécher.
Nous ne
pouvons échapper aux dangers qui abondent dans La vie, sans le secours actuel et
constant de Dieu ; demandons le donc constamment. Comment pouvons nous Le prier
sans être avec Lui ? Et comment pouvons-nous être avec Lui sans penser à Lui
souvent. Et comment pouvons nous penser à Lui souvent si ce n'est en formant une
sainte habitude ?
Vous me direz
que je répète toujours la même chose. C'est vrai, car c'est la méthode la
meilleure et la plus facile que je connaisse ; et, comme je n'en emploie pas
d'autres, je la conseille à tout le monde. Nous devons connaître avant de
pouvoir aimer. Pour connaître Dieu, nous devons souvent penser à Lui et quand
nous L'aimerons, nous penserons aussi à Lui souvent, car notre coeur sera là où
est notre trésor. C'est là un argument qui mérite bien notre considération.
Je suis votre, etc.
Je suis votre, etc.
***
Neuvième lettre
J'ai eu beaucoup de peine à me décider à écrire et maintenant, je le fais purement parce que vous et Mme *** le désirez. Veuillez mettre l'adresse sur la lettre et la lui envoyer. Je suis très heureux de la confiance que vous avez en Dieu ; je désire qu'Il l'augmente en vous de plus en plus ; nous ne pouvons en avoir trop dans un ami si bon et si fidèle qui ne nous abandonnera ni dans ce monde ni dans l'autre.
Si M. ***
fait son profit de la perte qu'il a éprouvé et met toute sa confiance en Dieu,
Dieu lui donnera bientôt un autre ami meilleur encore. Il dispose des coeurs
comme il lui plaît.
Peut-être M.
*** était-il trop attaché à celui qu'il a perdu. Nous devons aimer nos amis,
mais sans empiéter sur l'amour pour Dieu, qui doit occuper la première place.
Rappelez-vous, je vous prie, ce que je vous
ai recommandé, c'est-à-dire de penser souvent à Dieu, de jour, de nuit, dans vos
occupations et même dans vos moments de délassement, Il est; toujours près de
vous et avec vous. Ne Le laissez pas seul. Vous n'oseriez pas laisser seul un
ami qui viendrait vous visiter : alors, pourquoi Dieu devrait-il être négligé ?
Ne L'oubliez donc pas, mais pensez à Lui souvent, adorez-Le continuellement
vivez et mourez pour Lui ; c'est la glorieuse occupation d'un chrétien. Au
reste, c'est là notre possession ; si nous ne le savons pas, nous devons
l'apprendre. Je m'efforcerai de vous aider de mes prières. Je suis en notre
Seigneur, Votre, etc.
***
Dixième lettre
Au sujet de la maladie
Je ne prie pas pour que vous soyez délivré de vos souffrances ; mais je prie Dieu sincèrement qu’Il vous donne la force et la patience pour les supporter aussi longtemps qu’Il lui plaira. Fortifiez-vous en Celui qui vous tient lié à la Croix. Il vous déliera quand Il le jugera bon. Heureux ceux qui souffrent avec Lui ! Accoutumez-vous à souffrir de cette manière, et cherchez en Lui la force d’endurer autant et aussi longtemps qu’Il le jugera nécessaire pour vous.
Les gens du
monde ne comprennent pas ces vérités et on ne peut s’en étonner, car ils
souffrent comme des mondains et non comme des chrétiens. Ils considèrent la
maladie comme une souffrance pour la chair et non comme une faveur de Dieu ; et
ne la voyant qu’à cette lumière, ils n’y trouvent rien que chagrin et détresse.
Mais ceux qui reçoivent la maladie de la main de Dieu et la considèrent comme
l’effet de Sa miséricorde et le moyen qu’Il emploie pour leur salut, ceux-là y
trouvent ordinairement une grande douceur et une réelle consolation.
J’aimerais
que vous puissiez vous convaincre que Dieu est souvent (dans un certain sens)
plus près de nous, et plus réellement présent avec nous, dans la maladie que
dans la santé. Ne comptez sur aucun autre médecin, car, selon moi, Il se réserve
de vous guérir Lui-même. Mettez donc toute votre confiance en Lui et vous
recevrez bientôt les effets dans votre guérison, guérison que nous retardons
souvent, en mettant plus de confiance dans les remèdes qu’en Dieu.
Quelques
remèdes que vous preniez, ils n’agiront que dans la mesure où Il le permettra.
Quand la souffrance vient de Dieu, Lui seul peut la guérir. Il envoie souvent
les maladies du corps pour nous sauver de celles de l’âme. Consolez vous dans le
souverain médecin de l’âme et du corps. Soyez content de la condition dans
laquelle Dieu vous place. Tout heureux que vous me croyiez, je vous envie. Les
peines et les souffrances seraient un paradis pour moi, si je souffrais avec mon
Dieu ; et les plus grands plaisirs seraient un enfer, si je pouvais les goûter
sans Lui ; toute ma consolation serait de souffrir quelque chose pour Lui.
Je dois aller
vers Dieu dans peu de temps. Ce qui me réjouit dans cette vie, c’est que je Le
vois par la foi ; et je Le vois de telle manière que je pourrais dire parfois :
« Je ne crois plus, mais je vois ». Je sens ce que la foi nous enseigne et, dans
cette assurance et cette pratique de la foi, je veux vivre et mourir avec Lui.
Persévérez
donc toujours avec Dieu : c’est le seul secours et la seule consolation pour
votre affliction, Je Le supplierai d’être avec vous. Je vous présente mes
salutations.
Votre, etc.
Votre, etc.
***
Onzième lettre
À un malade
Si nous étions mieux accoutumés à pratiquer la présence de Dieu, toute maladie corporelle serait par là beaucoup adoucie Dieu souvent permet que nous souffrions un peu pour purifier nos âmes et nous obliger à persévérer avec lui.
Prenez
courage, offrez-Lui constamment vos douleurs, demandez-Lui la force de les
endurer. Surtout, prenez l’habitude de vous entretenir souvent avec Dieu et de
L’oublier le moins possible. Adorez-Le dans vos infirmités, offrez-vous
vous-même à Lui de temps en temps ; et, au fort de vos souffrances, suppliez-Le
humblement et affectueusement (comme un enfant à son père) de vous rendre
conforme à Sa Sainte volonté. J’essaierai de vous aider de mes pauvres
prières.
Dieu a bien
des manières de nous attirer à Lui. Quelquefois, Il se cache de nous ; mais la
foi seule qui ne nous fera pas défaut au moment du besoin doit être notre
soutien et le fondement de notre confiance, laquelle doit être toute en Dieu. Je
ne sais pas comment Dieu en disposera avec moi: je suis toujours heureux. Le
monde entier souffre ; et moi, qui mérite la plus sévère discipline, j’éprouve
une joie si continuelle et si grande que je puis à peine la contenir.
Je
demanderais volontiers à Dieu une part de vos souffrances, si je ne connaissais
ma faiblesse, laquelle est si grande que, s’Il me laissait un instant à
moi-même, je serais le plus misérable des hommes. Et cependant, je ne vois pas
comment Dieu pourrait me laisser, car la foi me donne la conviction qu’Il ne
nous abandonne jamais, tant que nous ne l’avons pas abandonné les premiers.
Craignons de Le quitter. Soyons toujours avec Lui. Vivons et mourons en Sa
présence. Priez-vous pour moi comme je prie pour vous ?
Je suis votre, etc.
Je suis votre, etc.
***
Douzième lettre
Au même,
Je suis en peine de vous voir souffrir si longtemps; ce qui me soulage et adoucit les sentiments que j’éprouve au sujet de vos douleurs, c’est qu’elles sont une preuve de l’amour de Dieu pour vous. Considérez-les à ce point de vue et vous les supporterez plus facilement. Mon opinion est que, dans votre cas, vous devriez laisser de côté les remèdes humains et vous soumettre entièrement à la providence de Dieu. Peut-être qu’il n’attend que cette résignation et une confiance parfaite en Lui pour vous guérir. Puisque, malgré tous vos soins la médecine s’est montrée impuissante et que votre maladie s’aggrave encore, ce ne sera pas tenter Dieu que de vous abandonner entre ses mains et d’attendre tout de Lui.
Je vous ai
dit, dans ma dernière, qu’Il permet quelquefois les maladies du corps pour
guérir celles de l’âme. Ayez donc bon courage. Faites de nécessité vertu.
Demandez à Dieu, non la délivrance de vos douleurs, mais la force pour supporter
résolument pour l’amour de Lui tout ce qu’il lui plaira.
De telles
prières sont, il est vrai, dures à la chair mais d’autant plus agréables à Dieu
et douces pour celui qui L’aime. L’amour adoucit la peine ; et quand on aime
Dieu, on souffre pour l’amour de Lui avec joie et courage. Qu’Il en soit ainsi
pour vous je vous en supplie. Consolez-vous auprès de Lui, qui est le médecin de
toutes nos maladies. Il est le Père des affligés toujours prêt à secourir. Il
nous aime infiniment plus que nous ne pensons : aimons-Le donc, et ne cherchez:
pas la consolation ailleurs. J’espère que vous la recevrez bientôt.
Adieu. Je
vous aiderai de mes prières, toutes pauvres qu’elles soient, et serai toujours
en notre Seigneur.
Votre, etc.
Votre, etc.
***
Treizième Lettre
Au Même
Je rends grâce au Seigneur de ce qu’Il vous a un peu soulagé selon votre désir. J’ai été souvent près de la mort, mais je n’ai jamais été aussi heureux qu’alors. Aussi n’ais-je pas prié pour du soulagement, mais pour avoir la force de souffrir avec courage, humilité et amour. Ah! Qu’il est doux de souffrir avec Dieu! Quelques grandes que puissent être vos souffrances, recevez-les avec amour. C’est le paradis que de souffrir avec Lui, en sorte que dans cette vie si nous voulons jouir de la paix du paradis, il nous faut nous accoutumer à une conversation familière, humble et affectueuse avec Lui. Nous devons retenir nos esprits d’errer loin de Lui en toute occasion, faire de nos cœurs un temple spirituel où nous L’adorions continuellement, veiller constamment sur nous-mêmes, afin de ne rien faire ou dire ou penser qui puisse Lui déplaire. Quand nos esprits sont ainsi occupés de Dieu, la souffrance devient pleine d’onction et de consolation.
Je sais que
pour arriver à cet état, le commencement est très difficile ; car nous devons
agir purement par la foi. Mais nous savons aussi que nous pouvons toutes choses
par la grâce de Dieu, que Dieu ne refuse jamais à ceux qui la demandent
sincèrement. Frappez, persévérez à frapper. Je me fais garant qu’Il ouvrira au
temps convenable et vous accordera en une fois ce qu’Il a différé de vous donner
pendant des années. Adieu. Priez-Le pour moi comme je Le prie pour vous.
J’espère Le voir bientôt.
Je suis votre, etc.
Je suis votre, etc.
***
Quatorzième lettre
Au Même
Dieu sait mieux que nous ce qui nous est bon, et tout ce qu’Il fait est pour notre bien. Si nous savions combien Il nous aime, nous serions toujours prêts à recevoir de Lui également le doux et l’amer tout ce qui vient de Lui nous plairait. Les plus douloureuses afflictions ne nous paraissent intolérables que lorsque nous les voyons à une fausse lumière Quand nous les verrons dans la main de Dieu qui les dispense quand nous saurons que c’est notre Père qui nous aime, qui nous humilie et nous met dans la détresse, nos souffrances perdront leur amertume et se changeront en consolation.
Que tous nos efforts tendent à connaître Dieu plus nous Le connaîtrons, plus nous désirerons Le connaître. Comme l’amour est ordinairement en proportion de la connaissance, plus notre connaissance sera grande et profonde, plus grand aussi sera notre amour, et si notre amour pour Dieu est grand, nous L’aimerons également dans les peines comme dans les plaisirs.
Ne nous amusons pas à rechercher ou a aimer Dieu pour des faveurs sensibles qu’Il nous a faites ou peut nous faire. De telles faveurs, quelque magnifiques et élevées qu’elles puissent être, ne peuvent jamais nous amener aussi près de Dieu qu’un simple acte de foi. Cherchons-Le souvent par la foi. Il est au dedans de nous ; ne Le cherchons pas ailleurs. Ne serions-nous pas coupables et dignes de blâme Si nous L’aimons seulement pour nous occuper de bagatelles qui ne Lui plaisent pas et peut-être L’offensent-Il ? Il est à craindre que ces bagatelles nous coûtent cher un jour.
Consacrons-nous de tout notre coeur à Lui dès a présent. Otons de nos coeurs tout ce qui n’est pas Lui ; Il veut les posséder seul. Demandez-Lui cette faveur. Si nous faisons tout ce que nous pouvons de notre côté, nous verrons bientôt s’opérer en nous ce changement après lequel nous soupirons. Je ne puis pas assez Le remercier pour le soulagement qu’Il vous a accordé. J’attends de Sa miséricorde la faveur de Le voir dans quelques jours (1). Prions l’un pour l’autre. Je suis dans le Seigneur
Votre, etc..
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(1) Il se mit au lit deux jours plus tard et mourut dans la même semaine.
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